Da un lato, troviamo operatori politici come il gruppo ad hoc “Amici della Siria”, e, dall’altro, due personalità arabe, entrambi ministri di due sceiccati del Golfo.
Il primo gruppo comprende capi di Stato alla guida della NATO, con un piano generale strategico, a mala pena dissimulato di origine israeliana, concepito da personalità del calibro di Bernard-Henri Lévy. Piuttosto che essere amici della Siria, queste personalità sono probabilmente al lavoro per proteggere i propri interessi finanziari in Siria, o che gravitano attorno alla Siria.
I due politici arabi sono i due ministri degli Esteri dell’Arabia Saudita e del Qatar. Costoro hanno dichiarato che le forze che agiscono violentemente contro lo Stato siriano dovrebbero essere armate e sostenute finanziariamente.
In breve, queste formulazioni dei cosiddetti “Amici della Siria” sono probabilmente non più che una versione “moderna” degli argomenti portati avanti dal viceré Lord Curzon, con cui, negli incontri del 1903, si rivolgeva ai “Capi della costa araba” sull’incrociatore leggero Argonaut a Sharjah (Emirati Arabi Uniti).
[N.d.tr.: La questione delle tre isole ( Abu Mussa e Piccole e Grandi Tumbs).
Nel diciannovesimo e ventesimo secolo gli Inglesi occuparono numerose isole iraniane nel Golfo Persico, sia direttamente che per presunta sovranità a favore dei cosiddetti “Trucial Emirates”. Tra queste isole vi furono le Tunbs, Abu Musa, oltre che Qeshm, Hengam e le isole Sirri.
Una “Mappa della Guerra”, presentata dal ministro britannico allo Scià a Teheran nel 1888 confermava che tutte quelle isole appartenevano all’Iran. La causa dell’Iran fu ulteriormente rafforzata con la pubblicazione, nel 1892, di “Persia e Questione Persiana” di Lord Curzon nella cui mappa erano presenti le isole come territorio iraniano.
Il timore britannico di un’interferenza russa nel Golfo Persico si intensificò all’inizio del ventesimo secolo. Nel 1902 un incontro segreto all’ufficio estero britannico decise che le isole strategiche vicino allo Stretto di Hormuz dovessero essere occupate. Questa decisione fu comunicata agli amministratori politici inglesi in India e nel Golfo Persico (vicerè Lord Curzon) in un memorandum datato 14 luglio 1902. Un anno dopo, il governo dell’India ratificò l’amministrazione delle tre isole di Tunbs e Abu Mussa con assegnazione allo sceicco di Sharjah.]
Il Qatar e i Sauditi forniscono sostegno finanziario ai “ribelli” tramite forniture di armi, versamenti di denaro ai combattenti e mercenari, e la supervisione logistica degli attacchi contro la Siria. A tutto questo supporto si devono aggiungere servizi di telecomunicazione, tattiche di combattimento, consulenza strategico-militare.
Non sorprende che i consiglieri militari occidentali, che operano con i gruppi armati dietro le quinte, non siano oggetto di servizi giornalistici in alcuno dei media.
Inoltre, Stati confinanti forniscono assistenza territoriale ai gruppi armati, con la Giordania che garantisce il transito dei mercenari provenienti dalla Libia, e la Turchia in qualità di base militare settentrionale per le operazioni.
La Turchia è coinvolta in quanto intenzionata ad allinearsi con l’Arabia Saudita, questa schierata a sua volta dietro le quinte con la NATO, e per timore che uno smembrato della Siria porterebbe alla promozione dell’autonomia dei Curdi. Agli occhi dei Turchi, questo potrebbe provocare alla fine l’unione conclusiva dei Curdi della Turchia con i Curdi iracheni e siriani, e quindi ingenerare una guerra civile con la Turchia e l’eventuale separazione del Kurdistan dalla Turchia e la creazione di uno Stato curdo.
Per parte sua, Israele ha pianificato da decenni, come parte della sua strategia per dominare il Medio Oriente e il Mediterraneo, l’indebolimento della Siria al fine di continuare la sua occupazione delle Alture del Golan siriane e di imporre il suo dominio sulle fonti d’acqua.
