Gli ospedali toscani sono al collasso, con file di ambulanze fuori dai pronto-soccorso della nostra regione, operazioni importanti e analisi diagnostiche non covid rimandate a chissà quando, terapie intensive e sub intensive pericolosamente sature, operatori sanitari sottoposti a circolari contraddittorie, in burnout o vicini al burnout.
Una situazione prevedibilissima, che non è però frutto di un caso, bensì il risultato inevitabile di alcune storture profonde del nostro sistema che in ultima istanza vanno ricondotte all’impossibilità del nostro modello economico e sociale di risolvere la contraddizione tra profitto e salute, tra interesse di pochi e interesse collettivo, tra l’ingordigia di qualche privilegiato e la vita di tutti noi.
L’inadeguatezza delle risposte sanitarie approntate da tutti i paesi occidentali, nonostante l’esperienza del lockdown e i timori per un’altra chiusura generalizzata o quasi, dimostrano l’incapacità di una classe dirigente assolutamente supina a Confindustria, e ai padroni della sanità privata, che non ha saputo mettere in campo una risposta pubblica alla seconda ondata, tramite tracciamento, isolamento e trattamento dei casi positivi.
Una politica che per ora non si è tradotta in una catastrofe sociale solo perché viene mantenuto il blocco dei licenziamenti fino a marzo e un basso costo del denaro, ma i cui costi ma i cui costi il governo è pronto a scaricare sulle classi popolari perché in linea con le indicazioni e gli obiettivi dell’Unione Europea, che con estrema intransigenza verso i paesi più colpiti dal virus porta avanti un progetto di integrazione continentale creato per difendere gli interessi delle multinazionali e della grande finanza. Un progetto in cui la salute e la vita delle maggioranze sono subordinate al rispetto di arbitrari parametri economici e al rafforzamento della competitività delle aziende sui mercati internazionali.
È infatti ormai riconosciuto anche da operatori del settore che a causa di tagli e mancanza di programmazione (resa impossibile inoltre dallo spezzettamento del sistema pubblico operato attraverso la modifica del titolo V della Costituzione operata nel 1999 dal governo D’Alema), la sanità si è trovata impreparata alle sfide di una pandemia, nonostante molti studiosi ormai da decenni mettessero in guardia da questo pericolo.
La tutela della salute è stata infatti subordinata alla ricerca del profitto, e a farne le spese è stata innanzitutto la medicina territoriale e le attività di prevenzione, settori meno profittabili e tuttavia anche quelli che più di tutti avrebbero consentito una risposta capillare e decisa alla diffusione del virus.
Questo è il risultato di una trentennale azione di rivalsa degli interessi privati sulle conquiste dei lavoratori, e ciò si è riflesso anche sulla riduzione del personale medico e sulla precarizzazione del lavoro di molti medici, infermieri, operatori sanitari, spesso mandati a infettarsi senza le giuste precauzioni, innalzati ad eroi per poi essere dimenticati ad ogni richiesta di miglioramento delle proprie condizioni. E di un modello ospedalocentrico – al centro della riforma Toscana del 2015 – che ha sacrificato le strutture diagnostiche territoriali e la medicina di base.
Il dottor Ferdinando Cellai, già coordinatore per l’Area Vasta dei servizi di Anestesia e Rianimazione durante la pandemia, in un articolo de Il Tirreno ha da poco ricordato come uno dei problemi fondamentali nell’affrontare i nodi dell’attuale situazione sanitaria sia proprio la mancanza di personale, confermando come le scelte operate negli ultimi decenni abbiano favorito la diffusione del COVID-19, e come poco o nulla sia stato fatto negli ultimi mesi per cambiare direzione.
Questo non fa che ricordarci come sia profonda e centrale la connessione tra occupazione, miglioramento delle condizioni lavorative e tutela della salute. Basti pensare anche agli effetti a cascata prodotti sulla tenuta del sistema sanitario dagli assembramenti obbligati di lavoratori e studenti pendolari sui mezzi pubblici, situazioni critiche ignorate dal governo, mai pervenuto quando bisogna toccare gli interessi di qualche imprenditore e sempre pronto invece a stigmatizzare i comportamenti individuali.
Per questo è necessario dare il via a una campagna a tutto tondo su questi temi, un’offensiva politica che renda il senso generale del cambiamento che vogliamo imprimere a questa società, verso la costruzione del socialismo del XXI secolo e dunque verso un sistema più giusto e centrato sul benessere di tutti piuttosto che sul privilegio di pochi.
