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Firenze. È tempo di chiudere la farsa TAV e salvare davvero i lavoratori con progetti utili

La notizia della prenotazione del ricorso al concordato preventivo da parte di Nodavia (società controllata da Condotte SpA che esegue i lavori TAV) non stupisce il comitato No Tunnel TAV. Stupisce invece l’ostinazione delle maggioranze in Toscana e a Firenze a voler proseguire con un progetto folle e sbagliato fin dall’inizio.
Che ora si pianga sul fatto che i lavoratori non sono pagati da due mesi suona ipocrita alle orecchie di cittadini attenti da sempre al progetto TAV.
I lavoratori sono le prime vittime di questo sciagurato progetto, ma soprattutto lo sono i disoccupati: con le risorse che si sono sprecate in questi anni si sarebbero potute creare opere davvero UTILI dando luogo a centinaia di posti di lavoro, non solo a poche decine come oggi (per altro impegnati soprattutto in opere complementari alla tranvia).
Vittime di questo disgraziato progetto sono i cittadini che hanno visto enormi risorse pubbliche (soldi della collettività) sprecati per finanziare il sistema politico-economico-mafioso alla base delle grandi opere inutili (e che ci sia la mafia in questo tipo di lavori non è il comitato che lo dice ma la magistratura). Per riassumere brevemente i costi: a fronte di opere realizzate per meno di 300 milioni si avevano, nel 2014 quattro anni fa, 399 milioni di extracosti. Se la progressione dei costi, dovuta soprattutto ai lavori rallentati, è costante oggi saremmo a ben oltre 600 milioni. Di questi solo circa 130 milioni sono oggetto di contenzioso di fronte ad un giudice.
La radice della follia rappresentata dal progetto TAV fiorentino ha molte diramazioni:

  • Governo: non è possibile dimenticare come il ministro delle infrastrutture uscente Graziano Delrio, pochi giorni prima delle elezioni, sia venuto a Firenze a rassicurare che i lavori sarebbero ripresi a breve. Invece si sta ancora valutando l’ultimo decreto sulle terre di scavo; ma, quand’anche arrivasse quello, con l’avvio dello scavo vero e proprio – e con un decennio di ritardo – si aprirebbe una nuova fase di sfasci e sprechi, con continue fermate e disagi per la città. Il Ministero delle Infrastrutture è stato disegnato dall’”inchiesta sistema” della Procura di Firenze come un sistema di distribuzione clientelare di appalti completamente scollegati dalle necessità infrastrutturali del paese. Il disastro delle grandi opere inutili in Italia è ormai un elenco lunghissimo.
  • Istituzioni locali: la prima responsabilità di questo progetto sbagliato è delle maggioranze che hanno governato Regione e Comune da decenni; il sottoattraversamento è stato voluto, negli anni ‘90, dal PD/PDS (con accordo di Forza Italia) per “portare a Firenze risorse per 1,5 miliardi”. I soldi interessavano, non le chiacchiere sui “treni di superficie”. Nell’ultimo anno, in particolare il presidente della Regione Enrico Rossi e il presidente del Consiglio Regionale Eugenio Giani, hanno avuto comportamenti bizzosi e incomprensibili per far resuscitare un progetto che le FS, nel 2016, volevano abbandonare.
  • Sindacati: il comitato ha cercato per oltre un decennio un confronto con i sindacati confederali, sempre sistematicamente evitato o rifiutato. Arroccarsi su una acritica difesa del posto di lavoro ha portato a questa situazione disastrosa. La cecità dei sindacati è sicuramente concausa del disastro occupazionale che vediamo oggi. Non aver ascoltato la denuncia, a Firenze come in tutto il paese, delle centinaia di gruppi che denunciavano la follia di grandi opere con piccola occupazione ed enorme sperpero di risorse, ha portato a questa situazione. È grave responsabilità non voler vedere che le grandi opere così concepite portano pochissima occupazione, mentre una sana pianificazione e la messa in sicurezza del patrimonio complessivo sarebbe volano di nuova, sana occupazione e di redistribuzione della ricchezza.

Il Comitato ripete ancora una volta che non è mai troppo tardi per chiudere un capitolo di cui Firenze non avrà altro che da vergognarsi. Si abbia questo coraggio, un coraggio imposto dai fatti; prima di sprofondare ancora di più in un disastro economico, urbanistico, ambientale, occupazionale.

 

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