In buona sostanza, Israele vuole essere la potenza economica e militare egemonica nella regione, ed infatti dall’indebolimento della Siria Israele potrebbe ben emergere come il vincitore principale, se non altro nel breve termine.
Attraverso le sue campagne mediatiche ben orchestrate trasmesse nel corso di decenni per il proprio pubblico, Israele ha costruito un concetto della Siria come la principale minaccia alla sua esistenza nel mondo arabo.
Probabilmente, il vuoto di governo che potrebbe venirsi a creare in Siria potrebbe essere riempito da gruppi come al-Qaeda, e di conseguenza questi andranno a costituire una giustificazione sufficiente per le azioni di Israele (contro la Siria e/o contro l’Iran), e potrebbe anche venire promossa l’idea di un conflitto tra un Israele “civile-democratico” e i “selvaggi” Islamisti.
Nonostante le enormi differenze tra la Siria e la Libia, il destino della Siria potrebbe essere simile a quello della Libia in termini di diretto intervento straniero, se non fosse che la Russia e la Cina si oppongono fermamente a tali azioni presso le Nazioni Unite, dove vi è stata una cooperazione costante tra questi due paesi.
Anche se le origini delle relazioni sino-sovietiche risalgono ai primi giorni della rivoluzione comunista del 1917, sembra che, anche due decenni dopo lo smantellamento del blocco orientale, la Federazione russa e la Repubblica di Cina stanno, più che mai, conformandosi a quello che Mao Tse-tung consigliava nel suo discorso “Essere un vero rivoluzionario” del 23 giugno 1950.
Qui, Tse-tung affermava che “a livello internazionale dobbiamo fermamente unirci con l’Unione Sovietica” (cfr. Opere scelte di Mao Tse-tung, vol. V. p. 39).
Ideologia condivisa, visione del mondo, interessi economici, obiettivi comuni nel settore dell’energia hanno portato Russia e Cina a collaborare sempre più strettamente per quel che concerne il conflitto siriano.
La produzione mondiale di petrolio è guidata dall’Arabia Saudita, con la Russia per seconda, in terza posizione gli Stati Uniti, poi l’Iran e quindi la Cina.
In termini di riserve di petrolio, scopriamo che i primi dieci Stati sono: 1) Venezuela, 2) Arabia Saudita, 3) Canada, 4) Iran, 5) Iraq, 6) Kuwait, 7) Emirati Arabi Uniti, 8) Russia, 9) Kazakhstan e 10) Libia.
La Russia è il più grande produttore di gas al mondo, con l’Europa che dipende dalle forniture di gas russe. Nella produzione mondiale di gas, se, a causa della loro distanza geografica, si escludono gli Stati Uniti e il Canada, l’Iran viene al secondo posto e il Qatar al terzo. In termini di riserve di gas, la Russia è il numero uno, con l’Iran e il Qatar in quarta posizione e l’Arabia Saudita in sesta.
Con la vicina Arabia Saudita come uno dei dieci principali produttori di gas nel mondo, sono evidenti gli interessi di particolare rilevanza ad esportare del Qatar e dell’Arabia Saudita, e questa classifica dovrebbe darci una chiara idea delle alleanze che si sono formate alla luce del conflitto siriano.
Arabia Saudita e Qatar (che in circostanze diverse avrebbero potuto costituire un unico Stato, e potrebbe ancora verificarsi un simile rimpasto geografico) sono entrambi Stati arabo-musulmano-sunniti, ed entrambi hanno comuni interessi economici.
La ricerca avida da parte del Qatar di contratti commerciali per il gas e il petrolio della Libia spiega il suo accordo con la NATO per attaccare la Libia, la sua simbolica partecipazione ai raid aerei e il suo sostegno ai ribelli nel consolidare la loro capacità comunicativa.
Obiettivo del Qatar è quello di esportare il proprio gas in Europa, di competere con i Russi e di ottenere importanti pedine di scambio politico. Affinché l’esportazione di gas del Qatar in Europa possa essere fattibile e competitiva, deve essere posato attraverso la Siria un gasdotto.
