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“Esecuzioni mirate”. Ucciso il capo militare di Hamas

Michele Giorgio GERUSALEMME

Le Brigate Ezzedin al Qassam avvertono: «Tel Aviv ha aperto le porte dell’inferno»

«Colonne di Nuvole». L’operazione militare lanciata ieri da Israele contro la Striscia di Gaza evoca un’immagine da Paradiso. Un’operazione cominciata con l’assassinio di Ahmad Jaabari, il comandante militare da Hamas, il più importante degli esponenti del movimento islamico ucciso da Israele dalla fine dell’offensiva «Piombo fuso» (gennaio 2009) ad oggi. Il Paradiso c’entra nulla con quello che è accaduto. Ieri su Gaza si è scatenato l’Inferno. Sono stati oltre venti i raid dell’aviazione israeliana. Gli aerei hanno colpito ovunque, da nord a sud. «Obiettivi militari» si è affrettato a spiegare il portavoce dell’esercito, sottolineando che la prima ondata delle incursioni aeree aveva distrutto presunti depositi di razzi Grad a medio e lungo raggio in possesso di Hamas e magazzini pieni di armi e munizioni. Ma da Gaza arrivavano notizie ben diverse. Negli edifici colpiti c’erano anche se non soprattutto civili. Il bilancio ufficioso parla di 13 morti, fra cui una donna e due bambini.
«Israele ha aperto le porte dell’inferno» ha avvertito un portavoce delle Brigate Ezzedin al Qassam, l’ala armata di Hamas che Ahmad Jaabari aveva contribuito a costituire, fino a farne una milizia ben addestrata e disciplinata. Ieri sera mentre chiudevamo questo servizio è giunta la notizia di un attacco con razzi in tre fasi contro Beersheva, la più importante delle città israeliane nel Neghev, dove hanno ferito una donna all’interno di un negozio. Almeno altri 15 razzi sono caduti in altre località del sud di Israele. Una rete televisiva ha riferito che un razzo è stato indirizzato anche verso Dimona ma sarebbe caduto a grande distanza dalla centrale atomica.
Soddisfatte per il colpo messo a segno, l’Idf, le forze armate israeliane hanno subito diffuso un video che mostra il momento in cui il missile sganciato (con ogni probabilità un drone) ha centrato la Kia con a bordo il comandante militare palestinese, uccidendolo assieme al suo assistente (http://www.youtube.com/watch?v=kXatG2Z9Oqc&feature=player_embedded). Questo filmato non è stato rimosso dai responsabili di Youtube, che invece l’altro giorno erano stati solleciti nell’oscurare il video messo in rete dai Comitati di resistenza popolari che mostrava un attacco compiuto lungo il «confine» tra Gaza e Israele da un commando del Fronte Popolare contro una jeep israeliana (quattro soldati feriti).
Jaabari rivestiva un ruolo di primissimo piano nel movimento islamico di cui rappresentava l’«uomo forte» da quando nel 2007 con i suoi combattenti aveva sbaragliato in poche ore le forze di sicurezza fedeli al presidente dell’Anp nel 2007 e portato Hamas a controllare Gaza. Di recente aveva boicottato e criticato la linea «troppo politica» del leader uscente di Hamas, Khaled Mashaal, e insistito affinché fosse dato più peso e potere alla leadership a Gaza rispetto a quella in esilio. Jaabari era circondato da un alone di ammirazione popolare soprattutto per il modo con cui aveva gestito la lunga prigionia a Gaza del militare israeliano Ghilad Shalit, catturato nel 2006 e liberato lo scorso anno in cambio di circa mille detenuti politici palestinesi. Quando il suo cadavere è stato portato all’ospedale Shifa, una folla di centinaia di persone e militanti di Hamas ha scandito il suo nome. Lutto unito al furore, mentre i poliziotti sparavano in aria prolungate raffiche di arma automatica e invocavano vendetta contro Israele.
Poco dopo le ambulanze hanno portato i cadaveri di altri due ufficiali di Hamas, Raed Attar e Muhammed al-Ammas. E infine è arrivato anche il corpo della piccola di 7 anni uccisa dalle bombe. Nello stesso momento le reti televisive israeliane mostravano cinque foto, tra le quali quelle di Mashaal, del premier di Hamas Ismail Haniyeh e dell’ex ministro degli esteri Mahmoud Zahar (l’ultimo ancora in vita del gruppo che nel dicembre del 1987 fondò a Gaza, il movimento di resistenza islamica palestinese). Dirigenti che ieri sono stati portati in rifugi apparentemente sicuri. Hamas poco dopo ha minacciato di compiere attentati suicidi in Israele in risposta all’uccisione di Jaabari. «Le possibilità della resistenza» sono aperte ha avvertito Ismail al-Ashqar della direzione politica. L’ala militare del Jihad islami ha detto a sua volta che «non ci sono più linee rosse».
Lo spettro dell’invasione di terra, di una ripetizione di Piombo fuso aleggiava ieri sera su Gaza mentre gli Stati uniti si schieravano apertamente con il «diritto all’autodifesa di Israele» e l’Egitto, al contrario, condannava seccamente il governo Netanyahu, e ha poi annunciato il ritiro del proprio ambasciatore a Tel Aviv.
Da Ramallah, dove centinaia di persone hanno manifestato contro Israele, Abu Mazen ha condannato l’attacco a Gaza e ha chiesto una riunione d’emergenza della Lega araba. Ma il presidente dell’Anp deve a sua volta guardarsi le spalle. Israele si preparerebbe a rovesciarlo, almeno a dar credito a un documento riservato del ministero degli Esteri ottenuto dall’agenzia di stampa francese Afp, in risposta alla richiesta di adesione dello Stato di Palestina come «non membro-osservatore» all’Onu che Abu Mazen presenterà il 29 novembre a nome dell’Olp.
Ieri a Ramallah e in molte altre città della Cisgiordania, anche a Gerusalemme Est, migliaia di palestinesi hanno manifestato, scontrandosi con la polizia e l’esercito, nell’anniversario della dichiarazione d’indipendenza letta dal presidente scomparso Yasser Arafat nel 1988 a Ginevra.

