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L’industria degli armamenti francese prospera grazie ai regimi autoritari

La Ministra delle Forze Armate francesi, Florence Parly, ha presentato di fronte alla Commissione della difesa dell’Assemblée Nationale il “Rapporto 2018 al Parlamento sulle esportazioni degli armamenti della Francia”. Da questo documento si viene a conoscenza del fatto che la Francia sia il terzo paese esportatore di armi al mondo, dopo Stati Uniti e Russia.

Le esportazioni di armamenti francesi sono aumentate del 30% nel 2018 rispetto all’anno precedente, per un volume di vendite complessivo pari a 9,1 miliardi di euro. I principali destinatari delle esportazioni dell’ultimo anno sono stati il Qatar, il Belgio e l’Arabia Saudita.

Di recente non abbiamo venduto armi che potrebbero essere state utilizzate nel conflitto yemenita”, aveva ribadito lo scorso 20 gennaio 2019 proprio la Ministra Florence Parly. Eppure un’inchiesta condotta da un gruppo di media internazionali, pubblicata alla fine di febbraio, ha dimostrato che le armi francesi e tedesche vendute ai paesi membri della coalizione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, sono state effettivamente utilizzate sul terreno di guerra in Yemen (https://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/05/10/armi-francesi-nella-guerra-in-yemen-le-eterne-menzogne-di-macron-0115309). Questa guerra poco mediatizzata, che quattro anni fa si è trasformata in un conflitto regionale con l’intervento principale dell’Arabia Saudita, ha già fatto migliaia di morti civili, minacciato la sopravvivenza di tre milioni di bambini malnutriti e costretto gran parte della popolazione a dipendere dagli aiuti umanitari.

Il significativo aumento delle esportazioni di armamenti francesi nello scorso anno è determinato in prima istanza dalla vendita al Qatar (per un totale di 2,37 miliardi di euro) di 28 elicotteri NH90 e la consegna di 12 aerei Rafale. Il Belgio ha ordinato in via eccezionale 400 veicoli corazzati, che porteranno 1,1 miliardi di euro nelle casse delle industrie belliche francesi. L’Arabia Saudita ha fatto acquisti per quasi un miliardo di euro, attestandosi per il 2018 al terzo posto della classifica degli acquirenti di armamenti francesi.

Ma la cosa più impressionante è che, sul medio periodo 2008–2017, i principali clienti della Francia sono regimi autoritari. Infatti, nel report è riportata la seguente info-grafica, dalla quale si può facilmente constatare che l’Arabia Saudita, leader della coalizione che guida l’intervento militare in Yemen, sia uno dei maggiori acquirenti, insieme anche all’Egitto del generale al-Sisi.

Qualche giorno fa, il New York Times ha rivelato un’ulteriore e scomoda vicenda per il governo Macron, ovvero la scoperta in una base delle milizie del generale Haftar, a sud di Tripoli, di alcuni missili in dotazione alle forze armate francesi. Una situazione particolarmente difficile per il governo francese che ha subito smentito la consegna di questi missili al generale Haftar, dato che un possibile trasferimento di armi sarebbe una violazione dell’accordo di vendita con gli Stati Uniti e l’embargo sulle armi imposto dalle Nazioni Unite.

Tornando al rapporto presentato dalla Ministra Parly, osservando la ripartizione geografica degli ordinativi di armamenti francesi nel periodo 2008–2017, si può notare che il 40% delle esportazioni si è diretto verso i paesi del Medio Oriente, seguiti da quelli dell’Asia (29%).

Tra quest’ultimi, i principali clienti, nel periodo 2008–2017, sono stati in ordine: India (13,1 miliardi di euro), Singapore (2,2 mld), Malesia (1,7 mld), Corea del Sud (1,5 mld), Indonesia (1,3 mld) e Cina (1,1 mld).

Bisogna evidenziare che la Francia ha esportato nel periodo 2008–2017 il 10% degli armamenti di sua fabbricazione verso altri paesi Europei, tra cui i maggiori acquirenti risultano essere il Regno Unito (per un totale di 1,9 miliardi di euro), la Germania (975,9 milioni) e l’Italia (673 milioni).

Si tratta di cifre da tenere in considerazione, specialmente in ottica futura: la (quasi sicuramente) futura Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen – attuale Ministra della Difesa del governo tedesco – è una ferma e convinta sostenitrice della NATO e ha più volte ribadito il suo impegno nel progetto di difesa e riarmo europeo.

A questo bisogna aggiungere, l’eventualità che il Fondo europeo per la difesa possa accrescersi in maniera drastica per il periodo 2021–2027: dai 590 milioni di dollari per il periodo 2017–2020, il suo bilancio potrebbe raggiungere i 13 miliardi nei seguenti 6 anni, ovvero un’espansione di circa 22 volte.

Inoltre, il Rapporto analizza le trasformazioni intervenute nel mercato internazionale, necessarie per comprendere le evoluzioni della domanda di armamenti e quindi adattare al meglio la produzione e l’offerta in un settore in cui la vera competitività non è tanto basata sul prezzo ma piuttosto sulla qualità e l’efficienza dei prodotti venduti.

Trovarsi sulla frontiera tecnologica nell’industria degli armamenti significa acquisire una posizione strategica di prestigio e di vantaggio rispetto ai concorrenti internazionali, erodendo le loro quote di mercato e rafforzando il proprio apparato bellico che sfrutta sempre più la ricerca tecnologica e gli investimenti all’avanguardia in questo campo.

I principali paesi esportatori di armamenti – Stati Uniti in testa – conservano la loro posizione dominante procedendo su solide basi industriali e tecnologiche di difesa e mantenendo una significativa leadership tecnologica. Nell’ultimo decennio, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, la Russia e Israele si sono spartiti il 90% del mercato internazionale e hanno concentrato la maggior parte dell’offerta di nuove attrezzature” viene esplicitato nel Rapporto sulle esportazioni di armi della Francia e, proprio per questo motivo, “In un mercato altamente competitivo, la strategia nazionale guidata da tutti gli attori industriali e statali coinvolti nelle esportazioni di armamenti all’interno del progetto «Équipe France» ha permesso alla Francia di consolidare la sua posizione sul mercato mondiale degli armamenti”.

Infine, il Rapporto si conclude con l’invito ad intensificare gli impegni, i servizi e il supporto dello Stato nei confronti delle imprese dell’industria bellica ed in particolare di quelle orientate maggiormente all’esportazione di armamenti sul mercato internazionale: “A seconda del paese, della natura delle acquisizioni, degli interessi industriali, economici e politici, possono essere attuate varie opzioni, come l’impegno contrattuale dello Stato o il sostegno statale attraverso accordi intergovernativi o accordi tecnici paralleli a contratti commerciali”.

Cosa non si farebbe per accrescere ulteriormente i profitti di un’industria che non conosce crisi e che prolifera soprattutto in questi tempi in cui soffiano venti di guerra, in una fase di scontro inter-imperialista tra potenze economiche che competono per difendere posizioni di dominio o per conquistare il loro ruolo sulla scena globale…

Il tutto, ovviamente, a scapito della spesa sociale (istruzione, sanità e pensioni) e degli investimenti pubblici azzerati a botte di austerità, perpetrando una fallimentare politica economica di privatizzazione diffusa dei servizi pubblici ormai affidati alla gestione di “prenditori d’affari” e di svendita di quel poco di partecipazioni statali ancora rimaste in aziende un tempo all’avanguardia.

È il keynesismo militare, bellezza!

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