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La lotta contro “scuola del disprezzo”: la riforma dell’istruzione in Francia

La riforma dell’istruzione francese – conosciuta come Lois Blanquer, dal nome del Ministro dell’Educazione che l’ha proposta – è stata approvata all’Assemblea Nazionale il 19 febbraio di quest’anno, con 353 voti favorevoli e 171 contrari, ed arriverà in Senato l’11 maggio.

Le opposizioni, in particolare il PCF e la France Insoumise, si sono scagliate contro la sua approvazione. La deputata comunista Elsa Faucillon ha tuonato contro la maggioranza affermando: “voi destrutturate il quadro nazionale dell’educazione nazionale e della Funzione Pubblica”, sintesi perfetta della fine dell’idea di scuola pubblica per come si era affermata in Francia da un secolo a questa parte.

Dal canto loro i sindacati, che oggi ne chiedono il ritiro e non la modifica parziale, ai tempi avevano condannato l’atteggiamento dell’esecutivo parlando solo di “metodo verticale”, come si sono espressi in un comunicato.

L’approvazione di questa legge – che rischia di cambiare in profondità il mondo della scuola francese – non è stata preceduta da alcun confronto con le parti sociali interessate, com’è ormai prassi consolidata della governance macroniana, né da un vero dibattito.

In circa 5 giorni sono stati approvati 25 articoli della legge e circa un migliaio di emendamenti.

L’opposizione a questo disegno ha messo in fibrillazione ndell’Esagono tutto il mondo della scuola, che è entrato unitariamente in mobilitazione in un clima di rinnovato protagonismo sociale iniziato con la marea gialla del 17 novembre scorso.

Questo processo di sensibilizzazione sulla condizione del mondo della scuola era stato preceduto da due fenomeni tipici dell’era della comunicazione diglitale: #PasDeVagues e poi la creazione del gruppo FB Les Stylos Rouges, avevano dato voce a chi la scuola la vive, mettendo in luce aspetti sottaciuti come lo scarso rispetto di cui gode la professione (frutto di una lunga e negativa campagna condotta dalle élites), i fenomeni di burn out, l’impossibilità di potersi permettere un alloggio dignitoso vicino al luogo di lavoro quando si vive una condizione poco garantita in un contesto dove la vita è assai cara…

Tre momenti in particolare hanno caratterizzato le mobilitazioni del personale scolastico in queste settimane: a) lo sciopero del 19 marzo (il giorno del secondo sciopero generale intercategoriale promosso da CGT, SUD e FO, dopo quello del 5 febbraio che era stato organizzato solo dalle prime due sigle); b) le manifestazioni di sabato 30 marzo (15.000 a Parigi, 2.500 a Nantes, 5.000 a Marsiglia, 2.000 a Toulouse, 1.000 a Niort, 2.000 ad Angers, 3.000 a Lione, 3.000 a Bordeaux – secondo le cifre fornite da FO); c) lo sciopero con manifestazioni del 4 aprile, che ha visto la regione parigina – l’Île-de-France – essere uno degli epicentri per ciò che riguarda la partecipazione allo sciopero e la riuscita della manifestazione.

Gli insegnanti sono in “mobilitazione permanente” dando vita a scioperi, chiusura delle scuole, assemblee generali insieme ai genitori e tentativi di coordinarsi a livello regionale.

Ma cosa prevede questa legge per “une école de la confiance”, come l’ha ribattezzata il ministro, una sorta di “buona scuola” francese (almeno nello stravolgimento semantico operato dalla neo-lingua delle élite)?

In generale, la legge approfondisce le disparità territoriali e le differenze sociali, permette ai privati di entrare pesantemente nel mondo della scuola, limita fortemente il “diritto di critica” del personale – “mette la museruola”, come denunciano i manifestanti – impoverisce la formazione professionale del corpo docente (e quindi la qualità dell’insegnamento); non ultimo, svuota gli istituti professionali di una qualsiasi funzione che non sia l’apprendimento strettamente legato al settore di attività per cui si viene formati.

Andiamo con ordine.

L’articolo uno prevede misure disciplinari per “il personale dell’educazione nazionale che si è reso colpevole di fatti che recano danno alla reputazione del servizio pubblico”, volendo di fatto azzittire gli insegnati o quanto meno a scoraggiarli.

Viene soppresso il CNESCO e creato il Conseil d’Évaluation de l’École, i cui gli obiettivi sono profondamente trasformati e la composizione viene largamente legata al ministero (10 membri su 14), eliminando a fortiori una valutazione indipendente delle politiche educative.

L’obbligo di istruzione viene anticipato dai 6 ai 3 anni, costringendo così i comuni al finanziamento degli istituti privati, quando solo un numero irrisorio di bambini – localizzati soprattutto nei DOM-TOM – ne è escluso. Questo punto dovrebbe essere attuato già a settembre di quest’anno, ma le risorse economiche verranno messe a disposizione dall’esecutivo solo nel 2021.

