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Parigi-Berlino: la sfida delle elezioni europee e la strategia di Macron

Negli equilibri politici continentali, le elezioni europee di fine maggio prossimo stanno assumendo sempre più importanza.

Il futuro dell’asse franco-tedesco, su cui si era strutturato il processo di integrazione dell’Unione Europea e la chance di rilancio a tutto campo del rafforzamento politico di questa ipotesi dopo l’elezione di Macron in Francia, è pieno di incognite.

Se la gestazione della riproposizione della Grosse Koalition aveva avuto notevoli difficoltà, gli esiti elettorali “regionali” prima in Baviera e poi in Assia hanno confermato un notevole calo di consensi in direzione degli attori politici che compongono la “GroKo” (gli alleati CSU e CDU da una parte e la SPD dall’altra), spingendo Angela Merkel ad annunciare il prossimo addio alla politica.

Frau Merkel” non si candiderà alla testa della CDU alle imminenti elezioni interne e, ancora più importante, non concorrerà come “cancelliere” alle prossime elezioni politiche. Nè concorrerù per cariche europee.

Durante quest’intervallo di tempo verranno meno quei presupposti, eredità dell’azione di H.Kohl, che vedevano la Merkel tenere le redini della CDU e contemporaneamente essere a capo del governo, guidando direttamente le tappe della politica dell’Unione.

La Merkel è stata per tredici anni un pilastro della configurazione attuale dell’Unione; la sua uscita di scena ha profonde ripercussioni anche in Francia e probabilmente prelude alla fine di un’epoca.

La sua parabola discendente non è solo la fine di una carriera politica, ma il crepuscolo dell’ipotesi di governo di un processo giunto ad un impasse evidente.

Certo la Merkel ha risposo timidamente ai temi lanciati da Macron nel celebre discorso sull’UE pronunciato il 26 dell’anno scorso alla Sorbonne; nodi su cui non c’è stato un reale avanzamento fino ad oggi, e su cui il futuro coinvolgimento tedesco sarà determinato anche da chi sarà il successore alla testa della CDU.

Anneget Kramp-Karrenbauer, la “mini-Merkel” che si candida alla leadership della CDU, prima di essere eletta segretaria generale di questa organizzazione politica in febbraio, ha governato per sette anni il Land di confine della Saar che intrattiene strette relazioni con l’Esagono ed è stata piuttosto discreta sul futuro delle relazioni tra Parigi e Berlino.

Al contrario di Friedrich Merz, che il 21 ottobre, attraverso il quotidiano Handelblatt, pubblicava un testo scritto insieme ad Jürgen Habermas, in cui si affermava: “Noi facciamo pressioni sul governo tedesco per prendere delle iniziative forti, con il presidente francese Emmanuelle Macron, con il fine di rinforzare l’unione economica e monetaria […] noi abbiamo bisogno di una politica di spesa per la zona euro”; ribadendo così il proprio consenso al progetto macroniano di un esercito europeo e di una “indennità di disoccupazione europea” contrastata dalla Merkel, ma propugnata dal ministro social-democratico della “GroKo”, Olaf Scholz, forse l’attuale uomo politico di governo più vicino all’idee del leader di En Marche!.

Anche i verdi tedeschi puntano ad un approfondimento dei temi proposti dal presidente francese.

Franziska Branter, deputata ecologista, ex presidente del gruppo d’amicizia franco-tedesco che sta partecipando alla stesura di un nuovo trattato dell’Eliseo voluto da Macron, ha deplorato che: “di fronte a Macron, il governo tedesco non ha proposto nulla e ha detto praticamente no a tutto”.

Si potrebbe dire che l’ultima fase dei rapporti franco-tedeschi è la cronaca di un occasione mancata, cui le elezioni di Ralph Brinkhaus alla testa del gruppo CDU-CSU al Bundestag il 25 settembre, conosciuto per le sue posizioni molto ortodosse è la tappa precedente all’annuncio della Merkel.

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Scrive Riccardo Sorrentino sul Sole 24 Ore di mercoledì 31 ottobre, in Strada in Salita per Macron, l’ultimo degli europeisti: “da solo Macron – che gode in patria di un consenso molto basso – non potrà fare molto; a meno che non cambi strategia. In Francia e in Germania molti si chiedono se potrà essere il nuovo «Mr Europa», così come Angela Merkel fu definita da Time, «Mrs Europa» […] Occorre qualcosa di davvero nuovo che, al momento, non si intravede ancora”.

L’ultimo degli europeisti sta preparando le elezioni europee in uno scenario di mutati rapporti euro-atlantici in continua trasformazione, senza godere di un sistema consolidato di alleanze a livello continentale (non essendo parte dei due maggiori schieramenti politici presenti nel parlamento europeo), mutilato del suo “braccio destro” tedesco; e, non da ultimo, ha sempre meno capacità di risollevare le sorti della sua immagine, decadente in patria.

