Percorso seminariale dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione cubana promosso dalla Rete dei Comunisti Toscana
Venerdì 24 febbraio – La Rivoluzione Bolscevica
Relatore Antonio Allegra
Il seminario si svolgerà a Pisa, in Via Sant’Andrea 31 alle ore 17.30
Intorno alla metà degli anni settanta del XX secolo, lo storico russo e dissidente Roy Medvedev scrisse un libricino sulla Rivoluzione d’ottobre il cui titolo tradotto in italiano è La Rivoluzione d’ottobre era ineluttabile? La tesi dell’autore, che instaurava un paragone tra la rivoluzione democratica del 1905 e quella socialista del 1917, era, in estrema sintesi, che mentre la prima rivoluzione era storicamente e socialmente giustificata, la seconda non lo fosse affatto (socialmente), o non lo fosse ancora (storicamente). Non si sa quanto per cautela o per opinione personale, l’autore si fermava a dire che forse la Rivoluzione d’ottobre era prematura.
Con un certo teleologismo presente in maniera non sempre larvata nella storiografia liberale, si tende spesso a delegittimare un evento storico negandogli la sua “necessità”, un po’ come il liberale Benedetto Croce liquidò il ventennio fascista come una parentesi, un intoppo, nel lungo corso dell’affermazione dell’idea (liberale…) di libertà. Non che si possa pensare alla storia deterministicamente in termini di necessità, ma chi pensa alla storia in maniera teleologica (quando non teologica), lo “storicismo” giustificazionista è un’arma ideologica sempre a portata di mano.
Ma la storia iniziata con l’ottobre del 1917 non è affatto una parentesi chiusa. E forse per questo, ancora oggi, la Rivoluzione d’ottobre, e con essa il comunismo, è destinata a subire la medesima sorte: storici italiani come Marcello Flores e Andrea Graziosi, tra gli studiosi più in vista e con un maggior numero di pubblicazioni sulla tremenda e sciagurata storia dell’Unione Sovietica, non differenziandosi dalla sovietologia anglosassone (o semplicemente occidentale), tendono a mostrare il fallimento di un esperimento sin dalla sua germinazione. Non era possibile, non era necessario. Punto.
La fine di quell’esperimento ha per certo chiuso un’epoca, ma non ne ha seppellito né le potenzialità, né le necessità sociali di miliardi di esseri umani, di cui quell’esperimento si era fatto interprete storico.
Ed è questa presa in carica che non si può accettare, né giustificare. Chi oggi condanna quell’esperimento, non lo fa in nome di un altro esperimento socialista possibile, ma in nome della democrazia borghese. Il che equivale a dire: “non esiste altra alternativa” o “questo è il migliore dei mondi possibili”.
Il peccato originale del comunismo è sempre stato quello di sconfessare storicamente queste due affermazioni ideologiche vecchie come il cucco.
Anzi, il comunismo come ideologia e come tentativo di costruzione di un nuovo ordine sociale è diventato il peccato originale del Novecento: al volgere del XX secolo, non lo erano più il nazifascismo, l’imperialismo colonialista, il razzismo, le decine e decine di milioni di morti causati dalle guerre mondiali (di cui non si dica mai che furono guerre “imperialiste”!), la bomba atomica (magicamente scomparsa dal giorno della memoria di qualsiasi paese occidentale, escluso il Giappone); il peccato originale è il comunismo insieme a quella attuazione di giustizia sociale che aveva smesso di essere il “sogno di una cosa”, il “sol dell’avvenire”, per diventare cruda e dura realtà, come tutte le realtà storiche, specie quando devono lottare per affermarsi.
Due grandi demoni hanno avuto i liberali dal 1793: la Rivoluzione francese nella sua versione giacobina e plebea, e, ancora più, quella russa, nella sua versione bolscevica. Ma mentre ormai, con la normalizzazione borghese operata da Napoleone, la rivoluzione francese è considerata un patrimonio comune della storia dell’occidente o del mondo che si identifica con i valori dell’occidente, una simile normalizzazione per la rivoluzione russa non si è avuta, perché è fondamentalmente incompatibile con la storia dell’affermazione borghese (per quanto nel socialismo non si è disconosciuto il portato storico di quell’affermazione, diversamente da quanto accade negli storici borghesi rispetto all’affermazione proletaria).
La rivoluzione d’ottobre, nella sua “non ineluttabilità”, mostra tuttavia che non è scritta nella storia nessuna vittoria definitiva di una classe, che il dominio di una classe (quella degli “espropriatori”) non è destinato a brillare in eterno e che, per combinazioni fortunate di opportunità storiche (più che condizioni, visto che le condizioni mancavano tutte…) e di soggettività preparate lungo almeno un quindicennio (diciamo dal 1903, anno del Che fare? e del II Congresso del POSDR che ne adottò le tesi, passando per le rivoluzioni del 1905 e del febbraio del 1917), è possibile storicamente realizzare quello che sembrava impossibile.
