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Siria, parte l’offensiva di Idlib?

Continua inarrestabile l’avanzata dell’esercito siriano lungo tutto il paese. Nelle scorse settimane Damasco, sostenuto dall’alleato russo, ha rotto il patto di cessazione del fuoco che teneva in vita le enclave dell’Isis e di altri gruppi di opposizione (alcuni dei quali legati ad Al-Qaeda) nelle province meridionali di Dara’a e Quneitra, garantiti e protetti dagli confinanti Giordania ed Israele, scatenando una potente e risolutiva offensiva militare, guidata dai reparti di elites delle Forze Tigre.

Nei mesi di giugno e luglio 2018, uno dopo l’altro tutti i territori dell’area sud-ovest della Siria sono tornati in mano all’esercito siriano dopo circa 4 anni, alcuni come risultato diretto di tale offensiva militare, molti altri come risultato di accordi di resa di vario tipo.

I miliziani legati a gruppi armati più grandi hanno per lo più scelto di posare le armi solo dopo che venisse garantito loro un salvacondotto per raggiungere i propri commilitoni nella provincia di Idlib e nell’area di Afrin, ultime porzioni di territorio in loro controllo (si tratta dello tipo di accordo stabilito in passato su altri fronti, come Aleppo e Ghouta Orientale), mentre gli appartenenti a milizie minori hanno per lo più scelto di arrendersi incondizionatamente e accedere all’amnistia proposta dal Governo centrale, per, poi arruolarsi direttamente nell’esercito siriano. Si tratta di un ennesimo indicatore del mutamento radicale dei rapporti di forza sul campo.

Oltre ad avere recuperato effettivi militari, l’esercito di Damasco ha anche recuperato una quantità senza precedenti di armi pesanti e munizioni, anche tecnologicamente avanzate, che i miliziani, arrendendosi, hanno lasciato indietro: si tratta del risultato di anni di sostegni e forniture a pioggia ad ogni sorta di gruppo di opposizione da parte dei paesi aggressori, ovvero le potenze imperialiste occidentali e le potenze regionali medio-orientali (Turchia e petromonarchie del Golfo Persico).

Da notare che, di fronte alle evoluzioni militari, poco o nulla hanno potuto fare la Giordania e Israele. Quest’ultimo si è limitato ai soliti, episodici bombardamenti su postazioni militari siriane, con il pretesto della presenza iraniana ostile nei pressi dei propri confini, e a lanciare dichiarazioni lamentose verso Mosca, senza, tuttavia, riuscire ad interferire con l’andamento delle operazioni militari. Un’operazione di grande valore simbolico di cui si è resa autore Tel Aviv è stata la poderosa opera di coordinamento dell’evacuazione delle centinaia di “Elmetti bianchi” e delle loro famiglie presenti nell’area. I celeberrimi autori della più scenografica propaganda di guerra anti-governativa sono legati ad Al-Qaeda e quindi considerati un’organizzazione terroristica da Damasco, che li avrebbe messi di fronte al dilemma di arrendersi o morire. Ora sono stati salvati e verranno ricollocati in Europa e in Nord-America come rifugiati di guerra.

Attualmente, l’esercito siriano si sta occupando di eliminare le centinaia, o forse migliaia di miliziani dell’Isis che, non potendo avere accesso a nessun accordo di evacuazione, sono ancora presenti nel deserto (pur non controllando più alcun villaggio o centro abitato) e rappresentano ancora una minaccia, specialmente per i civili (a fine luglio un’ondata di attentati suicidi ha provocato più di 200 vittime a Sweida).

Tuttavia, il capitolo politico/militare più rilevante in questi giorni si sta giocando sulla provincia di Idlib e sulle aree del nord-ovest del paese ancora in mano alle milizie jihadiste; tali aree, negli ultimi anni, sono diventate un vero e proprio bubbone di combattenti, poiché, come detto in precedenza, tutti coloro i quali hanno aderito ai vari accordi di resa negoziati man mano che l’esercito siriano otteneva vittorie sui vari fronti, hanno scelto di ottenere un salvacondotto verso Idlib. Che ora, però, dopo Dara’a, risulta l’ultimo fronte aperto.

Damasco, ovviamente, dati i rapporti di forza sul campo e le buone capacità di ripristino delle proprie strutture e ricostruzione mostrati nelle altre aree liberate, scalpita per poter intraprendere prima possibile quella che effettivamente a questo punto potrebbe la battaglia finale. Lo stesso Presidente Assad si è pubblicamente esposto in tal senso (“Un’offensiva per riprendere idlib partirà al più presto” ha più volte dichiarato).

