Manifestazione 30 ottobre 2020
troviamoci davanti al Teatro la Fenice in Venezia, Campo S.Fantin alle ore 12.30
I colleghi sono invitati a manifestare il proprio dissenso a varie scelte della nostra direzione riguardo più argomenti:
Uso massiccio del Fis sospendendo l’attività in teatro e la possibile trasmissione di spettacoli in streaming, scarsa considerazione dei dipendenti e relativa carente comunicazione con gli stessi, pessimi rapporti industriali
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“La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti”. Una frase stupenda del compianto Maestro Claudio Abbado che riassume brevemente e in maniera perfetta l’azione che il teatro e la Cultura tutta hanno sulla società.
Eppure in questo periodo il teatro e la Cultura fanno acqua da tutte le parti, di certo non per colpa dei lavoratori di questo settore che sempre, e in questo periodo in particolare, sono vessati da questa crisi che continua a metterli in ginocchio, assieme alle loro famiglie.
La responsabilità è di chi ricopre posti decisionali, che sceglie di guardare al solo lato economico, curandosi dei bilanci e degli incassi, trascurando il servizio sociale che la Cultura deve avere su chi ne usufruisce.
Una responsabilità grave, gravissima: quella di far quadrare i conti andando a mettere le mani nelle tasche dei lavoratori, mettendoli in cassa integrazione facendo ricadere la spesa degli stessi sullo Stato, andando a rosicchiare fondi che potrebbero essere utilizzati da aziende private che non beneficiano di finanziamenti pubblici.
Questo è quello che sta succedendo già da luglio scorso nel Gran Teatro La Fenice di Venezia, dove la Direzione, nonostante il Governo nazionale desse la possibilità di continuare con le attività lavorative, nonostante le richieste dei sindacati di uscire dalla Fenice e fare concerti all’aperto, ha deciso di mettere in FIS i suoi dipendenti.
Oggi decide di chiudere le attività del teatro ai lavoratori e porli in FIS nonostante il DPCM del 25 ottobre chiuda esclusivamente gli spettacoli aperti al pubblico, dando comunque la possibilità di continuare il lavoro e le attività e di fare concerti in streaming per non negare al pubblico quello per cui questa istituzione è nata: propagare e diffondere la Cultura come, appunto, bene primario.
Una Direzione arroccata nei propri uffici che non presta ascolto alle richieste dei lavoratori. Nell’ultima lettera di risposta alle rimostranze dell’orchesta della Fenice, il sovrintendente Ortombina rammentava con vanto che “la pagina Facebook del Teatro La Fenice è seconda in Italia dopo il Teatro alla Scala, con quasi 300.000 like; non passa settimana che su Twitter vengano riprese dai giornali e/o riviste specializzati i nostri tweet; che la comunicazione social della Fenice è stata considerata come caso studio al Politecnico di Milano; che il nostro canale Youtube, conta oggi 74.500 iscritti, primo in Italia e sul podio Europeo”.
Alla luce di tutto questo, perché il Sovrintendente nonché Direttore Artistico Ortombina, soprattutto dopo le richieste di tutte le realtà sindacali, decide comunque di chiudere il teatro sospendendo i concerti già programmati, non prendendo minimamente in considerazione la proposta di far eseguire all’orchestra e al coro i programmi mandandoli in diretta streaming?
La risposta è ovvia: perché le dirette streaming su Facebook e Youtube, servono solo come facciata, come giochino da mostrare agli amici al bar, ma lo streaming non porta soldi.
A nostro avviso, la Cultura non deve fare solo cassa, non deve guardare solo ai pareggi di bilancio, soprattutto in un periodo buio come questo. La Cultura deve elevare gli animi, ristorarli, renderli migliori, renderli felici.
E allora è più comodo e più redditizio mettere in cassa integrazione i lavoratori perché, come dichiarato dal Sovrintendente stesso, ogni settimana di lavoro costa al teatro 400.000€ e, se si possono risparmiare a scapito dei dipendenti, perché non farlo?
Nonostante il contributo FUS regolarmente erogato dallo Stato e incassato dalla Fenice, nonostante il teatro non abbia dovuto restituire i soldi dei biglietti già venduti in virtù dei voucher istituiti dallo Stato, nonostante un fondo rischi nel bilancio della Fondazione di 1.300.000€ che serve per pagare cause legali (che la Fenice sistematicamente perde), avvocati, agenzie investigative che seguono i dipendenti e che rappresenterebbero tre settimane di lavoro pagate pienamente ai dipendenti, la Direzione decide di procedere dritta per la sua strada che, nostro malgrado, porta ad una esasperazione dei rapporti industriali già estremamente precari e ad uno stato d’animo di sfiducia e frustrazione dei dipendenti.
Capitolo a parte poi, per i lavoratori contrattualmente più in difficoltà, come i 100 dipendenti con contratto intermittente. Alcuni di questi devono ancora ricevere il bonus di marzo istituito dal Governo centrale e ora, si vedono preclusa la possibilità del poco guadagno che riescono ad ottenere dall’attività in Fenice, soprattutto alla luce della decisione da parte dell’azienda di far firmare a questi lavoratori, contratti superiori a sei mesi che, per legge, non permettono di accedere alla Naspi.
Il rispetto e la fiducia sono alla base di qualsiasi tipo di rapporto, soprattutto un rapporto lavorativo. Ma il rispetto di questa Direzione nei confronti dei propri dipendenti rischia di essere un’utopia. E la dimostrazione si è avuta proprio con l’ultima riunione dove i vertici della Fenice hanno deciso di comunicare la messa in Fis ai propri dipendenti la sera prima all’ora di cena, senza un minimo preavviso, andando anche contro il contratto che impone un termine di preavviso ben preciso.
Richiediamo con forza che la giornata odierna non venga considerata con Fis, per tutti i lavoratori del teatro iscritti o non iscritti, visti i tempi ristrettissimi della comunicazione fornita ai dipendenti.
Carissimo Maestro Abbado, Lei aveva ragione: la Cultura è un bene primario come l’acqua, ma noi in quest’acqua ci stiamo affogando.
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