Come alleato della Russia di lunga data, e con i precedenti di numerosi accordi di scambio commerciale risalenti all’epoca dell’URSS, è improbabile che la Siria permetta a qualcuno di minacciare la destabilizzazione degli interessi della Russia nella loro ultima roccaforte strategica nel mondo arabo. Questo è il motivo principale per cui il Qatar e l’Arabia Saudita stanno sostenendo la lotta dell’opposizione per rovesciare il governo siriano.
La Siria sta rapidamente diventando un vaso di Pandora, da cui tutte le crisi storiche degli ultimi 120 anni stanno scaturendo. A partire dalla guerra russo-turca del 1877-8, dalla guerra russo-giapponese del 1904, dalla Prima e dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla Guerra Fredda.
Normalmente, sono necessari 2-3 decenni per l’emergere di una super-potenza. Agli Stati Uniti sono occorsi quasi 25 anni, dal 1890 fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Dopo la morte di Lenin nel 1924, l’URSS era il soggetto in sofferenza in Europa. Nel 1945, dopo la Seconda Guerra Mondiale e sotto Stalin, è emersa come superpotenza. Dopo Gorbaciov, la Russia ha cessato di essere una superpotenza e, apparentemente, ebbe termine la Guerra Fredda.
In poco più di due decenni, Putin ha messo fine al sistema unipolare e un mondo nuovo bipolare sta sorgendo – come se la Guerra Fredda non fosse mai finita.
Un attento esame del sistema politico siriano rivela che il presidente siriano Bashar al-Assad è, di fatto, un riformista. Tuttavia, in Siria, come in ogni altro Stato, le fazioni si attorcigliano in lotte di potere, e quindi i necessari processi di socializzazione richiedono un certo tempo per il loro procedere. Mentre, come ha detto Assad, ci vuole solo un paio di minuti per firmare una nuova legge, ci vuole molto più tempo per educare le persone ad assorbire e partecipare alla realizzazione dei nuovi valori che queste leggi sanciscono. La rappresentazione che ne fanno le classi dirigenti occidentali di queste nuove riforme, come in apparenza spuntate dal nulla, è un atto di disutilità e sicuramente immorale.
La Siria era l’ultimo Stato arabo laico, socialmente coeso, basato comunque su una ideologia secolare verticistica. Nonostante i paesi geopoliticamente instabili ai confini della Siria (Libano, Turchia, Israele, Giordania e Iraq), i cittadini siriani vivevano in modo sicuro a tutto merito di questa laicità araba.
La Siria racchiude un particolare tipo di pluralismo e multiculturalismo, integrato con la tolleranza religiosa e un’esistenza pluralista. Ciò è dimostrato dalla tolleranza per la concomitante presenza di una chiesa cristiana, di una moschea, di un bar e dalla coesistenza paritaria di donne laiche e di donne velate.
Di fatto, il processo di riforme avviato in Siria è il più avanzato rispetto a qualsiasi simile processo in qualsiasi altro Stato arabo. Esso comprende la rimozione di leggi emergenziali, l’attuazione delle leggi sui partiti, le leggi elettorali, una legge fondamentale sui media, e l’approvazione di una nuova Costituzione, ivi compresa la soppressione dell’articolo sulla leadership unica del partito al-Ba’ath. Tali riforme fanno parte di un genuino processo politico, che comunque richiederà del tempo.
Tuttavia, questo processo riformista è stato totalmente e volutamente boicottato da forze, anche da governi occidentali, che agiscono contro lo Stato siriano.
Negli ultimi decenni, e in particolare dall’11 settembre (9/11), l’Occidente ha continuamente propagato il concetto che terroristi islamici stavano minacciando il modo di vivere in laicità.
E però, i Sunniti, tecnicamente la maggioranza religiosa in Siria, rappresentano ragguardevoli segmenti della società e non sono meno laici rispetto a qualsiasi altro segmento della società occidentale.
Così, nonostante l’esplicito diritto dei Siriani di difendere la laicità del loro modo di vita, lo scopo dell’Occidente è quello di smantellare lo Stato siriano, modificarne la struttura di potere, e creare nuove entità demo-geografiche, come una Confederazione dei Curdi siriani e iracheni, che attualmente costituisce l’incubo della Turchia.
