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Torino. La scuola Holden e le nuove frontiere della privatizzazione

Noi Restiamo Torino ha avviato da più di un mese una mobilitazione in università contro lo strapotere dei privati nelle strutture pubbliche, che trova il suo elemento più stridente con l’ingresso del Burger King negli spazi di UniTo. Allo stesso tempo le trasformazioni in atto nella città ci parlano di sgomberi, quartieri militarizzati e multinazionali che si appropriano di pezzi di territorio.

È questo il caso della Lavazza  e della scuola Holden nel quartiere Aurora, soprattutto quest’ultima impegnata a vendere un sogno alle giovani generazioni che come sappiamo bene sarà irrealizzabile. La tecnologia è pronta a sostituire anche il lavoro dei giornalisti e degli scrittori, soprattutto quando questo è privo di elementi critici e completamente omologato al discorso delle classi dominanti.

Di seguito l’appassionato intervento di Gloria, studentessa di Lettere di Unito e attivista nella mobilitazione contro la privatizzazione, particolarmente efficace nella descrizione nella stato d’animo che la nostra generazione.

Noi pensiamo che la risposta a questa tragica situazione in cui si trova a vivere la nostra generazione stia nell’organizzazione, se sentiamo maggiormente il peso della crisi abbiamo più la responsabilità di  cambiare le cose. Se sappiamo chi e come ci ruba il futuro, abbiamo più armi per combatterlo nel presente.

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La scuola Holden è uno dei punti di riferimento per gli aspiranti scrittori della penisola dal 1994. Oggi, con l’aggiunta di un titolo di laurea, è divenuta un vero e proprio catalizzatore di interesse per chi ama perdersi nelle righe di inchiostro e per chi ha trasformato quest’amore in un business: editori, giornalisti, scrittori; e in effetti, uno dei punti di forza della Scuola Holden è proprio la possibilità concreta di avere dei contatti al termine degli studi, come tutte le università private di questo Paese.

Ho scritto “uno dei punti”, ma in verità trovo che sia l’unico aspetto positivo di iscriversi in un posto del genere, dove per due o tre anni sei gettato all’interno di una gabbia in cui spesso vige la legge homo hominis lupo, e la creatività viene guidata verso l’omogeneità di stile ed espressione; ma prima di esprimere al meglio la mia opinione, ritengo necessario fare un excursus della scuola:

Come ho già detto, la scuola Holden nasce nel 1994 ed ha come suo direttore Alessandro Baricco, ai tempi volto emergente della letteratura contemporanea – suoi Novecento e Oceano Mare, per fare un esempio – il quale, assieme ad altri quattro amici, avvia questa nuova scuola dove “Holden Caulfied non sarebbe mai espulso”. Per vent’anni la sua sede è un palazzo liberty a Torino in corso Dante, i suoi studenti sono una sessantina, con aule scolastiche e tanto di lavagna nera; poi costruiscono un nuovissimo edificio in un quartiere difficile della città, Aurora, con il consenso del Comune speranzoso di riqualificare la zona.

Quest’anno, la svolta: ottengono un corso che dia una laurea, diventando di fatto un’università privata di narratori. E come tutte le scuole private costa parecchio –diecimila euro all’anno, per intenderci – così c’è anche qualche agevolazione: venti borse di studio, che coprono solo la metà dell’anno, e i prestiti d’onore che ti mettono in diretto contatto con la banca Intesa San Paolo, dove la scuola garantisce per te e la tua famiglia e ti fanno un prestito. Che ben inteso, deve essere restituito.

Detto questo, mi piacerebbe sottolineare alcuni punti: sebbene mi lasci molto perplessa la dichiarazione sul giovane Holden, dato la psicologia del personaggio e il suo malessere causati da tali pomposità, bisogna ammettere che un’affermazione del genere attira molto la curiosità degli amanti del mondo letterario. Peccato però che la scuola Holden sembra essere maggiormente ispirata a Fitzgerald piuttosto che a Salinger, e no, non personifica Jay Gatsby ma Daisy. U

na bellissima illusione di un futuro letterario guidato e accompagnato, fino a fornirti le conoscenze giuste; nel frattempo sono molto pochi gli alunni della Holden con un lavoro in quel campo, o con un lavoro con cui ripagare il prestito d’onore (vedi sopra). Non è difficile intuire che non sia così tanto magnifica e ricca di opportunità come si presenta in ogni dove, e che per quanto le lezioni possano essere affascinanti alla fine non si arriva al riconoscimento letterario tanto agognato. A volte poi gli alunni diplomati vengono mandati nelle aziende per fare corsi di scrittura creativa ai dipendenti, che è più o meno come insegnare matematica dopo aver preso una laurea in ingegneria: sì, sono legate, ma il tuo sogno non era costruire?

Quando si parla con questi ragazzi poi mettono in mezzo paroloni come “welfare dell’azienda” e “smartworking”, convinti di aver legato ancora di più dipendenti ed azienda, e io mi chiedo perché mai ad un narratore dovrebbe interessare un discorso di questo genere. Certo, la scuola Holden non insegna a scrivere ma a raccontare, dato che l’uomo è un individuo narrante – ad Holden Caulfied si aggiunge anche il professor Keating, sembra quasi che l’idea di base non fosse tanto originale –e poiché la narrazione è in tutto, perché non offrirla alle aziende e permettere maggior profitto ad entrambe le parti?

Ed è qui c’è la vera sconfitta letteraria che rappresenta la scuola Holden: un luogo dove l’arte, il talento, l’amore per la letteratura vengono sottoposte al riscontro economico che possono procurare; non si si scrivere per amore, per bisogno quasi fisiologico, si scrive per guadagnare e quindi si scrive male. E per chi pensa che la cosa sia lo stesso piuttosto allettante, avviso che dopo un po’ non si scrive più né si guadagna.

Rappresenta anche una sconfitta sociale, in realtà, dato che la nuova sede in Aurora doveva essere stimolo di crescita del quartiere, e non è stato così. A riprova che un’università privata – così come la Nuvola Bianca di Lavazza – non porta nessun benessere sociale, non migliora le condizioni dei cittadini o della città, ma incrementa solo un business di capitale umano. Che è un modo diverso per dire che vengono venduti i sogni.

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