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Il nuovo Segretario di Stato Usa è amico dei russi? Macchè disastro, è un’ottima notizia

Rex Tillerson, 64 anni, petroliere, ed ex boyscout è stato nominato “ministro degli esteri” da Donald Trump, ed un amico storico di Putin. Che male c’è? Avere buoni rapporti con i paesi con i quali si hanno conflitti è la prima regola della politica

Dura la vita del Trump, niente da dire. Per la prima volta nella storia degli Usa porti tre generali al Governo (James Mattis alla Difesa, John Kelly alla Sicurezza interna e Michael Flynn come consigliere alla Sicurezza nazionale) e ti coprono di contumelie. Poi ti prendi un boy scout a fare il ministro degli Esteri, a gestire il Dipartimento di Stato che fu di Hillary Clinton e John Kerry, e ti criticano ancor più di prima. Ma che vogliono, ‘sti media democratici e progressisti?

Certo, c’è il piccolo particolare che Rex Tillerson, 64 anni, è da dieci anni presidente e amministratore delegato di Exxon Mobil, una delle più grandi aziende petrolifere del mondo. Per la precisione la seconda, visto che per fatturato, profitti e capitalizzazione di Borsa è superata solo dalla Shell. Tillerson entrò alla Exxon nel 1975 come ingegnere e oggi è un signore da 30 milioni di dollari l’anno di salario, tra stipendio, benefit e prebende assortite.

Quando si sente dire che Tillerson è un boy scout bisogna prendere l’affermazione alla lettera. È stato negli scout per tutta la giovinezza (all’Università del Texas, a Dallas, era nell’Alpha Phi Omega, una fraternità che accettava solo scout e che al posto delle feste da ballo accompagnava per il campus i disabili) e qualche anno fa, per il biennio 2010-2012, è stato pure Eagle Scout, ovvero il capo di tutti gli scout d’America. In quella veste, accompagnò l’organizzazione alla decisione di ammettere anche ragazzi e ragazze dichiaratamente omosessuali.

Nel 2012 Tillerson è stato insignito dell’Ordine del’Amicizia, onorificenza che il Cremlino riserva ai cittadini stranieri che abbiano contribuito a migliorare le relazioni con la Russia

Perché, dunque, nemmeno Tillerson piace? In primo luogo perché è un uomo d’affari che va a sedersi su una poltrona eminentemente politica. Poi perché è un petroliere, categoria che attrae poche simpatie. Lui peraltro non le cerca visto che ancora nel maggio scorso ha detto che “il mondo continuerà a usare le energie fossili, che ci piaccia o no” (ma che dovrebbe dire un petroliere?), anche se la Exxon, sotto la sua guida, ha riconosciuto il fondamento scientifico delle teorie sul mutamento climatico. Ma tanta diffidenza nei suoi confronti è un po’ curiosa in un Paese come gli Stati Uniti che con l’ecologista Obama sono diventati il maggior produttore di petrolio al mondo (davanti ad Arabia Saudita e Russia) e che da poco hanno realizzato il maggior incremento produttivo degli ultimi cento anni passando dai 12 milioni e 343 mila barili al giorno del 2013 ai 13 milioni e 973 mila barili al giorno del 2014.

Ma la vera colpa del nostro boy scout è un’altra. Lui porta il vero marchio d’infamia della nostra epoca: pare sia amico di Vladimir Putin. Che conosca bene i pezzi grossi del Cremlino. Che abbia ottime relazioni con gli oligarchi che contano. Prova numero uno: nel 2011 Tillerson ha negoziato con le autorità russe un mega-accordo per esplorare i giacimenti dell’Artico dove, secondo le stime degli esperti, potrebbe trovarsi il 22% delle riserve ancora intatte di gas e di petrolio.