Anche l’ultimo tentativo di riconquistare credibilità attraverso la sua “itinérance” lungo i luoghi simbolo della Prima Grande Guerra Mondiale in Francia, iniziata il 4 novembre e terminata questa domenica all’Arc de Triomphe – “due regioni, undici dipartimenti, 17 città”, come annunciato nel comunicato stampa ufficiale – si è trasformato in un gigantesco boomerang.

Il leader di En Marche! aveva programmato da tempo un itinerario in cui avrebbe dovuto contemporaneamente fare un uso politico della storia passata, nel solenne ricordo delle sofferenze della Grande Guerra, e confrontarsi con quelle presenti. Ma ha fallito in entrambi i campi.

Questo viaggio a tappe serrate avrebbe dovuto essere un modo per ribadire la sua vicinanza al mondo militare, in un contesto di accentuate sfide per un Paese che Manuel Macron, poco più di un anno fa, voleva trasformare in “grande potenza”, anche nucleare, rispolverando la grandeur di una Francia che vuole consolidare ed accrescere il suo peso geo-politico a livello mondiale.

Le sue esternazioni sul Maresciallo Pétain, “grande soldato” nella Prima Guerra Mondiale, scorrette da un punto di vista storico (in quando non combattente) e quanto meno inopportune dal punto di vista politico – al di là delle precisazioni di Macron sulle scelte politiche successive del Maresciallo – hanno sollevato un moto di indignazione che è andato ben oltre l’ambito degli studiosi di storia.

Macron ha di fatto rispolverato un vecchio “cavallo di battaglia” dell’estrema destra francese.

Pétain fu la più alta carica di un regime collaborazionista con l’occupante nazista, che si distinse per il suo zelo e che – coi suoi apparati repressivi – riuscì ad andare oltre le stesse pretese dei nazisti in differenti campi (dalla politica anti-ebraica alla repressione anti-partigiana, per esempio), portando a compimento i progetti di una parte rilevante dell’establishment francese che era stato terrorizzato dall’esperienza del “Fronte Popolare”.

I contatti di Macron con la popolazione nella sua “intinérance” non hanno fatto che moltiplicare gli episodi di critica del suo operato: dal 57enne che l’ha apostrofato con l’epiteto di “presidente dei ricchi”, all’operaio della Renault di Meubeuge che ha interrotto il suo discorso durante la sua visita dicendo che “non è il benevenuto qui”; come in altre occasioni simili in cui gli auspicati bagni di folla si sono trasformati in occasioni per sentire intonare il coro “Macron Démission”.

Come ha dichiarato in maniera anonima un deputato di LRM a Le Monde: “Alla fine, quale bilancio stendere? Si constata che quando il presidente incontra i francesi, si fa urlare contro di tutto. Si dimenticherà il grande momento storico del centenario, e nella memoria rimarrà solo ciò che ha detto su Pétain”.

Alle prese con la protesta montante per l’aumento del costo del carburante, che vedrà dei blocchi generalizzati in tutta la Francia, il 17 novembre, Macron perde ancora di più quell’appeal che aveva saputo guadagnarsi con la sua narrazione prima delle elezioni presidenziali.

Ma come intende giocarsi la partita delle elezioni europee, primo test importante di “metà mandato”, che precedono le elezioni ammnistrative francesi del 2020, secondo banco di prova del “macronismo”?

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Innanzitutto, la strategia del più giovane presidente della Quinta Repubblica è stata quella di imporre i termini della narrazione politica, presentando l’appuntamento elettorale europeo come scontro esclusivo tra “progressisti” e “nazionalisti”, con la formazione guidata da Macron a guidare il primo campo. Questa prassi discorsiva gli ha permesso di bypassare l’asse tradizionale destra-sinistra, ridisegnando i campi dello scontro politico, sia nell’Esagono che a livello continentale, oltre gli schieramenti che egemonizzano il quadro della rappresentanza politica in senso blandamente bipolare.

In secondo luogo, Macron ha scelto il suo avversario principale nell’ex Front National, quel Rassemblement National in cui l’esito delle elezioni presidenziali di un anno fa aveva aperto una crisi che ora l’insperato endorsement di Macron può in parte risolvere.

Il 6 novembre il leader di En Marche ha infatti dichiarato: “Ci si è scordati qual è stato il partito che ha vinto le ultime elezioni europee in Francia? Il Front Nationale, spero che non le rivincerà”.

In effetti, nelle precedenti elezioni europee, il Front National arrivò al 24%, ma vista la situazione attuale queste dichiarazioni sembrano essere un gioco di sponda per escludere un terzo incomodo.

In questo modo Macron, non indicandolo di fatto, esclude dall’attenzione mediatica il suo vero antagonista – e non semplice competitor – ovvero la France Insoumise, che va ripetendo da fine agosto che vuole fare delle elezioni del maggio prossimo un “referendum contro Macron”.

Un gioco, quello della censura, che sembra essere stato assunto come un obbligo dai media mainstream d’Oltralpe, serialmente replicato anche in Italia.