Dobbiamo prepararci per quando, su indicazione delle istituzioni UE e su pressione delle forze imprenditoriali, il governo cancellerà quelle poche misure di sostegno al reddito finora previste e riaprirà definitivamente la possibilità di licenziamento.
Dobbiamo rivendicare al contrario un aumento dei posti di lavoro anche attraverso la riduzione generalizzata dell’orario a parità di salario, un aumento degli organici nel pubblico oggi ridotti all’osso nonché lo sviluppo di percorsi di pianificazione dell’economia, il salario minimo e un reddito di emergenza atto ad evitare un vero e proprio massacro sociale, da finanziare attraverso una tassa sulla ricchezza dei milionari e miliardari.
Guadando alla nostra regione non possiamo ignorare gli altissimi costi dei ticket sanitari, che rendono le prestazioni pubbliche costose all’incirca come quelle private, rivelando la progressiva privatizzazione delle prerogative pubbliche e lo spostarsi di queste verso il privato sociale, spesso vettore di ipersfruttamento nascosto sotto retoriche di eticità e solidarietà.
Va denunciato e impedito qualsiasi ricorso al “project financing”, già utilizzato per la costruzione degli ospedali di Prato, Pistoia, Lucca e Massa che sono poi stati affidati a concessionari privati. Bisogna riprendere la lotta contro la legge regionale 28/2015 voluta dall’ex presidente Rossi, che ha aperto la strada al raggiungimento di un grave primato negativo della nostra regione: 3,1 posti letto ogni 1000 abitanti, contro i 3,2 di media nazionale.
Il governatore Giani deve assegnare al più presto l’assessorato alla sanità ad una persona competente, e non ad un funzionario di partito, per riportare in mano pubblica tutto il sistema sanitario regionale, con investimenti massicci e una pianificazione del suo rilancio nella quale coinvolgere i soggetti interessati: le categorie mediche ed infermieristiche, le associazioni territoriali in difesa dei malati, i sindacati che in questi anni non hanno sottoscritto gli accordi che hanno legittimato lo smantellamento del SSR.
Consapevoli della necessità di lottare per un cambiamento profondo delle politiche fino ad ora messe in atto su questi temi, dobbiamo intanto rivendicare con forza:
– Assunzione massiccia di medici e personale sanitario, a partire dallo scorrimento delle graduatorie esistenti per infermieri ed OSS, dalla stabilizzazione di chi già opera nelle strutture sanitarie con contratti precari e dal reperimento delle figure specialistiche oggi carenti: infettivologi, pneumologi, anestesisti, medici di medicina generale, tecnici di laboratorio;
– Estensione dell’orario di apertura al pubblico dei servizi di specialistica ambulatoriale e miglioramento delle liste di attesa;
– Organizzare gli spazi e gli strumenti – anche tramite requisizione – per sottoporre a test affidabili la popolazione della regione con una campagna di controlli a tappeto (tamponi, reagenti, macchine personale medico, infermieristico e tecnici di laboratorio). Attuazione immediata del “piano Crisanti” e obbligo di fornitura di tamponi a coloro in possesso della ricetta medica per i laboratori privati;
– Reperimento di spazi e strutture, per l’isolamento domiciliare e per permettere l’istruzione dei nostri ragazzi, tramite una mappatura del patrimonio immobiliare nelle mani di Regione, Province e Comuni, così da aiutare i dirigenti scolastici;
– Potenziamento del trasporto pubblico, attraverso assunzioni e riparazione/acquisto dei mezzi necessari, ed eventualmente contrattualizzando l’uso dei bus turistici (ora inutilizzati) per moltiplicare le corse diminuendo i fattori di carico degli utenti;
– Piano straordinario per il lavoro, con la fine del blocco del turn over nelle pubbliche amministrazioni, l’assunzione di migliaia di disoccupati e precari da mettere al servizio della collettività;
– Reinternalizzazione dei servizi essenziali, a partire da quelli sanitari. I lavoratori delle strutture private (Coop, srl, spa) che oggi sostituiscono i pubblici dipendenti vanno assorbiti in pianta stabile dagli enti locali;
Di fronte all’enorme sofferenza sociale creata dalla crisi economica e dalla pandemia, nessuno deve essere lasciato solo. Non è più rimandabile la scelta tra il foraggiare la sanità privata, il “si salvi chi può”, l’interesse egoistico, e la sanità pubblica, la pianificazione di una risposta comune, la solidarietà. Tra la barbarie del capitalismo di oggi e un nuovo socialismo del XXI secolo.
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