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Casamicciola. Anno Zero per la Protezione Civile

Certo, con un Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia che dopo tre ore (verosimilmente a causa delle proteste su Twitter del suo ex direttore), si rimangia i dati sull’ipocentro e la magnitudo del terremoto e con migliaia di vacanzieri che, per potere scappare dall’isola di Ischia, hanno dovuto fare ore e ore di fila per comprarsi il biglietto del traghetto, il quadro sarebbe già desolante. Ma questa è solo la punta dell’iceberg di una Protezione Civile ridottasi, soprattutto in Campania, al lumicino.

Ad esempio, l’inesistenza di validi piani comunali di Protezione civile: uno strumento fondamentale per affrontare l’immediata emergenza e ridurre, quindi, il numero delle vittime. La legge 100/2012 ne sanciva l’obbligatorietà per ogni Comune paventando, tra l’altro, il commissariamento se il Piano non veniva approvato entro la fine del 2012. Ovviamente, lettera morta. E Casamicciola, (già colpita, nel 1883, da un terremoto che si era portato via 2.300 persone) – al pari degli altri comuni dell’isola di Ischia e di tanti altri della Campania – non ha un Piano di Protezione civile.

Anzi, ce l’avrebbe ma non se ne ha più traccia.

E parliamo di 15 milioni di euro che – al pari di un’ altra costosissima iniziativa – i Presidi territoriali – sono sostanzialmente serviti per alimentare in Campania sprechi e, verosimilmente, clientele. Ma prima bisogna fare un passo indietro. Anni fa, su impulso del Dipartimento della Protezione Civile, anche in Campania fu attuato il sistema informatico PEC (Piano di Emergenza Comunale). In pratica, ad ogni Comune fu dato l’accesso on line ad una data-base cartografico (GIS) nel quale inserire, georeferenziandoli, i dati fondamentali del Piano: aree di raccolta della popolazione, sede del Centro Operativo Comunale, ubicazione delle risorse a cui attingere in caso di emergenza.

Nel giro di qualche mese quasi tutti i Comuni della Campania realizzarono così il loro Piano che, convogliato nei computer della Sala Operativa Regionale, avrebbe permesso anche di ottimizzare l’invio delle colonne di Soccorso in caso di emergenza.

Ma c’era un inghippo. La Regione Campania, a differenza di altre, appaltò l’architettura e l’alimentazione di questo GIS ad una società esterna: la CID Software, già assurta agli onori delle cronache al tempo dell’emergenza rifiuti a Napoli.

Il capitolato di appalto – incredibile a dirsi – non specificava che i dati del GIS erano proprietà della Regione Campania. E così, quando il contratto con CID Software fu sciolto, degli importantissimi dati trasmessi dai Comuni non se ne ebbe più traccia. Probabilmente, avrebbero potuto essere recuperati in qualche server della Regione e riutilizzati per ricostruire il GIS, ma – in concomitanza, guarda caso, con la campagna elettorale per le elezioni regionali 2015 – si preferì intraprendere un’altra iniziativa: finanziamenti POR (15 milioni di euro) ai Comuni per redigere il Piano di Protezione. Il risultato? Una marea di carte – spesso puro copia e incolla – assolutamente inutili, se non per il tecnico (e il suo sponsor) che le ha riempite per parcelle che arrivano a 100.000 Euro. Il fallimento, anche dal punto di vista della gestione burocratica, di questo progetto avrebbe dovuto consigliare un suo accantonamento. Non è così: a giorni, nel disinteresse delle “opposizioni” la Giunta regionale, dovrebbe approvare il suo rifinanziamento.

Del resto, a chi volete che importi la realizzazione in Campania di una seria pianificazione dell’emergenza? Meglio continuare ad illudersi che disastri come quello del 23 novembre 1980 siano acqua passata, che i piani di emergenza vulcanica siano “in dirittura di arrivo” e che la sicurezza di una regione a rischio elevatissimo quale la Campania si realizzi blaterando sull’abusivismo edilizio.

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