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Catania. Contro il ddl sicurezza del governo Meloni

Scendiamo in piazza giovedì 3 ottobre a Catania

Desta vive preoccupazioni il disegno di legge (AC. 1660-A), contenente un pacchetto di provvedimenti sulla sicurezza (o meglio, insicurezza) licenziato dalla Camera dei Deputati e trasmesso al Senato.

Il testo composto da 38 articoli, prevede l’introduzione di più di 20 innesti in materia penale tra nuovi reati, aggravanti ed inasprimento dei limiti edittali di pene già previste. Il Ddl si connota per l’esasperata cifra ideologica della destra più estrema in piena sinergia con una classe datoriale bulimica di profitto: repressione del dissenso, criminalizzazione del disagio sociale, carcerocentrismo e ricorso al panpenalismo, militarizzazione degli ambienti lavorativi,

Il Ddl introduce con l’art. 634 bis c.p. il nuovo reato di occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui, accompagnato da una procedura rapida per la reintegrazione nel possesso dell’immobile. Si punisce con pene fino a 7 anni l’estremo disagio sociale e la situazione di necessità in cui versa chi, disperato, giunge a occupare un immobile. E ciò senza che il Governo accenni ad affrontare le gravi cause sociali che conducono all’estremo fenomeno dell’occupazione e senza la previsione di programmi di inclusione abitativa.

Una misura di stampo marcatamente repressivo e contrastante con i basilari principi dello Stato di Diritto è la previsione di una pena fino a 5 anni per i detenuti che attuano condotte di resistenza passiva all’interno degli istituti penitenziari. Se si riflette sul fatto che la rivolta era già punita, si comprende che si tratta della criminalizzazione della nonviolenza.

Infatti, la partecipazione a rivolte carcerarie viene stigmatizzata anche se non violenta. Basterà un semplice sciopero della fame, o il rifiuto passivo di rientrare in cella per far scattare il reato. La resistenza passiva, spesso unico strumento-diritto spettante a detenuti in situazioni di esasperato sovraffollamento, nell’ambito di un sistema carcerario in cui il tasso di suicidi aumenta di anno in anno, viene considerata meritevole di un’ulteriore pena. Nella poco velata speranza che, questa volta, il detenuto in istituti fatiscenti e sovraffollati, espii la pena in condizioni inumane o degradanti senza batter ciglio.

L’incapacità di gestire situazioni di emergenza sociale da parte del governo, e di strumentalizzare il ricorso alla carcerazione a fini elettorali, risulta evidente nella previsione del carcere per le donne incinte o con bambini con meno di un anno di età.

L’art. 15 del ddl, eliminando il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le madri, rende il rinvio facoltativo, così materializzando una lotta simbolo della destra: quella alla cultura rom, e alle borseggiatrici madri, assurte agli onori della cronaca quali il male assoluto della nostra società. Poco importa se la misura si presta a evidenti frizioni di costituzionalità. E ancora meno importa che un bambino possa muovere i suoi primi passi in un istituto penitenziario. Una norma dal sapore razzista e crudele che inciderebbe su poche decine di madri, stando ai dati di Antigone.

L’articolo 18 apporta novità in materia di Cannabis Light disciplinata dalla l. n. 242 del 2016. Tra le modifiche introdotte vi è il divieto di importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli olii da esse derivati.

In tali ipotesi, si applicano le sanzioni previste al Titolo VIII del D.P.R. n. 309/1990 in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, così equiparando le infiorescenze della canapa industriale alla droga. Oltre ad annichilire il relativo comparto industriale e a privare del lavoro migliaia di dipendenti del settore, il provvedimento crea illegalità, espandendo naturalmente il raggio d’azione della criminalità organizzata, che esce indenne e anzi favorita dal Ddl.

Viene criminalizzata la protesta e il dissenso di piazza con un aggravio della pena già prevista dall’art. 635 del codice penale, per i danneggiamenti commessi in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico se commessi con violenza o con la semplice minaccia con la reclusione che può arrivare fino a cinque anni.