Una forza politica, quella guidata da Jean Luc Mélenchon, che sulle elezioni europee si gioca una grossa partita e che ha da lungo tempo selezionato una lista di candidati, lasciando una serie di posizioni vacanti nella lista affinché possano essere integrate da una serie di persone non organiche agli Insoumis.es, e che è sul punto di varare – entro fine novembre – un programma europeo, oltre ad avere costruito una alleanza con altre forze continentali già da questa primavera.

Il RN (ex-FN) è forte di un rapporto organico con le altre forze continentali della destra populista, tutte facilmente cooptabili dentro le strategie di governance dell’oligarchia europea.

Marine Le Pen non ha bisogno di articolare un programma dettagliato, ma solo di ribadire una visione del mondo che fa della lotta all’immigrazione l’alfa e l’omega della politica, così come suggerito dagli spin doctor della destra globale.

La “France des oubliés”, secondo la teorizzazione lepenista, cioè la Francia dei dimenticati, è il soggetto a cui si rivolgerebbe il RN, offrendo – come i conservatori di LR di Laurent Wauquiez (appartenenti al Partito Popolare Europeo) – la spiegazione per cui le cause del malessere sociale andrebbero ricercate nei fenomeni migratori.

L’imposizione dell’“ordine del discorso” da parte di Macron è il necessario preambolo per poi, ad inizio gennaio, passare alla fase successiva, formulando proposizioni più precise.

In realtà questa prima parte della strategia non soddisfa la totalità di En Marche!, e soprattutto degli alleati MoDem, che fanno parte dell’attuale maggioranza governativa.

Non è stato designato alcun capolista per le europee: circolano le voci su Pascal Canfin, direttore generale di WWF Francia, che era un papabile successore al ministro della transizione ecologica dimissionario Nicolas Hullot, così come Bernard Guetta, ex-giornalista di France Inter.

Macron ha designato il 33enne Stephané Séjourne come dirigente della campagna politica europea di LRM. L’ex consigliere del capo di stato, che proviene dalle fila del partito socialista, è stato un elemento di collegamento costante tra gli eletti di LRM ed il Presidente, candidati che aveva personalmente selezionato per le legislative insieme a Jean-Paul Devoye.

Séjourne ha il difficile compito di consolidare le alleanze del movimento, anche con il centro-destra dei “juppisti” di Agir e i centristi di UDI che deve convincere a non lanciarsi autonomamente nella competizione elettorale.

Questo elemento di spicco della cosiddetta “bande de Poitiers” – che prende il nome dal movimento dei giovani socialisti che nel 2006 avevano bloccato l’università di Poitiers contro il CPE (contract prémiere embauche), passati poi “armi e bagagli” al movimento di Macron dopo una brillante carriera nel PS – è ben conscio che: “la questione [elezioni] europee andrà a determinare il seguito del Quinquennat” .

Questo uomo-ombra del presidente, possibile candidato lui stesso, intende “europeizzare” questa campagna: “bisogna che gli elettori ne abbiano una percezione europea”, come ha dichiarato a “Le Monde” il 10 novembre.

Il gioco è chiaro: non far passare l’idea, controproducente, che si tratti di un referendum sull’operato del Presidente, ma di uno scontro sulle sorti della UE.

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Appare abbastanza palese come i termini del confronto politico d’Oltralpe, per come li ha impostati Macron, siano stati acquisiti anche in Italia nella falsa opposizione “liberali” contro “illiberali”, quel fronte auspicato da Cacciari, che va “da Macron a Tsipras”, come exit strategy per un quadro della rappresentanza politica delle forze “europeiste” in evidente crisi di legittimità.

La contrapposizione tra destra e presunta “sinistra”, a causa delle comuni responsabilità nell’aver portato avanti il processo della UE, che si è dimostrato una immensa sciagura per le classi subalterne, agli occhi del nostro “blocco sociale”, sembra aver perso di qualsiasi significato per la loro complementarietà d’azione.

I termini dello scontro saranno probabilmente quelli tra una compagine che lotta “per la sovranità europea”, cavallo di battaglia di Macron, per affermare l’UE come attore geo-politico globale di primo piano ed unico orizzonte attraverso cui costruire una base di consenso al progetto della nuova “Sacra Unione” europeista, e quella che saprà incarnare il rifiuto dello status quo da parte di fasce sempre più ampie di subalterni.

Le oligarchie europee, per neutralizzare la forza dirompente della critica alla UE, hanno già affidato il compito della falsa opposizione alla destra populista (già ben disposta ad entrare, con un ruolo subordinato, nella cabina di regia) o alle formazioni propriamente neo-fasciste.

In Francia un’ipotesi politica che “rompe” questo schema, come la France insoumise, è per questa ragione sotto attacco costante ed è la punta di lancia di un progetto continentale denominato “E Ora il Popolo”.

Non comprendere questo scenario mutato dimostra tutta la miopia politica di un ceto politico residuale della “sinistra radicale”, incapace di pensare il cambiamento di paradigma per cui è ora necessario “fare tutto il contrario”, pena la subordinazione all’autonominata “sinistra liberale” e quindi all’irrilevanza politica, in una tragicomica coazione a ripetersi.

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