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Rinviati a giudizio 43 attivisti indagati nell’Operazione Lince. Ma la lotta al militarismo continua

Martedi al tribunale di Cagliari si è svolta la seconda parte del rinvio a giudizio per gli imputati dell’operazione Lince.
A due anni esatti dalla chiusura delle indagini il Giudice per le Udienze Preliminari ha accolto le richieste del PM Guido Pani per 43 imputati e imputate, mentre a 2 è stata accordata la messa alla prova.
Nonostante l’inconsistenza delle prove e la tenuità dei reati contestati, anche a quelli con le accuse più gravi, il processo andrà avanti con l’accusa di 270 bis per cinque compagni e compagne e con l’aggravante per un’altra ventina, lasciando comunque alle persone restanti accuse per reati minori.
Negli ultimi anni in tutto lo Stato Italiano le procure si sono quasi divertite a notificare reati associativi: teoremi più o meno strampalati sono piovuti qua e là, imponendo misure cautelari, perquisizioni e via dicendo.

Per fortuna in buonissima parte dei casi le eccentriche teorie dei PM si
sono scontrate con dei GUP che non se la sono sentita di credere alle loro favole, facendo quindi cadere i reati associativi. In questo caso non è andata così, e ce ne faremo una ragione. Ma è sempre più chiaro il disegno che prevede l’estrema criminalizzazione per qualsiasi forma di dissenso
minimamente organizzato e determinato.
In questa uggiosa giornata cagliaritana ci preme però condividere alcune considerazioni: innanzitutto il piacere di esserci ritrovate ieri fuori dal tribunale di nuovo in almeno duecento persone a sostegno degli imputati e delle imputate, ma anche delle lotte;
che non ci si debba mai affidare a giudici e simili, in quanto non si fanno problemi ad andare contro le loro stesse leggi, e quindi di conservare il nostro ottimismo non per le aule dei tribunali, ma le strade in cui vogliamo lottare;
che probabilmente questa scelta del GUP è intrisa anche della preoccupazione che tra il 2014 e il 2017 si è diffusa tra i venditori di morte in divisa e non, quando subivano attacchi e disturbi da ogni lato,
senza capire chi fossero queste persone che con una tronchese o uno striscione, di notte o di giorno, in tante o in poche, sabotavano l’attività militare in tutte le sue forme;
che di fronte a chi ci processa per terrorismo per aver lottato per liberare la nostra terra da una delle peggiori oppressioni possibili, la risposta non può che essere una ripresa delle lotte con maggiore forza e tenacia.
Ieri lo Stato Italiano si è mostrato per l’ennesima volta esattamente per quello che è.

A noi non resta che ripartire senza dimenticare nulla, già da questa domenica 19 settembre sulla cima del monte Limbara per “bonificarlo dalla guerra”.
Ancora una volta, nessuna pace per chi vive di guerra

Sardinnia Aresti

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Dichiarazione di A Foras sul rinvio a giudizio dei 45 indagati dell’operazione Lince

Il Tribunale di Cagliari martedi mattina ha disposto il rinvio a giudizio di tutti i 45 indagati e indagate, attivisti a vario titolo del movimento sardo contro l’occupazione militare, dell’operazione Lince.

Per le contravvenzioni e i capi d’accusa meno gravi è intervenuto il non luogo a procedere, ma tutti gli altri sono stati confermati. Per cinque l’accusa più grave riguarda l’associazione eversiva e per gli altri 40 questo elemento rappresenta un’aggravante.

A Foras non è certo sorpresa da questa decisione, che conferma la natura politica di questa indagine e del processo che comincerà il 6 dicembre. La contestazione del reato associativo, come se gli attivisti sardi fossero mafiosi e non militanti politici, indica come il vero obiettivo del processo non sia quello di far luce sui singoli reati che gli indagati avrebbero commesso, tutti da dimostrare peraltro.

L’obiettivo è quello di mettere sotto accusa e disperdere un movimento che gode di una diffusa simpatia popolare e che negli ultimi anni aveva rialzato la testa. Proprio a partire dalla grande manifestazione di Capo Frasca di cui ricorreva ieri il settimo anniversario.

I 45 indagati e indagate sono stati scelti per spaventare tutti i sardi e le sarde che da decenni lottano contro le basi militari. Questo processo vuole spaventare i sardi con una chiara minaccia: chi lotta contro le basi è è un terrorista eversore.

Il movimento sardo contro l’occupazione militare è un insieme di singoli e collettivi che lavorano, ognuno con le proprie modalità e senza un organismo direttivo, per liberare la Sardegna da una servitù odiosa.

Lo Stato vuole sopprimere questo movimento, tanto che il ministero della Difesa si è costituito parte civile nel processo, mentre dall’altro lato fa di tutto per evitare di riconoscere risarcimenti alle vittime delle esercitazioni e per difendere gli ufficiali responsabili della sicurezza dei lavoratori, militari e civili, e della popolazione che vive intorno ai poligoni.

Il movimento però non si farà intimorire e risponderà sul piano politico, a cominciare da quest’autunno con la ripresa delle esercitazioni e dal 6 dicembre, giorno per cui è stata fissata la prima udienza.

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