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Serbia: 16 anni fa i bombardamenti, bruciate bandiere Nato e Ue

Nel 16.mo anniversario dell’inizio dei bombardamenti della Nato contro la Serbia e il resto della Federazione Jugoslava, alcune centinaia di nazionalisti del Partito radicale serbo (Srs) hanno bruciato bandiere della Nato, della Ue, degli Usa e del Kosovo nel corso di una manifestazione antigovernativa inscenata nel centro di Belgrado, davanti all’edificio dell’ex stato maggiore dell’Esercito ancora in macerie per le bombe Nato.
Vojislav Seselj, il leader dell’Srs sotto processo per crimini di guerra al Tribunale penale internazionale dell’Aja (Tpi), e solo da alcuni mesi in libertà provvisoria per ragioni di salute, ha parlato ai dimostranti affermando che la Serbia mai entrerà a far parte né della Nato né della Ue, nonostante “il regime traditore del premier Aleksandar Vucic lavori per questi obiettivi”.
Per l’anniversario dei raid della Nato sono in programma oggi a Belgrado e in altre città della Serbia numerose cerimonie e manifestazioni. Quella ufficiale é in programma dopo le 19, all’ora in cui furono sganciate le prime bombe su Belgrado, davanti agli edifici ancora in macerie dell’ex stato maggiore e del ministero della difesa jugoslavo, con la presenza del premier Vucic. I bombardamenti, lanciati dalla Nato senza mandato dell’Onu per indurre l’allora governo a ritirarsi dal Kosovo dove erano in atto combattimenti tra le forze di sicurezza serbe e la guerriglia indipendentista albanese, scattarono la sera del 24 marzo 1999 dopo l’invio di un durissimo ultimatum a Slobodan Milosevic che il capo del governo jugoslavo non potè che respingere. Per 78 giorni furono colpiti pesantemente in Serbia e Kosovo obiettivi militari e civili con un bilancio – secondo varie fonti – che oscilla fra i 1.200 e i 2.500 morti e 12.500 feriti. I raid cessarono solo il 9 giugno 1999, e il giorno successivo furono firmati gli accordi di Kumanovo (Macedonia) che di fatto aprirono la strada all’indipendenza della provincia a maggioranza albanese sotto occupazione della Nato e poi delle truppe dell’Unione Europea.
Con la risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza Onu fu deciso di porre il Kosovo sotto il controllo internazionale e di inviare sul suo territorio contingenti di truppe Nato. Il 17 febbraio 2008 il Kosovo proclamò l’indipendenza dalla Serbia, indipendenza ancora non riconosciuta da alcune decine di paesi in tutto il pianeta.
Proprio alcuni giorni fa in Serbia cerimonie commemorative, incontri, mostre e dibattiti hanno ricordato l’11/mo anniversario del cosiddetto ‘Pogrom di marzo’, l’ondata di violenze contro i serbi del Kosovo, che in tre giorni causò centinaia di morti, feriti e distruzioni di importanti parti del patrimonio artistico della provincia oltre che di case e attività economiche appartenenti agli abitanti non albanesi del Kosovo.
Fra il 17 e il 19 marzo 2004 in attacchi armati e scontri interetnici rimasero uccisi otto kosovari di etnia serba e undici di etnia albanese. Quasi mille persone rimasero ferite. 
Piu’ di 900 case appartenenti a serbi e altre etnie non albanesi furono incendiate, mentre 35 fra chiese e monasteri ortodossi serbi furono distrutti e profanati. Oltre 4 mila serbi furono costretti a lasciare le loro case, e la gran parte di loro non ha mai piu’ fatto ritorno in Kosovo. Sei citta’ e dieci villaggi furono sottoposti a una autentica pulizia etnica. A scatenare le violenze anti-serbe sarebbe stato un episodio in cui un giovane di etnia albanese mori’ annegato nel fiume Ibar, con i media albanesi unanimi nell’accusare i serbi locali di aver spinto volutamente in acqua il ragazzo, episodio poi rivelatosi montato ad arte. In risposta alle violenze in Kosovo, manifestazioni di protesta si registrarono in varie citta’ della Serbia, compresa la capitale Belgrado, dove furono attaccate e date alle fiamme alcune moschee. 

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