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Mosca e Kiev: quando i nomi dicono tutto

Una notizia curiosa giunge da Mosca e una preoccupante da Kiev. Il tema è lo stesso, o quasi. La curiosità moscovita può anche riscuotere l’approvazione di molti: si tratta solo di punti di vista. Quella ucraina, quantunque non del tutto nuova, la dice lunga sul reale impegno del nuovo governo, al pari del precedente, per le sorti di una popolazione ridotta allo stremo dai dettami economici del FMI e dagli interessi strategici occidentali: dato che, in ogni caso, le linee guida della politica di Kiev si decidono altrove, alla Rada suprema rimane tutto il tempo per occuparsi d’altro.

E così: al Senato russo è stato presentato un progetto di legge che consenta alle anagrafi di non registrare nomi di neonati composti di simboli numerici e cifrati, abbreviature, ecc. A oggi, non c’è alcuna legge che impedisca ai genitori di affibbiare al neonato un nome che, dicono i senatori, “costituisca una violazione dei diritti del bambino”. Si fanno gli esempi di Nikolaj-Nikita-Nil, Khristamrirados, Sammerset-Oušen, Aprile, Principessa Daniella, fino a “Boč rVF 260602” che, decifrato, significa  “Oggetto biologico di individuo del tipo Voroninykh-Frolovikh nato il 26 giugno 2002”.

Alla Rada suprema, sull’esempio della più sana legislazione italica di mussoliniana memoria (ricordate i cognomi sloveni italianizzati durante il fascismo?) e della più fresca esperienza dei paesi baltici, è stata presentata una petizione volta a ucrainizzare tutti i cognomi russi: ciò, nel quadro della più generale “decomunistizzazione” del paese, secondo la legge varata un anno fa sulla “proibizione delle simbologie comunista e nazista”. Ad esempio: Ivanov diverrà Ivanenko, Kuznetsov sarà Kuzmenko, ecc. A coloro che rifiuteranno di adeguarsi, si propone di sopprimere un certo numero di diritti civili, o addirittura di togliere la cittadinanza.

La proposta riguardante i cognomi, fa seguito al processo già da tempo iniziato per ridenominare diverse centinaia di cittadine e paesi, il cui nome ricordi troppo da vicino il passato sovietico o l’eredità comunista, oppure semplicemente abbia una qualche assonanza con la Russia. E anche le vie e i monumenti delle città ucraine smetteranno il vecchio nome “comunista” per assumere quello dei nuovi “eroi” filonazisti o neonazisti: a Volnovakha, nella parte del Donbass controllata da Kiev, il monumento all’eroe della guerra civile Vasilij Čapaev è diventato “Kozak”; via Nikolaj Ostrovskij (l’autore del famoso romanzo di ispirazione bolscevica sulla guerra civile “Come fu temprato l’acciaio”) è diventata via Aleksandr Ostrovskij, il drammaturgo ottocentesco russo. Per un qualche dissimulato senso di vergogna pare comunque, stando alla Tass, che a Kiev abbiano intenzione di proibire anche i nomi legati alla Russia zarista, a partire dal XVI secolo: in questo senso qualche deputato ha proposto che la Russia d’ora in avanti si debba chiamare Moscovia. “Ot nečego delat’ , dal non aver nulla da fare”, direbbe il grande Anton Čekhov.

FP

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