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La rendita immobiliare in Francia e in Europa: chi fa i soldi e chi ci muore

A dicembre il prezzo di un’abitazione a Parigi potrebbe oltrepassare i 9.600 euro a metro quadrato, con una crescita del valore degli immobili che – anche se inferiore all’anno precedente, che aveva visto un aumento del 8,7% – si attesterà probabilmente oltre il 6%.

Con i suoi 9.420 euro a metro quadro, la capitale francese, è attualmente la terza città più cara del pianeta, dopo Londra e New York.

Per avere un termine di paragone, disponendo di 300.000 euro si possono comprare 18 metri quadri a Londra, 20 a New York e 31 a Parigi.

Con la stessa cifra si può prendere un immobile di 70 metri quadri a Berlino – una città dove la speculazione edilizia è in forte crescita – e 100 metri quadri a Bruxelles.

La città tedesca ormai non è più un’oasi anche per le fasce basse e meno basse della popolazione.

200.000 persone si sono installate a Berlino tra il 2011 e il 2016, ma sono stati costruiti solo 40.000 alloggi di lusso e non adatti ai bisogni della popolazione”, ha dichiarato Dirk Böttcher, a capo dell’organismo del Senato berlinese incaricato delle politiche abitative, ai ricercatori di La Fabrique de la cité.

I costi degli affitti nella capitale tedesca sono aumentati del 32% dal 2010 al 2015, mentre il prezzo di vendita si è acceso con una maggiorazione del 68% nello stesso periodo, facendo cambiare volto ad alcuni quartieri della città.

Un recente overlook immobiliare a livello continentale confermava questa tendenza di un generale aumento del prezzo degli immobili a livello continentale, con alcune grandi città che fungono da vettori per questo fenomeno, e in cui la sola Milano, in Italia, sembra legarsi a questo trend, con valori prossimi a quelli di altri grandi città europee.

Tornando a Parigi, a cui Libération ha dedicato un reportage, il 29 ottobre, da cui abbiamo tratto parte di questi dati, la capitale supera di due volte e mezzo Lione e di quattro volte Marsiglia per il valore delle abitazioni a metro quadro, e funge da traino per la speculazione edilizia, riverberandosi sia nelle altre città di una certa dimensione, sia nelle zone più vicine alla capitale.

Questo fenomeno interessa infatti non solo lo stretto perimetro parigino (dentro il Boulevard Périphérique), ma la cerchia immediatamente successiva “la petite couronne” (con un più 6,6%) e in misura minore quella ancora oltre “la grande couronne”, dove l’aummento dei del 2% è comunque superiore all’inflazione.

In generale, tutta l’île-de-France – dove vive un quinto della popolazione francese – è interessata allo stesso fenomeno.

Ormai la capitale non è più accessibile alla classe media, costretta a spostarsi sempre più in zone più periferiche rispetto al centro: “una vera centrifuga che li spinge al di là di Nemours nel sud di Parigi, a di là di Rambouillet ad ovest, al di là della Meaux a est e alla Compiège a Nord”, secondo ciò che ha dichiarato un esperto del settore a Tonino Serafini di Libé.

A far levitare i costi sono per un buon 25% gli investitori, mentre circa un 12% è composto da proprietari provenienti dall’estero e coloro che rivendono un immobile, guadagnando grazie alla levitazione del prezzo, per ricomprarne un altro.

Completa il quadro di questa corsa verso l’alto dei prezzi, data dalla rendita ottenibile, il fenomeno delle piattaforme digitali, che fanno preferire l’affitto (o il sub-affitto) a più breve periodo a turisti rispetto ad una opzione che comprenda non solo chi è “in transito” nella città.

Solo a Parigi, Airbnb propone 60.000 possibilità d’alloggio!

Una inchiesta di “Le Monde” dal significativo titolo “il caro-alloggi, un male europeo” dà un quadro abbastanza esaustivo del fenomeno, basandosi su una ricerca finanziata da Vivendi al think tank La fabrique de la cité presentata il 7 novembre: “A la recherche du logement abordable: un défi européen”.

Nella ricerca è interessante notare come la Commissione Europea sia intervenuta direttamente per demolire le politiche sociali della casa, costringendo ad una inversione di tendenza che ha causato vere e proprie emergenze sociali anche lì dove c’era una politica abitativa virtuosa, come in Svezia.

Assecondando i desiderata dei proprietari immobiliari, la Commissione ha demolito progetti avanzati, risalenti agli anni Sessanta, con una notevole offerta di alloggi pubblici che promuovevano la convivenza tra strati sociali diversi, aumentandone la coesione.

