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Catania. “Costruire a San Berillo una vera comunità di resistenza “

Fra il porto e la stazione si estende quello che rimane ormai di San Berillo, quartiere storico popolare di Catania, fino al 1958 definito “uno dei più grandi quartieri a luce rossa del Mediterraneo”.

Fino al 1958, perché quell’anno la legge Merlin metteva fine alle “case di tolleranza”, per cui gran parte del quartiere venne raso al suolo e i suoi oltre trenta mila abitanti deportati forzatamente in un altra zona di Catania denominata San Berillo Nuovo, e ancora oggi il “nuovo quartiere” porta questo nome.

Ma il vecchio San Berillo, nonostante le ruspe e le deportazioni, non scomparve del tutto. Infatti, nel 2000 un blitz delle forze di polizia, sostenuto dall’esercito, soffoco’ ancora una volta il quartiere e tantissime e tantissimi abitanti furono di nuovo costretti ad abbandonare le loro case per disperdersi in varie zone a sud della città.

Ad oggi, a San Berillo, i poveri, le prostitute, i transessuali, i migranti, i senza casa continuano ad essere espulsi dal quartiere attraverso i “piani di risanamento” delle amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra che vengono puntualmente “realizzati” con il supporto di incessanti campagne di criminalizzazione e di retate poliziesche.

In questo ambiente, alcuni giorni fa, nella stessa giornata in cui “Trame Di Quartiere Società Cooperativa Sociale di Comunità” lanciava l’iniziativa della lettura collettiva di “Insegnare a trasgredire” della scrittrice femminista nera bell hooks (n.d.a : nominativo scritto minuscolo perché la scrittrice scrive così il suo nome e cognome) che “elogia il margine” come spazio di resistenza invitando a lottare non “per” ma “con” i soggetti oppressi – nelle strade di San Berillo, proprio di fronte alla sede di Trame di Quartiere, sono apparsi sui muri dei manifesti con contenuti​ che citano la scrittrice e sotto dei commenti di denuncia sia all’iniziativa in sé fatta da “uomini bianchi” che “parlano di sessismo e razzismo nelle loro stanze”, sia ai processi di rigenerazione urbana in atto nel quartiere “fatta a suon di aperitivi e djset, senza avere cura di chi abita un posto”, come recita uno dei manifesti.

La denuncia sembra investire anche chi dà vita a progetti sociali, tant’è che un altro manifesto, facendo riferimento alle parole della scrittrice che parla del focolare domestico e della casa come il luogo per «costruire una vera comunità di resistenza» sostiene che “il focolare non è il socialhousing.

L’umanità non è ospitare associazioni umanitarie. La solidarietà non è fare crowdfunding. L’ospitalità non è farti entrare solo se hai un contratto”.

Chi ha realizzato i manifesti si chiede “che fine hanno fatto le persone che vivevano qua dentro?

Dove finiranno le persone che vivono qua fuori?” e sembrano dichiarare volontà programmatiche: “Avete sgomberato una volta, non riuscirete a svuotare il quartiere”.

San Berillo, insomma, dal lontano 1958 ad oggi non ha smesso di r/esistere e in questa resistenza ad essere coinvolti a Catania saranno in tante e in tanti.

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