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“Guardano alla Sardegna con attenzione”.

Tutte le volte che leggiamo questa espressione dobbiamo alzare le antenne e metterci in allarme.  

Notizie e annunci di multinazionali e colossi italiani e stranieri, che “sbarcano in Sardegna”.

Non è una novità ma c’è stata una notevole accelerazione nel giro di questi ultimi mesi fra aperture o annunci di prossime aperture “si prepara a sbarcare per la prima volta sull’isola Starbucks, celebre catena multinazionale del caffè” a Cagliari ed “un nuovo enorme polo commerciale aprirà ad Elmas entro il 2025”.

Quattro fast food e supermarket che si moltiplicano: McDonald’s e Lidl raddoppiano, ad Oristano.

A Sassari McDonald’s apre il terzo punto, apre Roadhouse e Billy Tacos e  Kik.

Prossime aperture o raddoppi,Ikea, KFC, Tecnomat, Leroy Merlin e non solo, parliamo di catene di ristorazione, di colossi per abbigliamento, intimo e casalinghi, arredamento, edilizia e fai da te come se non ce ne fossero già abbastanza e non stiamo qui ad elencarli tutti.

Notizie sempre accompagnate da commenti entusiasti “portano un’importante svolta economica ed un punto di ritrovo per giovani e turisti” e “renderanno più variegato lo shopping e le serate a cena fuori” e l’immancabile annuncio di decine se non centinaia di nuovi posti di lavoro.

Commenti da futuro meraviglioso per la nostra isola, quell’“anche in Sardegna” che ci porterà nella modernità ed a farci sentire considerati, posto che tutti dichiarano che lo fanno per mostrarci “attenzione” e garantire presidi importanti nella regione, cioè lo fanno per farci un favore.

Tutto questo soltanto qualche settimana dopo aver letto “Fra Conad e Conforama sono a rischio 2000 posti di lavoro” e la pubblicazione della ricerca della CNA Sardegna che denuncia che abbiamo perso dal 2008 ad oggi il 21% delle imprese artigiane soprattutto nel settore commercio, manufatturiero e trasporti, 1700 solo nel 2023. Certo concorrono molti elementi, tassi di interesse per investimenti, prezzo energia, trasporti, costo degli affitti, ma le due realtà sono strettamente legate e forse chissà e finalmente qualcuno comincia a prendere atto e parlarne.

Se il bacino di utenza è sempre lo stesso, anzi sempre più ridotto visto che migliaia di persone, giovani e non,lasciano l’isola ogni anno quei nuovi posti di lavoro ci sono perché sono sempre di piu le piccole attività artigiane e commerciali che chiudono, impossibilitate a reggere la concorrenza nei confronti di questi colossi.

Oltre al fattore economico questo tipo di attività che, oltre a non pagare le tasse qui, si sviluppano in grandi superfici e sono allocate in quelle che sarebbero dovute essere zone industriali o comunque nelle periferie, portano con se un’esperienza standardizzata, uguale ovunque nel mondo  e sta trasformando le città in non luoghi senza identità,e la sfilza di  serrande abbassate sempre più numerose stravolge il tessuto sociale e priva delle relazioni fondamentali per riconoscersi in una comunità. Cosa saranno anche le nostre città nei prossimi anni? Città dormitorio, qualche ufficio pubblico, strade deserte, mera testimonianza! 

Possiamo accettarlo? Possibile che non si possa mettere un limite a tutto questo? Che nelle norme esistenti e nelle pieghe del nostro statuto non possano trovarsi elementi che consentano un limite oltre il quale non può essere accettabile che un’intera economia e cultura fatta di professioni, conoscenze, artigianato possa essere completamente soppiantata da altro.

Una classe politica seria, dovrebbe avere uno scatto di dignità e almeno provare a difendere la nostra economia, con campagne di sensibilizzazione verso i cittadini consumatori   e soprattutto sostenendo le attività delle imprese sarde.

Questa globalizzazione e liberalizzazione sfrenata e senza regole, se non contrastata renderà un deserto l’intera Sardegna ed i sardi meri consumatori di cibo e prodotti realizzati altrove, più di quanto non lo sia già.

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