La Rivoluzione d’ottobre fu la rottura di una continuità storica che vedeva milioni di donne e uomini soggiogati in quanto classi sociali. Fu l’irrompere dell’imprevisto. Fu l’emersione storica di un soggetto sociale che finalmente aveva una sua autonomia politica. Fu infine l’affermazione di una soggettività politica (quella dei bolscevichi) che rese possibile l’impossibile, che osò proclamare l’inaudito, e sperimentare l’impensato.
I drammi, le contraddizioni, gli errori, il sangue non possono cancellare quella storia, così come non lo hanno potuto fare con la Rivoluzione francese.
Dalla Rivolta di Haiti di Toussaint Louverture (1791) al Terrore giacobino (1793), dalla Congiura degli Uguali (1796) ai moti popolari del 1848 fino alla Comune (1871), la rivoluzione proletaria del 1917 si portava dietro più di un secolo di tentativi di emancipazione politica e sociale di masse popolari e di schiavi, di plebi e proletari.
Chi vuol negare la legittimità storica di quell’esperimento non nega solamente le necessità sociali sottostanti, ma vorrebbe pure mettere la sordina alla voce di quelle masse che hanno smesso di essere mute e senza storia.
Antonio Allegra
Tutte le date del percorso seminariale:
Lunedì 16 gennaio – La Comune e Noi
Relatore Massimiliano Piccolo
Venerdì 24 febbraio – La Rivoluzione Bolscevica
Relatore Antonio Allegra
Giovedì 23 marzo –La Rivoluzione cinese
Relatore Roberto Sassi
Aprile (data ancora da stabilire) – La Rivoluzione cubana
Relatore Luciano Vasapollo
I seminari si svolgono a Pisa, in Via Sant’Andrea 31 alle ore 17.30 – venerdì 24 febbraio ore 18
Tutti gli incontri sono visibili in diretta streaming sulla pagina fb della Rete dei Comunisti Pisa e sul sito www.retedeicomunisti.net
Il senso e gli obiettivi del percorso seminariale “L’Assalto al Cielo – Dalla Comune di Parigi alla Rivoluzione cubana”
Grandi cambiamenti sono all’orizzonte, determinati da una crisi del capitalismo senza precedenti nella sua storia. Nel suo crepuscolo, questo modo di produzione sta determinando a livello globale sfruttamento insopportabile della mano d’opera, vecchie e nuove forme di schiavitù e miseria, riduzione progressiva dei più elementari diritti sociali, destrutturazione della stessa democrazia borghese e legittimazione di nuove forme di fascismo, distruzione progressiva dell’ecosistema, guerre ed epidemie devastanti.
Non e’ la prima volta che l’umanità si trova di fronte a questi abissi di barbarie, ognuno dei quali ha avuto la sua storia ed i suoi epiloghi.
In questo breve itinerario storico ci proponiamo di raccontare ed analizzare alcune tra le principali esperienze rivoluzionarie attraverso le quali gli sfruttati hanno risposto alle contraddizioni con le quali si sono trovati a fare i conti.
Dalla Comune di Parigi del 1871 alla Rivoluzione bolscevica del 1917, dalla vittoria comunista del 1949 in Cina sino al 1 gennaio 1959 a Cuba, i “dannati della terra”, guidati da avanguardie rivoluzionarie prodotte in quei tornanti storici, cambiarono sin dalle fondamenta le società all’interno delle quali si trovarono a combattere, instaurando sistemi economici e sociali antagonisti ed alternativi al precedente stato di cose.
Esperimenti oggetto di studio per chi continua a porsi il problema dell’alternativa di sistema e dell’instaurazione di una società emancipata dallo sfruttamento capitalistico degli esseri umani e della natura, che per noi oggi significa la costruzione del Socialismo del XXI secolo.
“…È la semplicità, che è difficile a farsi”, come ebbe a dire Bertolt Brecht. Una semplicità che non ha modelli precostituiti ma, anzi, li repelle, proprio in base alle esperienze sulle quali rifletteremo insieme. Ogni popolo, ogni area geografica omogenea per storia, cultura, sistemi produttivi e interazioni economiche dovrà trovare una propria, originale via per costruire modelli unici e complementari, per un mondo che o si emanciperà dalle contraddizioni dell’oggi o rischia di non essere più, quantomeno per come lo abbiamo conosciuto sino ad ora.
Con la sua irrazionale e predatoria corsa al consumo di ogni risorsa del pianeta ai soli fini del profitto privato, il capitalismo pone quindi l’intera umanità di fronte domande non rinviabili.
E’ il momento di formulare risposte, che possono scaturire solo da un binomio inscindibile tra l’esperienza storica sedimentata nei secoli e l’organizzazione del conflitto, qui ed ora.
La conoscenza e lo studio dei processi rivoluzionari che proponiamo sono, a nostro modo di vedere, un bagaglio di saperi dai quali i rivoluzionari di oggi non possono prescindere, valorizzando ed attualizzando potenzialità e limiti che hanno espresso.
Una guida per l’azione, per chi non ha rinunciato ad organizzare l’assalto al cielo.
Rete dei Comunisti Toscana
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