La riforma tende ad accorpare tutta la filiera degli istituti, stravolgendone la gerarchia attuale ed imponendo una modalità di gestione manageriale, in una logica di risparmio e di “mutualizzazione” delle risorse che penalizza i territori della Francia profonda, peri-urbana e rurale, e slega il ruolo dirigenziale dal corpo docente e dalle famiglie.

Viene introdotta una maggiore “autonomia” scolastica, estendendo il quadro della sperimentazione ad una serie molto ampia di aspetti per cui si prevede una deroga: dall’organizzazione pedagogica, alla ripartizione di ore dell’insegnamento, alle procedure d’orientamento degli studenti, introducendo una vera e propria “balcanizzazione” rispetto ad un quadro uniforme.

Vengono create poi scuole di “serie A”, gli EPLEI, e di “serie B” (gli ESPLESF). I primi sono stati creati sul modello della Scuola Europea di Strasburgo, comprenderanno tutta la filiera dell’istruzione dalle materne alle medie superiori, prepareranno all’opzione internazionale della maturità, proporranno un insegnamento in sezione bi-nazionale.

I budget di queste scuole potranno essere sostenuti dall’Unione Europea, o da altre organizzazioni internazionali, così come da altri soggetti privati.

Sono scuole dove le famiglie delle classi medio-alte potranno permettere ai loro figli di prepararsi con una istruzione di “eccellenza” modellata sulla fascia alta.

Gli ESPLESF dipenderanno amministrativamente e economicamente dalle amministrazioni locali, avranno una offerta educativa ridotta ai “saperi fondamentali” – per usare una forma cara a Blanquer – con il solo scopo di assicurare la fine degli studi obbligatori (Bac -3).

È una netta inversione di tendenza rispetto a ciò che era iniziato in Francia alla fine degli Anni Quaranta, ossia l’unificazione – comunque irrealizzata – del sistema scolastico.

Come ha mostrato in una ricerca recente Mediapart, è in atto da tempo una tendenza delle classi relativamente più garantite dei quartieri popolari a scegliere per i propri figli istituti privati, incrinando quella “meticciato sociale” di cui la scuola era ancora una garanzia, in un contesto di sempre più marcata polarizzazione sociale e frattura spaziale, tesa a riprodurre la segregazione.

Un altro aspetto importante è la possibilità di utilizzare personale ancora “in formazione” – a cominciare dal secondo anno dal proprio percorso formativo come insegnante – in sostituzione del personale già qualificato, fino a due giorni e mezzo (6-8 ore), affiancandolo a docenti veri e propri, con paghe notevolmente inferiori e con compiti che negli anni successivi (sempre durante la formazione) potranno accrescere, modificando in questo lo statuto dell’AED.

Considerando i tagli previsti all’insegnamento di secondo grado – 2.650 posti in meno – l’aggravio di due ore supplementari obbligatorie da parte dei docenti e l’iniezione di personale precario, la scuola complessivamente perderà di qualità e peggiorerà la vita degli insegnanti, rendendo “normale” la situazione delle classi con 30 alunni.

Un discorso a parte deve essere fatto per la “voi professionelle”, che diverrà un vero e proprio vettore di de-istruzione per la forza lavoro delle classi subalterne, svuotate della possibilità di ricevere un insegnamento che vada oltre quanto attinente alla semplice specializzazione professionale, con tagli ai corsi di francese, geografia e storia e ad altre materie necessarie per la minima formazione di uno spirito critico e di disposizione alla “problematizzazione” della realtà: “tre mesi su tre anni” di corsi tagliati, ha denunciato un insegnante in una assemblea generale nella periferia parigina.

È chiaro che tale legge riflette le esigenze delle élites al potere, riproducendone la visone classista fortemente polarizzata, dove la scuola cessa di essere un quell’ambiente il più possibile uniforme, che dà le stesse possibilità a tutti gli studenti, aumentandone i criteri di selettività reddituale a monte – di cui il Parcour Sup è piena espressione – e svuotandola dei residuali aspetti di “meticciato sociale”, privando così le classi “inferiori” anche della possibilità teorica di migliorare la propria condizione di partenza attraverso l’istruzione, negando loro quegli elementari strumenti critici formativi di una maggiore consapevolezza di sé.

Le bandiere e l’inno nazionale condiscono poi ideologicamente tutto l’impianto, con una bella strizzatina all’occhio allo sciovinismo della destra francese.

La lotta contro la “scuola del disprezzo” – come la definivano numerosi cartelli della manifestazione parigina del 4 aprile – è una battaglia contro un modello che il mondo dell’istruzione ha deciso di ingaggiare, conscio del regresso sociale che comporterebbe.

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