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L’Unione Europea contro la Catalogna: bene censura e repressione

Il portavoce della Commissione Europea, Margaritis Schinas, ha affermato ieri che la chiusura di circa 200 pagine web in Catalogna da parte del governo di Madrid, rientra all’interno della “legalità”. Il portavoce dell’Ue ha giustificato le misure adottate visto che “sono state ordinate da magistrati in un contesto specifico e ha ricordato che la Commissione non ha competenze specifiche sulla questione riaffermando di fatto, indirettamente, che giudica quanto sta accadendo a Barcellona una questione interna allo Stato Spagnolo. Schinas ha risposto così alle domande di alcuni giornalisti che gli domandavano se, a suo avviso, la censura, la chiusura di numerosi siti web e la persecuzione nei confronti di numerosi mezzi di informazione, indipendentemente dal referendum, non costituiscano “un attacco alla libertà di espressione”, comparando la repressione spagnola in Catalogna con quella realizzata dal governo turco contro giornalisti e libertà di stampa. Il portavoce della Commissione Europea non ha voluto rispondere nel merito.

Già lunedì il vicepresidente dello stesso organismo di governo dell’UE nonché responsabile del dipartimento ‘Stato di diritto’, Frans Timmermans, aveva richiamato “tutti gli attori nazionali, regionali e locali ad agire all’interno dei limiti imposti dalla Costituzione”. Timmermans ha ribadito che la posizione dell’UE non è cambiata e ha voluto sottolineare che Bruxelles rispetta e difende l’ordine costituzionale degli stati membri (anche se in occasione del referendum costituzionale italiano intervenne pesantemente affinché prevalesse il Sì alla controriforma renziana…). Ai leader europei poco importa che la Costituzione Spagnola sia stata in gran parte scritta dal regime franchista desideroso di integrarsi, sotto forme diverse, nell’allora Comunità Economica Europea e nella Nato. E neanche che la democrazia venga sospesa e sequestrata. Un paese membro e di peso come la Spagna che scatena migliaia di poliziotti e militari contro il voto popolare non dà un’immagine proprio edificante di quell’Unione Europea che si erge a paladina della democrazia e dei diritti umani quando occorre intervenire in qualche crisi internazionale o difendere i propri interessi in qualche quadrante del Medio Oriente o del Nord Africa. Il doppio standard non sarà sfuggito a molti.

D’altronde per l’Unione Europea e il suo establishment la eventuale indipendenza della Catalogna, con l’effetto domino che potrebbe determinare su altre nazioni senza stato ad esempio in Francia, rappresenta una consistente grana.

Il composito e variegato schieramento indipendentista catalano è maggioritariamente europeista, ma la forza delle correnti della sinistra radicale che contestano l’austerity e l’autoritarismo di Bruxelles e che in certi casi parteggiano apertamente per l’uscita dall’Eurozona sono consistenti, e il conflitto di questi giorni potrebbe rafforzarle. Tutti i sondaggi danno il partito finora maggioritario, il PDeCat di Luis Puigdemont e Artur Mas, che rappresenta gli interessi della piccola e di parte della media borghesia (l’alta borghesia catalana è contraria all’indipendenza), in forte discesa e comunque l’effetto destabilizzante della vicenda catalana sugli assetti e gli equilibri dell’Unione Europea è oggettivo ed evidente. Non è un caso che l’amministrazione statunitense non abbia condannato il referendum affermando che “lavorerà con l’entità o il governo che ne usciranno” e che in questi giorni i media russi non facciano altro che mostrare immagini della repressione spagnola a Barcellona.

Intanto il Primo Ministro Mariano Rajoy ha deciso di non partecipare alla riunione informale dei capi di Stato e di governo dell’UE prevista oggi e domani a Tallin, un paese la cui indipendenza dall’allora Unione Sovietica venne strenuamente difesa dagli europei alla fine degli anni ’80 del secolo scorso. Rajoy non andrà in Estonia per seguire da vicino la situazione in Catalogna all’approssimarsi dell’appuntamento elettorale di domenica che Madrid vuole assolutamente impedire, a costo di utilizzare la violenza. Il capo del governo spagnolo deve in questi fronteggiare anche i problemi legati all’approvazione del Bilancio dello Stato, visto che dopo la reazione violenta dello Stato Spagnolo contro l’indizione del referendum catalano il Partito Nazionalista Basco ha deciso di sospendere le trattative con l’esecutivo centrale per l’approvazione della Legge Finanziaria obbligando Rajoy a posticiparne il varo.

 

 

Marco Santopadre

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1 Commento


  • Eros Barone

    Nella situazione attuale il compito dei comunisti è quello di propugnare una strategia che garantisca l’indipendenza della classe operaia e difenda i suoi interessi, senza subordinarli a quelli dei diversi settori della borghesia. E’ evidente che né il nazionalismo spagnolo,difensore dello ‘status quo’, né l’indipendentismo con il suo progetto velleitario e avventurista, esprimono gli interessi autonomi della classe operaia. Anzi, la loro caratteristica è quella di essere del tutto estranei ad essa. Entrambe le linee sono quindi antitetiche ad una lotta comunista che tenda, situandosi nel quadro corretto, che è quello statale, cioè spagnolo, a mettere in moto un processo rivoluzionario in cui, combattendo con la massima energia la penetrazione delle idee di altre classi sociali dentro la classe operaia (gli agenti di tale penetrazione sono il riformismo socialdemocratico e ogni tipo di nazionalismo), l’oligarchia venga definitivamente sostituita al potere dalla classe operaia. Solo a questa condizione sarà possibile realizzare il diritto all’autodeterminazione della Catalogna.

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