da “il manifesto”

Un altro attacco israeliano sulla striscia di Gaza ha ucciso tre militanti palestinesi, secondo fonti mediche, nel secondo giorno dell’offensiva di Israele. Un primo bilancio indicava un morto, un uomo non identificato che transitava in moto vicino alla città di Khan Younis.

Il consiglio di Sicurezza dell’Onu si riunisce d’urgenza per confrontarsi sulle tensioni in Medio Oriente, soprattutto sulla situazione attuale fra israeliani e palestinesi. La riunione, chiesta dall’Egitto, si è svolta a porte chiuse ed è durata quasi due ore. Nessuna dichiarazione formale è stata rilasciata alla fine ma il messaggio emerso – spiega l’ambasciatore indiano Hardeep Singh Puri, presidente di turno dei Quindici – è stupidamente vago: «la violenza deve cessare».
All’incontro sono intervenute le due parti in causa, da un lato l’Autorità Palestinese e dall’altro Israele. «Il popolo palestinese è soggetto quotidianamente e inesorabilmente a una brutale aggressione da parte di Israele» denuncia l’osservatore permanente dell’Autorità Palestinese all’Onu, Ryad Mansour. «Siamo venuti davanti al Consiglio di Sicurezza per dire basta: basta ai bagni di sangue, alle ingiustizie e alle politiche illegali contro i palestinesi» incalza Mansour.
Incredibile faccia tosta dell’ambasciatore di Israele, Ron Prosor. «Hamas si nasconde dietro ai suoi civili per colpire i nostri civili». Un’argomentazione degna di Goebbels.
Per gli Stati Uniti era presente all’incontro l’ambasciatrice Susan Rice, che ha naturalmente preso le parti dell’aggressore, ribadendo la “ferma condanna americana agli attacchi dei palestinesi” e l’appoggio statunitense a Israele. «Non vi è alcuna giustificazione per la violenza posta in essere da Hamas e da altre organizzazioni terroristiche verso il popolo israeliano»: è necessario – sottolinea Rice davanti ai Quindici – «porre fine immediatamente a questi atti vili. Attaccare Israele su base quotidiana non aiuta i palestinesi a Gaza nè consente loro di avanzare sulla strada dell’autodeterminazione e dell’indipendenza». E questa è un’argomentazione degna di un Quisling qualsiasi, non dell’unica iperpotenza.
Preoccupati per l’escalation di violenze il capo degli affari politici delle Nazioni Unite, Jeffrey Feltman, e la missione britannica che teme per “la spirale di violenza che si è creata”. L’ipocrisia non ha mai risolto un problema, ne ha sempre creati molti o reso irrisolvibili quelli che si potevano affrontare.

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