Prova numero due: Exxon Mobil avrebbe dovuto lavorare in coppia con Rosneft, l’azienda petrolifera russa diretta da Igor Sechin, considerato l’uomo più potente di Russia dopo Putin, del quale è stato collega (nei servizi segreti) ed è amico. Prova numero tre: nel 2012 Tillerson è stato insignito dell’Ordine del’Amicizia, onorificenza che il Cremlino riserva ai cittadini stranieri che abbiano contribuito a migliorare le relazioni con la Russia. Prova numero quattro: a seguito della crisi ucraina e delle sanzioni decise dagli Usa contro la Russia, Exxon Mobil ha dovuto interrompere la collaborazione con Rosneft e ci ha rimesso circa un miliardo di dollari. Tillerson si è pronunciato contro le sanzioni, definendole “inefficaci”.

A quanto pare ci siamo fumati il cervello, a furia di gomblotti. Tant’è vero che prendiamo come oro colato quel che dice la Cia sugli hacker russi che hanno fatto vincere Trump. Certo, se lo dice la Cia, che non mente mai e le porcherie per influenzare gli altri Paesi non sa che cosa siano…

E questo è quanto. Certo che con la storia degli scout gay e dell’amicizia con l’arcinemico Putin, per Tillerson sarà dura, tra tutti quei duracci di generali che sembrano usciti dal Dottor Stranamore e dagli incubi nucleari di Stanley Kubrick. Ma questi saranno problemi del Governo di Trump. Il problema nostro è capire come siamo arrivati alla follia di considerare un difetto, per un politico americano, l’avere buone relazioni con i vertici del Paese con cui gli Usa sono in crisi profonda da tempo. Crisi che si riflette su molte altre aree del pianeta, Medio Oriente ed Europa comprese.

È lo stigma che colpì a suo tempo Gerhard Schroeder, firmatario di accordi energetici con la Russia che molti benefici hanno portato alla Germania. È l’accusa che già viene rivolta a Francois Fillon, scelto dalla destra moderata francese quale candidato presidente al posto di quel genio di Sarkozy e colpevolizzato per aver ricordato che “chiunque sia a dirigerla, la Russia è il Paese più esteso del mondo, ha una cultura profondamente europea, ha ricchezze naturali enormi ed è pericolosa perché dotata di armi nucleari” (“Quel que soit le dirigeant russe, c'est le plus grand pays du monde en surface, il a une culture profondément européenne, il a des richesses naturelles très importantes, et il est dangereux parce qu'il a beaucoup d'armes nucléaires”). A quanto pare ci siamo fumati il cervello, a furia di gomblotti. Tant’è vero che prendiamo come oro colato quel che dice la Cia sugli hacker russi che hanno fatto vincere Trump. Certo, se lo dice la Cia, che non mente mai e le porcherie per influenzare gli altri Paesi non sa che cosa siano…

Diciamolo più chiaramente: ci sarebbe da leccarsi i baffi se Tillerson fosse, come dicono, in buoni rapporti con Putin e i suoi, potesse andare al Cremlino senza troppi imbarazzi, fosse apprezzato da chi in Russia conta davvero. Sarebbe una grande occasione per provare a risolvere qualche problema, tipo Siria e Ucraina, al posto di aggravarlo. Tanto più se pensiamo che per gente come Putin, che è Putin, e come Tillerson, che amministra una quantità di petrolio che basterebbe a far girare l’intero Brasile e un fatturato superiore al bilancio statale dell’Arabia Saudita, l’amicizia non esiste per principio.

Esistono gli interessi. E infatti nel 2008, al Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, Rex Tillerson prese la parola e disse tra l’altro che la Russia doveva “migliorare il funzionamento del sistema giudiziario e della magistratura. Non c’è rispetto per la legge, nella Russia di oggi”. (“Must improve the functioning of its judicial system and its judiciary. There is no respect for the rule of law in Russia today”.) Il che non gli impedì, poco dopo, di siglare il mega-accordo sull’Artico con quella stessa Russia che non aveva gradito le critiche ma gradiva collaborare con Exxon Mobil. Si chiama politica, baby, e se ne sente una gran mancanza.

* da linkiesta.it

Fulvio Scaglione è vice-direttore di Famoglia Cristiana

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