Noi Restiamo Torino a seguito della mobilitazione degli studenti di ieri, nata in risposta alla concessione degli spazi di Palazzo Nuovo (Università di Torino) a imprese come 3Store, Honor, Nescafè, Veon (app di Wind), Tucano e Salumi Beretta, all’interno di una piattaforma che vorrebbe “supportare al meglio tutte le aziende che vogliono comunicare i loro prodotti sul “target” (cioè gli studenti).
La mobilitazione nata dall’assemblea di ieri ha colto impreparato il Rettore Ajani e lo ha spinto a prendere le distaze dalla presenza degli stand promozionali nella main hall di Palazzo Nuovo, affermando che non ne fosse a conoscenza e che si sarebbe aperta un’inchiesta per rintracciare il responsabile. Siamo però coscienti che la piccola vittoria di ieri sia una conquista strappata dagli studenti ma allo stesso tempo abbiamo più volte osservato la politica reale dell’università di Torino sia di fronte alle interferenza dei privati nel mondo della formazione, sia di fronte a una scomoda risposta studentesca. Ci piacerebbe fosse un segnale di inversione di tendenza. Ma non è questo il caso. Anzi, alcune situazioni ci fanno riflettere. I vari “Jobs Day” che hanno visto la partecipazione di varie aziende tra le quali: Lavazza, FCA, Ikea, BMW, LIDL, Procter and Gamble e ovviamente l’immancabile Intesa San Paolo, sono una manifestazione di quale sia l’orientamento politico dell’università verso il settore privato. Ci pare che la logica del ”puniamo il responsabile dell’autorizzazione degli stand” eluda il problema generale. Anzi, ne sia quasi una comoda scappatoia tecnica che evita il problema politico e porta il discorso su un piano “logistico” di autorizzazione degli spazi. Il Rettore infatti non si è espresso in generale contro la presenza dei privati in università, ma soltanto sulla loro mancanza di autorizzazioni ad esserci in questa occasione, tentando in questo modo di sgonfiare una reazione spontanea degli studenti su un tema che potesse mettere in luce la posizione politica dell’università verso il mondo aziendale.
Questa stessa logica (con un po’ di malizia, potremmo aggiungere) l’abbiamo vista durante le giornate di mobilitazione contro il Politecnico Technion di Haifa. L’università israeliana, che collabora attivamente con aziende che producono sistemi per l’esercito israeliano e forniscono strumenti per continuare l’occupazione della Palestina, ha accordi con molte università italiane, tra le quali figura Unito. Quando la campagna Studenti contro il Technion, si mobilitò per chiedere la cessazione degli accordi tra le due università, il Senato accademico di Unito, si espresse sì a favore dei diritti umani e del rispetto del diritto internazionale, ma nel pratico rinnovò gli accordi ignorando le mille e trecento firme raccolte dagli studenti. In quel caso, tra l’altro, la stessa università, negò più volte gli spazi atti al dibattito sul tema per motivi puramente politici.
La logica del “ un colpo al cerchio e uno alla botte” regna sovrana all’interno delle amministrazioni di Unito. Sono sì pronti a cedere qualcosa davanti alle mobilitazioni studentesche, ma fintanto che queste non mettano in discussione la logica che giustifica la presenza di aziende in università e siano poste su un piano prettamente tecnico/legale piuttosto che politico. Allo stesso modo si fanno portavoce, sì di pace e cooperazione, ma non rinnegano gli accordi con una università attivamente inserita nel sistema di occupazione della Palestina. Siamo comunque coscienti che il passo indietro del Rettore, non sia una sua benevola concessione, ma soltanto il frutto di una risposta studentesca, nata da una chiamata ad una assemblea e che ha saputo rintracciare la vera falla nel sistema di Unito che è una falla non solo tecnica ma anche di stampo politico.
La penetrazione del mercato e di soggetti privati a caccia del proprio profitto dentro l’Università ha ormai raggiunto livelli inquietanti e sempre più incisivi ed invadenti negli spazi e nella vita degli studenti universitari e abbiamo tutte le ragioni per credere che, se non ostacolato, andrà a condizionare sempre più pesantemente la formazione e la ricerca nelle Università.
Il discorso abbastanza subdolo del rettore ci porta quindi a non abbassare la guardia su questo tema ma anzi siamo sempre più convinti che sia necessario avviare un percorso che lo approfondisca. Crediamo infatti che al di là delle contingenze questa sia una tendenza dell’università italiana degli ultimi anni, come dimostrato da un’analisi portata avanti su alcuni atenei a livello nazionale.
Siamo anche coscienti che questo percorso possa essere ampliato dal contributo di studenti e studentesse in momenti di confronto sul tema.
Potremmo fermarci e contestare la mera gestione degli spazi universitari ma siamo convinti che il problema abbia radici molto più profonde dell’errore di un semplice funzionario.
Per questo motivo proponiamo un nuovo momento di confronto nei prossimi giorni.
NOI RESTIAMO
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