Il 20 novembre eravamo in piazza per riaffermare che a Siena non c’è spazio, né politico né fisico, per i fascisti.
Lo abbiamo ribadito perché poco tempo fa un orgoglioso nazista della zona è stato trovato in possesso di un arsenale militare in piena regola; questo personaggio, Andrea Chesi, è stato arrestato insieme al figlio e indagato con altre 10 persone con le quali parlava di organizzare un attentato alla moschea di Colle Val d’Elsa.
Eravamo in piazza per denunciare questi eventi, ma anche per non far passare sotto silenzio il clima di connivenza e lassismo in cui questi rigurgiti fascisti hanno potuto prosperare. Come quando l’ex sindaco PD della città, Bruno Valentini, si fece una foto su un sidecar delle SS con Andrea Chesi e ne derubricò l’attenzione ai cimeli del nazismo a semplice “collezionismo”.
Non sono passate neanche due settimane e Siena torna al centro della cronaca per le uscite naziste e antisemite di un docente dell’Università di Siena.
Ancora una volta siamo costretti a sorbirci la retorica istituzionale di un antifascismo di facciata, come quello del Rettore Francesco Frati che prima tenta di smarcarsi dalla vicenda dicendo che quelle sono opinioni personali del docente e non rappresentano l’intera comunità accademica (e ci mancherebbe altro!), salvo poi ritornare sui suoi passi, una volta fattogli notare il suo ruolo di rappresentante di un’istituzione della repubblica nata dalla lotta di resistenza antifascista, per annunciare che sarebbero stati presi provvedimenti in merito. Il Rettore ci ha tenuto comunque a specificare che conoscevano le sue “idee e PASSIONI, ma onestamente non si pensava potesse arrivare a tanto”. Passioni, come il collezionismo di Andrea Chesi.
Si sapeva che un docente ha idee naziste, e dunque cosa non si pensava arrivasse a fare? Non ci si aspettava pubblicasse sui social immagini di Hitler, rendendo la cosa palese a tutto il paese? Non si riconosce alcun problema nel fatto che un docente di filosofia del diritto insegni a giovani studenti portando con sé la convinzione della correttezza ideologica e dell’operato storico del nazismo? La questione sorge solo nel momento in cui avviene lo scandalo, e quindi l’università viene messa sotto gli occhi dell’opinione pubblica, con gli inevitabili risvolti negativi sulla sua immagine. Ma se la cosa si fa in sordina, allora anche il nazismo può avere cittadinanza nelle nostre istituzioni. L’importante è non alzare polveroni, non essere costretti a prendere scelte nette: l’importante, in sostanza, è non dover scegliere da che parte stare, non essere partigiani.
Queste parole sono ancora più inaccettabili quando è stata da poco sgominata una rete nazista che si andava diramando in tutta Italia, o quando, nonostante l’evidenza, l’operato di Andrea Chesi – anch’egli operante in sordina, tanto per dire – non è stato riconosciuto come terroristico. Inaccettabili ancor di più in questo periodo dell’anno, quando ci avviciniamo al 50° anniversario della strage di Piazza Fontana. Una strage di stato organizzata da alcuni apparati dei servizi segreti insieme a gruppi fascisti per poter poi condurre una guerra al movimento operaio, allora in crescita e sempre più forte. Nelle intercettazioni di Andrea Chesi egli afferma candidamente di aver avuto rapporti coi servizi segreti ai suoi tempi. L’ultimo schiaffo alle sofferenze di tanti lavoratori e antifascisti.
L’Italia non ha ancora fatto i conti con il suo passato fascista, le istituzioni e i partiti che ci hanno governato e continuano a governarci non sembrano volerlo fare, sfruttando invece questa finta alterità per dare l’illusione di un velo democratico e antifascista alle politiche da massacro sociale che ci vogliono imporre.
Il nostro dovere è continuare a lottare perché sappiamo che il fascismo non è un’opinione (e tantomeno una passione), ma è un crimine. E sappiamo pure chi questo crimine lo commette: il capitale contro i lavoratori. Sappiamo da che parte stare
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