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Armi e soldi, Parigi e Riad si comprano il regime egiziano

Apparentemente, il conflitto tra Italia ed Egitto dopo l’uccisione del ricercatore friulano Giulio Regeni da parte delle forze di sicurezza del regime di Al Sisi sembra montare. La tracotanza e la scarsa collaborazione da parte del Cairo sta obbligando il governo italiano ad alzare la voce, e dopo il richiamo dell’ambasciatore di Roma si vocifera addirittura di ‘sanzioni’ nei confronti del paese ‘poco trasparente’ mentre anche il governo britannico chiede all’Egitto un’indagine rapida sulla vicenda. A parte le dichiarazioni altisonanti e qualche forma di pressione poco più che simbolica, comunque, è davvero difficile pensare che il governo Renzi faccia qualcosa di serio per allentare le relazioni economiche, politiche e militari con un regime, quello egiziano, che ha un ruolo centrale nella regione ed in particolare nello scenario libico “di pertinenza” di Roma e delle sue imprese petrolifere. Certo per entrambi i governi e i rispettivi apparati economici il conflitto sul caso Regeni rappresenta una consistente grana che al momento non sembra sul punto di essere disinnescata.

Comunque vada, in soccorso del regime del generale Al Sisi sono arrivati nei giorni scorsi sia la Francia sia l’Arabia Saudita, interessate a rafforzare i legami con il Cairo in vista di una estensione della propria influenza nell’area nordafricana e mediorientale.

Molto scalpore, ha fatto in Egitto – dove una parte della popolazione e degli stessi apparati non hanno affatto gradito – il passaggio di sovranità dal Cairo a Riad delle isole di Tiran e Sanafir, all’ingresso del mar Rosso. Nel 1967 la decisione da parte del presidente egiziano Gamal Abdel Nasser di chiudere lo stretto di Tiran, all’imbocco del Golfo di Aqaba, concesse a Israele il pretesto per attaccare Egitto, Giordania e Siria in quella che passò alla storia come Guerra dei Sei Giorni. A quasi 50 anni di distanza il dittatore Al Sisi inverte completamente la rotta, donando al regime saudita le due isole per ringraziarlo dei sempre più consistenti investimenti realizzati al Cairo dal paese capofila del fronte sunnita. Significativo, a dimostrazione della triangolazione Egitto-Arabia Saudita-Israele, il fatto che, secondo la stampa di Tel Aviv, Benyamin Netanyahu era stato messo al corrente dello storico passo da ben due settimane e avrebbe dato il via libera all’operazione. Questo mentre, secondo alcune indiscrezioni, il governo statunitense sarebbe intenzionato a smobilitare il contingente militare Usa incluso nella MFO (Multinational Force and Observers), cioè gli osservatori dispiegati in Sinai per monitorare il rispetto degli accordi tra Egitto ed Israele.

A suggellare la stretta nelle relazioni tra Egitto e Arabia Saudita, nei giorni scorsi, la storica visita al Cairo – durata ben 5 giorni – del sovrano saudita accompagnato da una imponente corte di imprenditori, dignitari e militari. Il regime wahabita sponsorizzò nel 2013 il colpo di stato militare guidato dal generale Al Sisi contro il governo dei Fratelli Musulmani, e da allora Riad ha continuato a sostenere l’Egitto con consistenti aiuti. Nelle casse del generale nel frattempo trasformatosi in presidente sono arrivati 35 miliardi di dollari di prestiti o investimenti, provenienti in larga parte dai sauditi ma anche dagli altri emirati del fronte sunnita. La recente visita del sovrano saudita al Cairo è stata accompagnata dalla firma di una incredibile lista di accordi economici: Riad ha promesso investimenti per quattro miliardi, una parte dei quali destinati allo ‘sviluppo del Sinai’, e un programma da 20 miliardi di dollari in campo energetico. Come se non bastasse, i due regimi hanno annunciato l’avvio dei lavori per la realizzazione di un ponte che attraversi il Mar Rosso unendo così i due paesi. Un progetto faraonico da almeno 4 miliardi di dollari che i docili egiziani hanno proposto di intitolare proprio al sovrano saudita (ammesso che si faccia veramente).

Ma l’Arabia Saudita, in cambio del suo sostegno, chiede ad Al Sisi una disponibilità maggiore nei confronti delle necessità egemoniche di Riad che punta, in particolare dopo l’ascesa al potere un anno fa di re Salman, a rafforzare il polo sunnita, a renderlo più autonomo nei confronti degli Stati Uniti e più attrezzato per uno scontro con l’Iran e i suoi alleati che solo l’intervento russo in Siria ha rimandato.
Negli ultimi anni il regime di Al Sisi ha aderito la cosiddetta ‘Coalizione antierrorismo’ varata dai sauditi per invadere e occupare parzialmente lo Yemen con l’obiettivo di contrastare i ribelli sciiti Houthi; ma finora non ha ottemperato alla richiesta saudita di formare una forza militare congiunta del polo sunnita ed ha addirittura riavviato le relazioni diplomatiche con il governo siriano, nemico giurato di Riad. Ma i prestiti degli anni scorsi non sono bastati al regime egiziano a rimpinguare le casse dello Stato – l’economia è allo stremo soprattutto a causa del crollo del turismo – ed ora i sauditi possono approfittarne per aumentare la propria pressione su Al Sisi. Se l’Egitto vorrà far parte del “nuovo ordine arabo” dovrà ridimensionare le sue pretese di potenza regionale ed entrare senza timidezze nella scia dei sauditi. Un primo segnale di obbedienza da parte egiziana è arrivato alla vigilia dell’arrivo di Re Salman al Cairo, quando l’Egitto ha oscurato Al Manar, la televisione di Hezbollah.

Come detto, anche Parigi non ha perso tempo, conscia delle difficoltà italiane e della crescente pressione saudita. Nei giorni scorsi al Cairo è arrivata una delegazione di 12 alti funzionari francesi in vista della annunciata visita in Egitto del presidente Francois Hollande a partire dal 18 aprile prossimo. Anche in questo caso il capo di stato francese sarà accompagnato da decine di imprenditori e manager che firmeranno con gli omologhi egiziani contratti in campo commerciale, energetico e militare per un valore di diversi miliardi. Nel febbraio del 2015 il dittatore egiziano aveva già firmato un mega contratto con l’industria militare francese per l’acquisto di 24 caccia Rafale, una commessa da ben 5,2 miliardi di dollari (scontentando gli Stati Uniti, tradizionali fornitori di armi del regime egiziano). A finanziare l’operazione fu per metà il regime wahabita e per il resto un prestito garantito dalla Cassa Depositi e Prestiti di Parigi. L’idillio è continuato, e qualche mese più tardi l’Egitto ha acquistato dalla Francia due portaelicotteri Mistral inizialmente destinate alla Russia ma dirottate verso il Cairo a causa delle sanzioni comminate a Mosca dopo il golpe filo-occidentale in Ucraina. In occasione della visita di Hollande nella capitale egiziana è già previsto che si firmi un contratto per la vendita di 4 corvette Gowind, di un satellite per osservazioni e telecomunicazioni militari e altre componenti, per un valore complessivo di due miliardi. Anche in questo caso, visto che le casse di al Sisi sono vuote, a pagare le armi sarà un consorzio bancario capitanato dal Credit Agricole.

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