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Con lo sciopero del 18 ottobre tre no a UE, austerità e pace sociale

Gli ultimi avvenimenti della politica e del governo del paese ci hanno consegnato uno spettacolo di pregiata fattura con improvvisi e teatrali colpi di scena, sceneggiate sui banchi del parlamento trasformati nell’occasione in banchi di mercato(con tutto il rispetto per chi nei mercati – quelli veri – ci lavora), pianti e risate mescolate in una miscela farsesca. Ma tutto ciò deve soprattutto far riflettere e ci induce ad alcune semplici considerazioni che, pur se a caldo e scontando una naturale approssimazione e schematicità, possono fornire alcune utili chiavi di lettura dell’attuale realtà politica e sociale italiana.

Per prima cosa c’è da dire che il quadro politico sta mutando ed è sempre più coerente con le “indicazioni” e i diktat della Comunità Europea che, insieme a BCE e FMI, stanno di fatto governando attraverso un commissariamento neanche tanto camuffato, gran parte dei paesi europei, costringendo milioni di donne e uomini di questo continente ad un livello di povertà che ricorda il dopoguerra e che è funzionale con una nuova e vasta ridistribuzione di ricchezza dalle tasche di tanti a quelle di pochi, per assicurare livelli di profitto al mondo economico e finanziario che, nonostante, e forse proprio a seguito di questa crisi, gode sicuramente di buona salute.

Il secondo elemento da sottolineare è che le politiche di “austerità” sono in modo sempre più evidente in crisi, non tanto perché affamano milioni di persone, quanto perché sono messi in discussione i meccanismi stessi del consumismo di massa. Se non c’è lavoro e si riducono salari e pensioni si riduce automaticamente il numero di soggetti consumatori in grado di spendere. Ma tale situazione non mette in discussione il concetto stesso di “austerità” come ci si aspetterebbe e ciò, a prescindere dalle motivazioni che spesso sono da ricercare negli equilibri (o meglio negli squilibri) tra Stati ricchi del nord-europa e quelli poveri del sud e dell’est, sta distruggendo le economie di mezza Europa e riducendo l’Italia a paese da depredare e non più produttore, costretto a fare debiti per sopravvivere e a far sopravvivere gran parte della popolazione per pagare gli interessi sui debiti.

La cosiddetta mancanza/necessità di “stabilità” politica e sociale che ripetutamente viene ribadita per giustificare le peggiori nefandezze sociali, è in effetti l’alibi per mezzo del quale imporre sacrifici e ridurre diritti e democrazia. A ben vedere da decenni non esisteva una “stabilità” politica come l’attuale, con un fronte trasversale composto dall’80% dei partiti, dalla Confindustria, da Cgil, Cisl, Uil e Ugl, dal 99% dei mezzi di comunicazione, dalla Curia Romana, dal Presidente Napolitano e dalle istituzioni economiche e finanziarie italiane, comunitarie e internazionali. Che cosa vogliono di più? Evidentemente il timore è che questo enorme e potente schieramento di forze non regga la realtà quotidiana, quella crisi sociale che investe ormai milioni di persone alle quali non riescono più neanche a prospettare e trasmettere un minimo di speranza.
E allora nell’ambito del lavoro vogliono le tregue e continuare a peggiorare le condizioni dei lavoratori senza scioperi, mentre aumenta la repressione e si riducono gli spazi di partecipazione e democrazia.

Tutto ciò porta ad altrettanto schematiche conclusioni e proposte.

Dobbiamo dire NO a questa Europa, alle sue istituzioni economiche e finanziarie, alle sue politiche di austerità. Se per fare ciò dobbiamo cominciare ad affermare in modo secco di uscire dall’Unione Europea, allora si faccia prima che sia troppo tardi.

Dobbiamo dire NO alle politiche di austerità e alla logica del pagamento del debito pubblico, ritornare ad investimenti diretti dello Stato, pensando a piani di piena occupazione e di abbattimento sostanziale della disoccupazione attraverso il ruolo del pubblico.

Dobbiamo dire NO a tregue sindacali e pace sociale e ad una “stabilità” che serve soltanto a rendere ancor più instabile la situazione di milioni di donne e uomini. Dobbiamo costruire conflitto sociale e praticarlo con determinazione.

 

Tutto questo e molto altro è alla base dello SCIOPERO GENERALE del 18 OTTOBRE

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