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La gara a chi è il più infame nel Mediterraneo

Il Mediterraneo è un mare conteso da sempre. Non era però mai avvenuto che la contesa avvenisse su chi avesse la migliore idea per trasformarlo in un muro o un cimitero.

Andiamo con ordine, perché le notizie da mettere in fila sono molte, tutte in qualche misura rivelatrici del caos totale che regna tra Unione Europea e Libia, dentro l’Unione Europea e persino dentro la filiera di comando italiana.

Partiamo dalla buona notizia. I 113 naufraghi raccolti in mare dalla Alexander Maersk, nave portacontainer della omonima multinazionale danese, primo armatore mondiale da almeno un secolo, sono finalmente sbarcati a Pozzallo, in Sicilia.

Da quattro giorni erano fermi in rada, bloccati dal rifiuto opposto dal ministero dell’interno italico. Evidentemente deve essere arrivata qualche telefonata pesante al Viminale per ricordare che un carico merci di quelle dimensioni – le navi di questo tipo trasportano centinaia di container – non può perdere tempo e valore per beghe elettoral-propagandistiche di qualche politicante. Il danno imputabile al comandante, per qualsiasi ritardo, si aggira infatti sui 200.000 dollari al giorno. Oltretutto, navi del genere non sono certamente imputabili di eccesso di “spirito umanitario”, vista la loro missione, ma debbono come tutte rispettare il codice globale del mare: si tirano su i naufraghi, senza neanche chiedersi chi siano.

Lo sbarco è avvenuto in piena notte, quasi senza telecamere, con l’aiuto di un rimorchiatore e di un pilota locale, dato che la nave misura oltre 100 metri e naturalmente non era mai attraccata in un piccolo porto come quello di Pozzallo.

Tutto il resto manda un nauseabondo odore di… scegliete voi il materiale.

Il caso della Lifeline, nave appartenente a una Ong olandese o tedesca (tanto per complicare le cose…), non è affatto risolto, dopo una settimana di rimpalli tra Italia, Francia, Malta e Spagna. Il portavoce del governo francese Benjamin Griveaux ha prospettato lo sbarco dei migranti a Malta e il loro immediato trasferimento in aereo nel paese o nei paesi europei che dovessero accettare di farsene carico. Solo che non si sa quali siano. Parigi, infatti, è disponibile soltanto a mandare una squadra di funzionari-agenti per esaminare le eventuali domande d’asilo, una per una, come se Madrid o La Valletta non ne fossero capaci.

Il responsabile della Ong, il tedesco Alex Steier, ha scritto una lettera al governo spagnolo, chiedendo di concedere un permesso ai 234 migranti a bordo. In caso di risposta positiva Malta concederebbe il permesso di sbarco e immediato trasferimento verso la Spagna. All’ultimo minuto anche Malta ha posto la sua condizione: la Lifeline potrà attraccare a La Valletta a patto che i migranti siano divisi tra i paesi dell’Unione europea. Il premier Joseph Muscat l’ha spiegata così: “Vogliamo evitare un’escalation della crisi umanitaria attraverso una condivisione di responsabilità da parte di alcuni stati volenterosi”. Ma anche di quelli senza buona volontà, sennò si sa già come finisce.

Precipitando nel melma della politica italiana, c’è solo l’imbarazzo della scelta su cosa sia più osceno.

Il ministro dell’interno, reduce dall’incontro con il suo omologo tripolino (la Libia, come stato, non esiste più da qualche anno, dopo l’attacco occidentale e l’uccisione di Gheddafi; l’uomo forte nel paese è semmai il padrone della Cirenaica, il generale Haftar), non potendo esibire alcun risultato concreto, ha deciso che i lager libici “sono all’avanguardia”, in barba a tutte le inchieste indipendenti e soprattutto al giudizio dell’Onu. “Ho chiesto di visitare un centro di accoglienza per migranti in costruzione, un centro all’avanguardia che potrà ospitare mille persone. Questo per smontare la retorica in base alla quale in Libia si tortura e non si rispettano i diritti umani“. Una scelta che ricorda, ai più dotati di memoria, una storica decisione di un governo democristiano di fronte ad analisi che certificavano livelli di atrazina nell’acqua potabile svariate volte superiori alla soglia di pericolo: fu alzata la soglia della “non pericolosità per l’uomo”, senza intervenire sulle cause dell’inquinamento.

Quanto ai cosiddetti “hospot chiusi”, ossia prigioni a cielo aperto, Salvini respinge l’ideuzza di Macron – farli in Sicilia – facendo sua in altro teatro. Ha infatti proposto al governo di Tripli di crearli lì, con una ovvia contropartita di soldi, armi e “consiglieri” (sul modello dell’accordo Ue con la Turchia, insomma), ricevendo un garbato rifiuto: “Rifiutiamo categoricamente” la proposta circolata in ambito europeo di realizzare “campi per migranti in Libia: non è consentito dalla legge libica”, ha detto il vicepresidente Ahmed Maitig. Chiudendo l’argomento.

Nessuna paura, però! C’è già una nuova proposta: farli a sud della Libia…

Di fronte a tanta chiacchiera senza costrutto o risultati, al ministro non restava altro che criminalizzare definitivamente le Ong: “Dobbiamo bloccare l’intervento dannoso da parte delle navi delle Ong, che sono complici dei trafficanti”. Un processo che abbiamo già individuato – l’archiviazione della breve epoca dell’”imperialismo umanitario” – e che prelude a comportamenti militari inumani, in mare, che è meglio non abbiano testimoni neutrali.

E’ qui che il povero ministro delle infrastrutture, il grillino ex carabiniere Toninelli, è riuscito a dare la misura del suo non essere.

La Guardia Costiera opera in autonomia tecnico giuridica e non devo essere io a dire di rispondere oppure no, ma secondo noi, in continuità con il governo precedente che ha giustamente rafforzato la guardia costiera libica, se uno dei gommoni ci chiama ma è in zona libica rispondiamo che non possiamo intervenire perché è in un’area a responsabilità giuridica non nostra“.

Per essere più chiaro, nei limiti delle contorsioni logiche: “Negli ultimi anni – ha ricordato il ministro – per colpa anche di una politica sbagliata accadeva che chiunque, ong o richiedenti asilo direttamente, chiamasse la guardia costiera italiana“, ma “noi dobbiamo rispondere che non possiamo intervenire perché è area giuridica non nostra“. La Guardia costiera, insomma, “risponde al diritto del mare: se un gommone è in mare di responsabilità libica e sono presenti le motovedette libiche, noi non possiamo avere la responsabilità e il comando delle operazioni lo prende la guardia costiera libica“.

Traduciamo? Il “governo del cambiamento” opera consapevolmente in “perfetta continuità con il governo precedente” e soprattutto con i peggiori accordi siglati da Marco Minniti. Già quegli accordi, infatti, permettono di considerare come un “non problema” – per il governo italico – la strage in mare di naufraghi. Il “diritto del mare”, nel suo strologare, è ridotto a una pratica di condominio in cui l’unico obiettivo è poter affermare che “non sono Stato io”.

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