Veniamo a sapere dai giornali di ieri che Chaka Ouattara, maliano, richiedente asilo, 23 anni, si è ucciso in carcere a Verona.
Era detenuto per essere stato, secondo l’accusa, uno degli istigatori della rivolta della Caserma Serena a Treviso dello scorso giugno. Lo hanno accusato di saccheggio, sequestro, devastazione e lo hanno sbattuto in carcere. Quali erano le condizioni della caserma?
Qui una panoramica approfondita: https://bit.ly/3n34Gnz
Riassumendo: trecento persone rinchiuse in quarantena in una struttura con sei docce, senza spazi sicuri o isolati, che dormono in camerate, senza distinzione fra positivi e negativi, per mesi e mesi, condannate a contagiarsi una per una, senza possibilità di fuga; tutti i rapporti di lavoro troncati dai datori; nessuna informazione sui protocolli sanitari, solo ondate di tamponi. Una. Due. Tre. Quattro. E così via.
Chi di voi avrebbe mantenuto la calma in una situazione del genere? Chaka era un ragazzo, 23 anni. Assieme ad altri quattro, ha preteso risposte, facendo sentire la sua voce nell’unico modo che ha trovato. L’unico modo che hai quando non sei considerato un essere umano.
Adesso è morto. I giornali ci fanno sapere che era «uno dei facinorosi della violenta rivolta» avvenuta alla caserma; e che si sarebbe ucciso per l’allontanamento dalla Marca trevigiana. Davanti a tanta idiozia, alla mancanza assoluta di comprensione e rispetto – il giorno dopo un suicidio di un ventitreenne – vogliamo ribadire alcuni punti:
1. Il sistema dell’accoglienza assume, in molti casi, i tratti di un lager.
2. Questo avviene anche perché i privati, nel caso della caserma Serena la famiglia Marinese, possano speculare sulle vite degli ospiti.
3. I/le migranti, nel sistema in cui viviamo, devono lavorare e tacere.
4. I/le migranti sono sottoposti a un ricatto costante; se qualcuno rivendica dei diritti minimi diventa subito un facinoroso.
Se alzi la voce sei accusato; con un’accusa non avrai mai il permesso di soggiorno; senza permesso di soggiorno, come nel gioco dell’oca, torni al punto di partenza. Solo che non è un gioco. Di mezzo ci sono il deserto, le violenze, i lager libici, i trafficanti di esseri umani, il mare che inghiotte le vite dei tuoi fratelli e sorelle, le detenzioni in Italia. Tu hai 23 anni e a un certo punto, dopo dieci giorni in isolamento carcerario, decidi che non ce la fai più.
Questa morte era evitabile. Le vite hanno dei bivi: se l’accoglienza fosse gestita diversamente non si sarebbe arrivati a questo punto, Chaka non sarebbe finito in carcere, non si sarebbe tolto la vita. In Italia il razzismo uccide, ancora.
Questa morte ci addolora profondamente, ci lascia un vuoto e delle terribili domande sul mondo che, attorno a noi, perpetua la propria ingiustizia. Ci lascia tanta rabbia. Solo un pensiero può forse colmare questo vuoto: non dimenticare il suo nome, pretendere giustizia. Chaka ti porteremo con noi. Tu sarai presente in ogni luogo ci sia un essere umano che si batte per la giustizia e la libertà.
CHIUDERE TUTTI I CPR E I LAGER DELL’ACCOGLIENZA SUBITO.
DOCUMENTI, SANITA’, CASA E LAVORO PER TUTT*!
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa