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Armi sulle navi: la Cgil si arrende, i portuali no

Dopo che i portuali di Genova, sacrificando il loro lavoro, con lo sciopero indetto dalla cgil hanno respinto il carico di armi diretto in Arabia Saudita per fomentare la guerra civile in Yemen ottenendo consensi e riconoscimenti da tutto il mondo, autorità portuale, prefettura, capitaneria di porto e sindacato ipocritamente sposano la versione della fabbrica di armi: non sono armi ma “proteggono la popolazione da alluvioni, frane e terremoti”.

Giudicate voi e arrivederci al prossimo carico di armi, noi ci saremo a dire di no.

Ricapitoliamo.

Un mese fa lavoratori del porto di Le Havre rifiutano di imbarcare un carico di cannoni Caesar della Nexter, fabbrica di armi francese, che ha in corso un ordine di più di un centinaio di questi micidiali armamenti alla Guardia Nazionale Saudita, che li schiera al confine con lo Yemen dove sta intervenendo militarmente a favore di una delle due parti che si combattono nella guerra civile.

La Guardia Nazionale Saudita è un corpo militare scelto di pretoriani, composto su base etnica, a difesa delle persone e degli interessi dei dittatori sauditi. L’Arabia Saudita è una monarchia assoluta fondata sulla repressione violenta interna e esterna, la cui legge costituzionale è la Sharia, la legge sacra dell’Islamismo.

Cannone Caesar (credit: Guardia nazionale Saudita)

Dal confine la Guardia nazionale Saudita grazie ai cannoni Caesar e altri armamenti è in grado di bombardare il territorio dello Yemen, dove si annoverano migliaia di vittime civili e catastrofi umanitarie. Ma l’Arabia Saudita è il più grande e ricco produttore di petrolio e come ogni dittatura, per di più impegnata in guerra, spende somme ingenti in armamenti dall’estero. Per questo è il più appetito partner commerciale dei produttori di armi. La guerra che conduce tuttavia è così sporca che in tutto il mondo si è sollevata l’indignazione e la richiesta ai governi nazionali e transnazionali di impedire questi commerci e fare cessare i massacri e le sofferenze dei civili.

Qualche governo sta considerando l’interruzione di questi commerci, non senza ipocrisie: la Germania, per esempio, vieta il commercio d’armi all’Arabia, ma permette alla tedesca Rheinmetall di produrre in Italia le medesime bombe aeree vendute ai sauditi dalla RWM di Domusnovas in Sardegna e caricate nel porto di Cagliari.

La nave dal porto di Le Havre riparte senza cannoni, tocca la Spagna, dove carica ancora armi, e arriva a Genova. È un’unità della flotta statale araba, la Bahri, specializzata in logistica militare e periodicamente le sue unità partono da Jedda, raggiungono il Nordamerica e tornano nel mar Rosso dopo avere caricato armi in Canada, Uk, Belgio, Francia, Italia a Genova e a Cagliari ecc. La nave che stavolta tocca Genova, la Yanbu, deve caricare due generatori prodotti dalla Teknel di Roma. La Teknel è una fabbrica di armi che ha in corso un contratto con la Guardia Nazionale Saudita per apparati di alimentazione e controllo degli armamenti.

I lavoratori del porto di Genova, come i compagni di Le Havre, annunciano che impediranno il carico perché contrasta con i valori di pace e di internazionalismo del movimento operaio.

L’appello dei portuali genovesi riscuote attenzione e consenso da parte di forze antimilitariste e pacifiste italiane e estere. La CGIL, spinta dai lavoratori, sostiene il loro motivato rifiuto, proclama lo sciopero delle operazioni di imbarco e chiede alle autorità di intervenire a evitare il carico illegale. Le autorità, colte di sorpresa dalla grande risonanza nonché dalla mobilitazione in corso, riconoscono che qualora si tratti di armi per l’Arabia allora il rifiuto dei portuali diventa legittimo. Vogliono però essere certi che si tratta di armi e non di materiale a uso civile come sostengono il caricatore e l’agenzia marittima. Il carico in attesa non viene imbarcato ma stoccato in un magazzino portuale.

Dopo 20 giorni, al termine di una riunione in Autorità portuale esce un comunicato che “vista la documentazione prodotta dalla Teknel”, quei generatori sono destinati alle funzioni di protezione civile svolte dalla Guardia saudita e non a scopi militari, “per proteggere la popolazione da alluvioni, frane e terremoti” (in Arabia!). Parola di Teknel.

Vedi qui sotto il suo sito in cui è illustrato il mestiere di questa azienda dove i Power Generator System sono inseriti nei sistemi integrati militari, per cui Teknel ha il contratto in corso con la Guardia saudita:

Per cui è probabile che al prossimo passaggio di una Bahri, il 23 giugno, il carico verrà imbarcato. La CGIL ha accettato inopinatamente questa versione senza una riga di obiezione. Non sappiamo se ridere o se piangere.

Abbiamo però capito meglio un paio di cose.

In primo luogo, Per una volta i fabbricanti di armi si sono preoccupati davvero. Per la prima volta infatti a protestare non sono stati i compagni delle associazioni umanitarie e pacifiste che pure lottano quotidianamente su questo fronte ma possono intervenire solo ideologicamente sull’opinione pubblica.

Invece sono stati i lavoratori a protestare, non ancora quelli che sono dentro il ciclo produttivo delle armi, ma quelli che stanno nell’anello essenziale della catena del trasporto internazionale, i lavoratori portuali.

Senza il loro lavoro i carichi di morte, le armi vendute ai dittatori, i sistemi militari per uccidere le popolazioni civili si bloccano. Prima a le Havre, poi a Genova, a Marsiglia erano già pronti.

In secondo luogo, grazie alla nostra lotta insieme ai tanti compagni solidali e alle associazioni pacifiste che l’hanno sostenuta e fatta propria, si è creato un precedente. Le istituzioni hanno affermato, e con esse la CGIL e le forze politiche democratiche e antifasciste, che se si tratta di armi destinate alla guerra allora i lavoratori portuali hanno il diritto di non imbarcarle. Non resta che aspettare. Le Bahri passano di mese in mese al terminal GMT. Da Messina, un giorno sì e uno no, si imbarcano carri armati e blindati. Andremo a controllare le polizze di carico per vedere se vanno a uccidere o semplicemente in parata. E se vanno a uccidere non le faremo salire a bordo.

CALP

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