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La fascistizzazione dell’Ucraina e della Lettonia

Il vice speaker del Parlamento della Repubblica di Donetsk, Denis Pushilin, nel corso di una conferenza stampa, ha messo l’accento sulla “reale eventualità” di una soluzione di forza nel Donbass. Donetsk fa tutto il possibile, ha detto Pushilin, per rispettare il cessate il fuoco, ma Kiev continua a violare gli accordi di Minsk. «Il cessate il fuoco viene violato in modo aperto. Fino a oggi continuano a esserci due zone calde – l’aeroporto e Shirokino; in queste aree sono di stanza reparti di Pravyj sektor, che non sottostanno alla direzione centrale e proprio da lì vengono regolarmente le provocazioni armate, cui noi siamo costretti a rispondere» ha dichiarato Pushilin, secondo quanto riportato dall’agenzia Novorossija.
Il vice speaker ha ricordato anche come Donetsk abbia eseguito, in anticipo sui tempi fissati, il ritiro delle artiglierie e, al tempo stesso, come però «sia forte la tentazione di riportare in avanti quelle artiglierie, in risposta ai colpi» nemici. L’Ucraina, secondo Pushilin, continua infatti a violare tutta una serie di punti degli accordi sul cessate il fuoco: uno dei principali, riguarda le elezioni locali, insieme alla legge sullo statuto speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk. Inoltre, nessun passo avanti è stato fatto sulla questione dell’amnistia per le milizie; migliaia sono ancora i prigionieri di guerra e i detenuti politici trattenuti da Kiev; si continuano a colpire le colonne con gli aiuti umanitari dirette verso il Donbass e prosegue il blocco economico della regione. Ancora: l’arrivo degli istruttori statunitensi viola il punto sulla inammissibilità di mercenari stranieri. «Speriamo vivamente» ha detto Pushilin «che i leader europei dimostrino sufficiente buon senso da indurre Kiev a rispettare gli impegni. La minaccia di una ripresa delle azioni di guerra è molto reale. Secondo le nostre informazioni, Kiev considera come unica variante la soluzione di forza del conflitto. Noi siamo pronti; ma, per parte nostra, facciamo tutto il possibile per una soluzione pacifica», ha concluso Pushilin.
In effetti, secondo quanto riportato da Sputniknews con riferimento al Ministero della Difesa della Repubblica Popolare di Donetsk, le forze di sicurezza ucraine, nelle ultime 24 ore, hanno bombardato più di 50 volte con lanciarazzi Grad, artiglieria, mortai e mezzi corazzati i centri di Novomaryevka, Shirokino, Gorlovka, Spartak, Telmanovo e le vicinanze dell’aeroporto di Donetsk. Il vice Ministro della difesa di Donetsk, Eduard Basurin, ha addirittura riferito che i comandi ucraini si rivolgono direttamente via radio agli ufficiali della milizia chiedendo loro di aprire il fuoco sulle posizioni tenute dal battaglione nazionalista Azov. «Le forze armate ucraine tentano di provocarci alla violazione del cessate il fuoco, chiedendo ai nostri ufficiali di colpire con i mortai o le artiglierie il battaglione Azov, che loro stessi sono incapaci di tenere sotto controllo. Noi ignoriamo tali richieste», ha detto Basurin.
Questo, mentre la situazione sul fronte “civile” ucraino ha visto i neonazisti di Pravyj sektor aggredire nel centro di Kiev i minatori che avevano partecipato a uno dei tanti meeting – definiti dal premier Jatsenjuk “un tentativo di destabilizzare il paese” – per chiedere il pagamento degli stipendi che non riscuotono ormai da alcuni mesi. Naturalmente, la polizia è rimasta a guardare.
In tale situazione, non stupisce che, secondo i sondaggi dell’ucraina Research & Branding Group, quasi 1/3 degli ucraini, nel marzo scorso, si sia dichiarato pronto a lasciare il paese, mentre il mese precedente aveva espresso la stessa opinione il 28% degli intervistati. Il sociologo Evghenij Kopatko ha detto che la prima grossa ondata di emigrazioni si ebbe in coincidenza con Majdan; successivamente, dopo l’inizio della guerra nel Donbass, quasi due milioni e mezzo di persone sono emigrate in Russia e circa un milione sono passate dal Donbass in Ucraina: di queste, molte hanno poi proseguito per la Crimea o per l’estero.
E con la situazione interna ucraina, di fascistizzazione del regime, sembra fare il paio (quando, per molti aspetti, non la ha anticipata) quella della Lettonia, in cui alcune organizzazioni nazionaliste e neonaziste stanno raccogliendo firme per trasferire – cioè: ghettizzare – in zone delimitate del territorio controllate dal Ministero degli interni, circa 250mila “non cittadini” russi che vivono nel paese. La petizione, con la pretesa di “isolare la quinta colonna”, è considerata “legittima” dagli organi di sicurezza lettoni, riferisce RIA Novosti. Secondo l’attivista per i diritti umani Aleksandr Gaponenko, non si tratta nemmeno del primo caso del genere in Lettonia: «Or non è molto, il Ministero della difesa aveva dichiarato che in caso di azioni belliche tutti i non-cittadini saranno internati in speciali lager». Gaponenko ha detto anche che, insieme alla raccolta di firme, si può arrivare anche ad azioni concrete: «non solo l’isolamento degli elementi scomodi, ma anche la loro eliminazione; proprio come sta accadendo in Ucraina. Ritengo che ciò rappresenti una rinascita delle tendenze naziste in Europa».
La petizione, lanciata non a caso nel giorno della data di nascita di Hitler, ha già ottenuto il beneplacito ufficioso del segretario del Ministero della giustizia, Janis Iesalniesk, già noto, scrive la Rossiskaja gazeta, per le sue vedute neonaziste, tanto che in rete aveva definito i lettoni “ariani” e i 250mila russi etnici “non uomini” che devono essere espulsi dal territorio lettone.

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