L’ex vicesindaco di Stoccolma, che era incaricata delle politiche abitative, ha dichiarato senza mezzi termini: “se non riusciamo a rispondere alla sete di alloggi, rischiamo la rivolta”.

Un dato su tutti fa comprendere l’inversione di tendenza a livello europeo: l’investimento pubblico per la costruzione degli alloggi è passato, tra il 2007 al 2016, da 42 miliardi di euro all’anno a 27, ovvero dallo 0,7% al 0,4% della spesa pubblica complessiva.

Di fatto un grosso regalo alla rendita privata e ai suoi maggiori attori, che hanno avuto campo libero nell’imporre le loro politiche producendo risultati sociali disastrosi.

Un’inversione di tendenza che ha solo in parte risparmiato la Francia, che ogni anno costruisce ancora più di 100.000 unità abitative pubbliche, promuovendo finora una politica anti-ciclica.

Ma l’era Macron vuole stravolgere questo portato positivo della politica abitativa francese.

Al contrario”, scrive Isabelle Rey-Lefebre nel succitato articolo del 26 ottobre, “il governo francese, con la legge ELAN e le leggi in materia di finanza, tassa i bailleurs sociaux di 1,5 miliardi di euro, forzandoli a vendere il patrimonio”, cioè costringe ad alienare gli immobili pubblici e a ridurre il parco alloggi disponibile per fare cassa.

Per rimanere all’Esagono, a parità di potere d’acquisto tra il 2010 e il 2016, la proporzione della spesa per un alloggio è aumentata del 16% per unità familiare; le fasce giovanili sono la parte della società che soffre di più questa situazione – devono destinare alla casa più del 40% delle proprie disponibilità – circa il doppio rispetto all’insieme della popolazione: l’11,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni consuma per l’alloggio quasi la metà delle proprie possibilità di spesa.

Le città, di cui Parigi è uno degli esempi più eclatanti, funzionano da catalizzatore della forza lavoro viste le opportunità che offre, ma non permette di accedere ad un alloggio senza dilapidare i propri averi e senza passare per le forche caudine della speculazione immobiliare, trainata da un lato dalla trasformazione del patrimonio immobiliare in un qualsiasi “veicolo di investimento” da parte delle società finanziarie, e dall’altro dall’industria turistica.

Prendiamo il caso della Spagna, che è stata attraversata da uno tsunami immobiliare negli anni precedenti la crisi, generando quella trama di poteri che hanno intrecciato sistema bancario, industria delle costruzioni e ceto politico governativo, portando sul lastrico quella porzione della popolazione che non poteva più permettersi di onorare i propri debiti con le banche, ma che a causa di una legge sono costrette a pagare anche dopo il pignoramento dell’immobile.

Il prezzo degli affitti è esploso negli ultimi quattro anni, soprattutto nelle grandi città, con un aumento del più del 30% a Madrid e del 50% a Barcellona, e nessuna inversione di tendenza è alle viste.

Dove la rendita non trova interesse c’è invece l’abbandono puro e semplice, dove c’è l’incuria si aggirano veri e propri pescecani che speculano sulle fasce più vulnerabili della popolazione, che non hanno altra soluzione.

Ciò che è successo recentemente a Marsiglia ci parla proprio di questo. Il “rinnovamento” urbano è perseguito solo se fa gola agli interessi speculativi ed espelle i ceti popolari da un territorio, come è già successo per alcuni quartieri entrati nel circuito della valorizzazione del turismo “mordi e fuggi”.

Fino a che si danno queste condizioni, l’immobilismo politico rispetto a situazioni “emergenziali” non è certo avaro nel trovare il modo per rendere fruttuosa una rendita di posizione, specie se si governa da più di venti anni la stessa città, come l’attuale sindaco Jean-Claude Gaudin, che può vantare una pletora progetti mai realizzati.

Allora si può costruire un nuovo stadio – salvo poi farlo gestire ad un operatore privato -, militarizzare un cantiere teso a cambiare volto ad una zona popolare privandola di un suo mercato e di uno spazio di accesso pubblico, come a La Plaine; si può costruire un albergo di lusso a pochi passi da dove l’incuria fa crollare i palazzi e perdere vite umane.

Un disastro annunciato, pur esistendo a Marsiglia – secondo un rapporto redatto sul campo da un funzionario esterno alla trama di poteri politici locali – più di 40.000 alloggi privati indegni e degradati, che costituiscono un rischio per la salute o la sicurezza per le circa 100.000 che vi abitano.  

Anche in Francia, la questione abitativa è uno dei nodi centrali su cui si gioca materialmente la riconquista del diritto alla città, anche per riequilibrare una gerarchia spaziale che alla fine catena dello sviluppo diseguale trasforma la vulnerabilità sociale in possibilità di perdere la propria vita.

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