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Russia: per ora nessuna riforma della Costituzione eltsiniana

Quando si avvicina il 25° anniversario della Costituzione eltsiniana e nonostante Vladimir Vladimirovič abbia ribadito l’intenzione di portare a compimento il proprio mandato, fino al 2024, alcuni settori del cosiddetto establishment ipotizzano cambiamenti costituzionali, nella prospettiva di un dopo-Putin che i soliti circoli liberali sognano già nel prossimo anno. L’occasione è stata data da un voluminoso intervento del Presidente della Corte Costituzionale, Valerij Zorkin, pubblicato il 10 ottobre dall’ufficiale Rossijskaja Gazeta.

Tra le modifiche proposte, su cui maggiormente si è soffermata l’attenzione, proprio perché da qualche parte si ipotizza di affidarne la direzione a Valdimir Putin, al termine della sua “carriera” presidenziale, spiccherebbe il rafforzamento del ruolo del Consiglio di stato, nel quadro della revisione della ripartizione dei poteri tra i massimi organi statali. Zorkin si dice contrario a bruschi cambiamenti e, mirando invece ad aggiustamenti mirati. Secondo lui, l’obiettivo fissato al momento dell’adozione della Carta, nel 1993, di un rafforzamento dei poteri presidenziali contro l’opposizione parlamentare, appare oggi troppo sbilanciato a favore dell’esecutivo e ci sarebbe anche insufficiente chiarezza nella distribuzione dei poteri tra presidente e governo, oltre a un discreto squilibrio nel sistema di pesi e contrappesi istituzionali

Zorkin non esclude una modifica anche della disposizione che oggi conferisce alle autonomie locali marcata indipendenza dal potere centrale. Si tratterebbe insomma di mettere da parte lo slogan “prendete tutta la sovranità che potete inghiottire”, che era servito a Eltsin sin dal 1990 e ’91 per contrapporsi ai poteri centrali sovietici; Zorkin ritiene che il governo locale debba essere l’anello più basso del potere centrale, in modo da ridurre i conflitti tra élite locali e federali.

Oltre al portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov, anche esponenti di Duma e Senato, pur riconoscendo la necessità di “aggiornamenti” specifici, (è forse il caso di ricordare che, salvo limitati aggiustamenti, l’attuale Carta è quella approvata nel dicembre 1993 e scritta, come ricorda Sergej Mikheev su pravda.ru, “sotto dettatura yankee”), escludono nel modo più assoluto l’eventualità di riforme della Costituzione.

Quando nel 2003, l’allora Presidente Dmitrij Medvedev, confermò la nomina di Valerij Zorkin a presidente della Corte Costituzionale (lo era stato dal 1991 al 1993), Aleksandr Frolov ricordò su Sovetskaja Rossija come Zorkin fosse stato “uno dei protagonisti della controrivoluzione del 1991, sottoscrivendo la protesta contro il GKCP”; ma anche come poi, sempre lui, quale presidente della Corte, avesse contestato vari decreti eltsiniani: in particolare, nel 1993, il famigerato N° 1400 che scioglieva il Soviet Supremo della Russia. La cosa gli era costata il posto, che avrebbe occupato di nuovo, appunto, dieci anni dopo.

All’inizio del 1994, allorché all’appello “di pacificazione” lanciato da Eltsin, la sinistra, comunista e non, aveva risposto con il cartello “Intesa per la Russia”, Zorkin era stato il primo firmatario del nuovo movimento.

Nell’intervento pubblicato cinque giorni fa, Zorkin argomenta i propri rilievi alla Carta, con ragionamenti “a tutto tondo” che, in estrema e somma sintesi (impossibile dar qui pienamente conto del suo sterminato intervento) possono condensarsi nella scoperta del “mostruoso divario tra segmenti della popolazione”, del fatto che “le principali fonti di tensione nella società sono date dai problemi sociali ed economici irrisolti”, generate dal “sentimento di ingiustizia”, approfondite dalla “naturale stanchezza della popolazione per trent’anni di riforme” e delle “ingiuste privatizzazioni” di Eltsin-Chubajs-Gajdar, il cui peso è avvertito come “distribuito in maniera estremamente iniqua”.

Zorkin accenna al “cambiamento nelle relazioni tra datori di lavoro e lavoratori” e alla “mancanza di diritti” di questi ultimi. Ma, dice, da ciò non discende “un declino del significato dei diritti “liberali”, né significa sottovalutare l’importanza della protezione costituzionale dei valori della proprietà privata e della libertà economica. È importante notare che, pur con tutti i costi di creazione dell’istituto della proprietà privata nella Russia post-sovietica, tale diritto è il risultato più importante delle riforme attuate nel paese”.

Detto questo, si assiste a una sorta di piroetta, forse tipica del personaggio, e Zorkin nota che la “società russa è consapevole del legame tra problemi socio-economici e ingiustizia della privatizzazione delle proprietà pubbliche negli anni ’90. E questo non solo mette in dubbio la legittimità del sistema esistente di proprietà, ma porta anche all’erosione della fiducia del pubblico nella giustizia del sistema sociale”.

Zorkin parla delle idee filosofiche alla base della coscienza sociale e politica delle élite russe di fine XIX e inizi XX secolo, quali solidarietà, collegialità – un “collettivismo insito nel popolo russo”, dice – responsabilità verso gli altri. Scrive della necessità di una teoria giuridica che combini libertà individuale e solidarietà sociale, ferma restando la sacralità della proprietà privata. A livello politico, sogna di un sistema bipartitico, anche se, dice, “l’attuale modello di democrazia rappresentativa liberale, caratteristica dei paesi più sviluppati … chiaramente non riesce a far fronte alle sfide moderne”.

Sul piano del diritto internazionale, propone interessanti considerazioni sui rapporti con istituti sovranazionali: in particolare tra disciplina giuridica nazionale – e “modo di sentire della maggioranza della popolazione” – e Corte Europea per i Diritti Umani. Quest’ultima, dice Zorkin, “mira a creare un nuovo ordine europeo unificato” e, però, l’ordinamento “nazionale non può andare oltre i limiti dell’interpretazione, stabiliti sia dalla Costituzione, che dalle convenzioni fissate nella società, che sono alla base dell’identità costituzionale di un popolo”.

In definitiva, da tutto il ragionamento, tornando al sunto delle osservazioni a proposito dell’attuale “sbilanciamento di poteri” e, nello specifico, al nodo di quale nuovo ruolo debba riservarsi al Consiglio di Stato, il politologo Aleksandr Khaldej nota su iarex.ru che, a partire dal boom delle privatizzazioni di venticinque anni fa, è sorta una élite legata al Presidente che, con l’arrivo di un altro leader al Cremlino – dovrà in ogni caso verificarsi tra cinque anni – teme di perdere le proprie posizioni affaristico-politiche.

Perché è chiaro, che nelle condizioni di squilibrio del potere a vantaggio dell’esecutivo, il nuovo Presidente avrebbe libero gioco nella ridistribuzione delle proprietà (una sorta di spoils system oligarchico) a favore di nuovi gruppi di influenza. Quindi, per scongiurare un simile scenario e una redistribuzione di poteri e proprietà, le élite attuali, legate all’attuale Presidente, intendono premunirsi per tempo e rafforzare il controllo sulla maggioranza parlamentare. Lo strumento sarebbe dato dal nuovo status del Consiglio di Stato, soprattutto se presieduto da Vladimir Putin.

Per il momento, però, la barra è fissa al centro.

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