Contro i lavoratori in protesta, gli attivisti, i movimenti, è anche la disposizione che trasforma da materia di sanzione amministrativa a materia penale il blocco stradale o ferroviario effettuato con il solo corpo (sinora reato è il blocco stradale con posizionamento di oggetti che ostacolino la circolazione) con una pena che può arrivare sino a due anni di reclusione se commesso da più persone (mentre la pena massima è di un mese se il soggetto agisce da solo): manifestazioni, presidi, picchetti di lavoratori, blocchi di attivisti e militanti, sono i non nascosti “nemici” da colpire (per questo motivo il “blocco collettivo” è punito molto più duramente del “blocco solitario”).

Sulla stessa scia, viene trasformata da illecito amministrativo a illecito penale la partecipazione al blocco stradale, ferroviario o simili, anche in modo pacifico, con pene fino a un mese di reclusione e una multa di 300 euro. Se il blocco avviene nel contesto di una manifestazione o in gruppo, le pene possono aumentare, fino a due anni di reclusione.

Altra forma di criminalizzazione del dissenso, è rappresentata dall’introduzione di specifiche aggravanti per chiunque commetta violenze o minacce contro un pubblico ufficiale al fine di impedire la realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture strategiche come il Ponte sullo Stretto o la Tav. Viene previsto un draconiano aumento fino a 20 anni di reclusione per i reati di resistenza, violenza, minaccia a pubblico ufficiale, se aggravati dal fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica. Questa norma mira a prevenire qualsiasi forma di manifestazione di movimenti e attivisti No Tav, No Tap, No Ponte, No MUOS, e simili.

Una riflessione: il ricorso al diritto penale dovrebbe costituire strumento estremo e residuale di tutela di beni costituzionalmente garantiti. Ebbene il Ddl ricorre allo strumento penale proprio per negare garanzie e diritti consacrati nella Carta costituzionale, come il diritto di manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost., che come statuito dalla Consulta è «il più alto, forse,» dei «diritti primari e fondamentali» sanciti dalla Costituzione (sentenza n. 168 del 1971).

Si raggiunge l’apice del sadismo all’art. 32 che riguarda la limitazione imposta ai cittadini extra UE nell’acquisto di una scheda S.I.M. Oltre alla carta d’identità, sarà infatti necessario esibire anche una copia del permesso di soggiorno. Si vuole negare la possibilità ai migranti, di comunicare alla propria famiglia d’origine il miracolo di essere giunti vivi dopo un viaggio della speranza durato mesi tra torture e sofferenze indicibili. Nemmeno una telefonata per gli ultimi, gli invisibili, con buona pace dell’integrazione e dell’accoglienza cristiana. Cristiana, aggettivo che pure imperversa nei discorsi di alcuni leader di governo.

Certamente un grande favore a chi sfrutta e rende ancora più ricattabili le lavoratrici e i lavoratori .

Inoltre tale sanzione favorisce indirettamente la creazione di un mercato nero di SIM, e non è difficile immaginare che la criminalità organizzata attenda con ansia l’approvazione del testo.

Per concludere, il ddl Sicurezza ha una portata meramente simbolica, colpisce le fasce più deboli ed emarginate della società veicolando norme razziste, e norme volte alla repressione di libertà fondamentali. Come se ciò non bastasse produce effetti criminogeni e inventa di sana pianta forme di reato connesse agli autori e non alle azioni commesse: il c.d. diritto penale d’autore.

Per tutte queste ragioni, dopo le prime manifestazioni di queste settimane, è fondamentale continuare a mobilitarsi per raccontare a tutt3 cosa sta succedendo e non accettare passivamente una stretta antidemocratica che condanna l’espressione del dissenso, la povertà e il disagio sociale.

– Ci vediamo giovedì 3 ottobre, dalle 19,30, davanti la Villa Bellini (lato Via Etnea).

-Associazione Comunista Olga Benario
-Cobas Catania
-Generazioni Future
-I Siciliani Giovani
-La Città Felice
-La Ragnatela
-Lhive
-Lps. Liberi Pensieri studenteschi
-Rifondazione Comunista
-Sinistra Anticapitalista
-Sinistra Italiana
-UGS Catania
-USB Catania

Giovedì, prima del presidio contro il DDL 1660, alle ore 18, in piazza Stesicoro insieme alla rete Restiamoumani in occasione della Giornata nazionale per le vittime delle frontiere.

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