Formalmente, tuttavia, la provincia di Idlib è coperta dagli accordi di de-escalation stabiliti fra Russia e Iran da un lato (che sostengono Damasco) e Turchia dall’altro (che sostiene i ribelli). Quest’ultimo fattore, però, non garantisce fino in fondo Ankara e i suoi proxy. Essi, infatti, a Idlib condividono la stessa struttura politico/amministrativa (nonché la stessa ideologia integralista sunnita) di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ex Al-Nusra, che, essendo di fatto una depandance di Al-Qaeda in Siria, è esclusa da ogni trattativa politica.

Pertanto, per dare formalmente piena attuazione agli accordi di Astana la Turchia e le milizie da essa sponsorizzate, anziché operare in alleanza più o meno forzata con Al-Nusra, dovrebbe unirsi per sconfiggerla e dare impulso politico al negoziato con Damasco; il fatto che siano ben distanti dal mettere in atto questi passi, consegna sempre un pretesto a Russia e Siria per avviare un’offensiva militare risolutiva contro HTS; ciò nonostante i continui tentativi di unirsi, sciogliersi o cambiare nome che incessantemente fanno i gruppi legati alla Turchia per coprire il legame con HTS stessa.

La verità, dunque, al di là dei formalismi, è che il destino prossimo di Idlib verrà deciso dai negoziati dietro le quinte sicuramente in atto fra la Russia e una Turchia politicamente più isolata che mai, dopo le manovre apertamente ostili in tema di guerra commerciale messe in atto dagli USA nei suoi confronti, che contribuiscono alla caduta della Lira.

L’impressione, dai movimenti in atto in queste ore, è che un’operazione militare ci sarà. Lo fanno pensare una serie di eventi: l’apertura di corridoi umanitari da parte dell’esercito siriano e della polizia russa sulla linea del fronte a sud est di Idlib per consentire a i civili di lasciare le aree controllate dai jihadisti, il ridispiegamento massivo delle Forze Tigre sulla linea del fronte a nord di Lattakia, le pesanti schermaglie in atto su entrambi questi fronti (con cui, evidentemente, l’esercito siriano testa le capacità di reazione dei nemici). Tuttavia, come detto, la reale entità e gli obiettivi di un’eventuale offensiva verranno presumibilmente definiti soprattutto a Mosca.

Altro capitolo politico importante riguarda il ruolo delle Syrian Democratic Forces (SDF), milizie a grande maggioranza costituite dalle Ypg/Ypj curde, appoggiate dagli USA, che controllano circa il 25% della Siria.

Le SDF sono al centro dello scontro fra USA e Turchia, in quanto sono emanazione siriana del Pkk. L’inasprimento del rapporto fra le due potenze NATO nelle ultime settimane costituisce una boccata di ossigeno per tale formazione, dopo che una precedente fase di dialogo fra Ankara e Washington la aveva portata a perdere Afrin per mano dell’intervento diretto turco ed era stata sul punto di provocare il loro abbandono totale da parte della coalizione a guida americana.

I vertici politici e militari curdi stanno sfruttando tale fase per allacciare il dialogo con Damasco, nonostante le smentite che incessantemente provengono dalle figure più rappresentative, nonché dai media ufficiali delle Ypg. Recentemente, una delegazione di alto livello ha viaggiato a Damasco per aprire il dialogo politico con il Governo centrale; degli accordi parziali sono stati raggiunti relativamente alla ricostruzione della diga sull’Eufrate di Tabqa, nell’area di Raqqa (dove l’amministrazione civile e militare delle SDF è in grandissima difficoltà nel ripristinare i servizi essenziali dopo le distruzioni provocate dagli indiscriminati bombardamenti americani nell’abito della lotta all’Isis) e all’amministrazione della città nord-orientale di Al-Hasaka, nella quale è presente un’enclave governativa.

Diversi comandanti militari delle Ypg, inoltre, hanno dichiarato che le loro milizie sono disposte a partecipare alla possibile offensiva di idlib, nella speranza di poter rientrare ad Afrin e alcuni media turchi confermano che già ci sono migliaia di milizie curde schierate a tale scopo.

Tali richieste di unire le forze arrivano dopo il fallimento dell’accordo che a gennaio scorso, avrebbe consentito di evitare l’intromissione turca insediando l’esercito siriano nell’area. Pertanto, anche in questo caso, la reale entità della collaborazione fra le parti è da verificare e dipende anche da fattori esterni (vedi rapporti USA-Turchia e Russia-Turchia).

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