Inoltre, determinate zone potrebbero venire spopolate, e la cosa potrebbe sicuramente essere messa in atto, come è stato fatto con i Drusi, per ripopolarle con Cristiani siriani e forse con Cristiani dal Libano. Altri Cristiani ambandonerebbero del tutto il Levante.
Quindi, agli Alawiti ( ai quali appartiene il presidente siriano Bashar al-Assad) resterebbe il possesso di un altro Stato, in collegamento forse con l’Iran.
[N.d.tr.: necessario il richiamo dell’articolo attuale apparso su “la Repubblica”: «Alawiti alla tomba, Cristiani a Beirut». La prima denuncia arriva da Repubblica!
Bisogna rendere onore al giornale di Ezio Mauro. Sin dagli inizi della rivolta in Siria ha scritto che i Cristiani correvano pericoli. E le atrocità non erano prerogativa di Assad.
Pubblichiamo la rubrica di Renato Farina “Boris Godunov” dal numero 32-33/2012 di Tempi, in edicola da giovedì 9 agosto.
5 Agosto 2012
di Renato Farina
Boris Godunov si complimenta con lo zar suo successore a Mosca, Vladimir Putin. L’unico tra i grandi che si oppone al pensiero unico sulla Siria: “Assad cattivo – ribelli buoni”.
I civili morti sono stati addossati tutti sul conto del governo baathista, le stragi pure. Putin ha provato a dire che c’è qualcosa di torbido in questa presunta trasparenza di giudizio. È un po’ come per Saddam Hussein. Certo, era un criminale. Ma non si libera un popolo senza controllare a chi lo si consegna, magari uno peggio. In Iraq è andata così. I Cristiani sono dovuti fuggire in massa da Baghdad, dove costituivano una comunità con 50 parrocchie, scuole, chiese. Intanto gli Sciiti erano oppressi. Ma non è stato un buon lavoro trasferire di fatto il potere dal laico Saddam ai fondamentalisti nelle due versioni: quella di Muqtada al Sadr (filo-Iran) e Al Qaeda.
Oggi i Cristiani cercano rifugio in Kurdistan. La gran parte però ha trovato ospitalità dai confratelli siriani, dove la comunità cristiana ha vissuto con un grado di libertà imparagonabile con altri paesi arabi, compreso l’Egitto. Fino a poco fa.
Ora la minaccia viene dalla ribellione ad Assad, ben dotata di armi, denaro e soprattutto di quella arma di distruzione di massa delle coscienze che è la potenza mediatica. Arabia e Qatar, con le loro televisioni e i loro petrodollari, oltre che Stati Uniti e – ahimè Israele – hanno provveduto alla fornitura del pensiero unico, e chi si discosta, è un complice di assassini.
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Boris ammirato trascrive alcune righe di quella che è la profezia di uno scempio: lo sterminio degli Alawiti (12 per cento su 23 milioni di Siriani) e la cacciata dei Cristiani (il 10 per cento).
«Agli occhi dei Cristiani, però, la posta è “immensamente più alta: sta prendendo corpo il più cupo dei nostri presagi”, dice Tony, un avvocato, e per spiegarsi ripete a bassa voce lo slogan ascoltato in certe piazze siriane dall’inizio della rivolta: “‘Alawiya ’a tabut, Masihiyya ’a Beirut’. Sta per ‘gli Alawiti alla tomba, i Cristiani a Beirut’. Homs si è svuotata dei Masihiyya come in Iraq, e da Aleppo fuggono in decine di migliaia”. George, un antiquario, interviene: “Ascolti, noi eravamo qui ancor prima di San Paolo, quando Saul arrivò, già l’aspettava un vescovo”. S’è fatta l’ora dei vespri; lo scampanellio delle chiese torna a riempire il cielo, vivace e impertinente».
Per quanto tempo? Lasceremo fare?]
Il piano è quello di distruggere il moderno Stato arabo di Siria, quello che è emerso dopo la Prima Guerra Mondiale e negli anni ‘40, e, se possibile, di insediare nuovi Stati religiosi (sulla falsa riga dello Stato ebraico di Israele). In questo modo, la potenza araba, e con essa la ideologia pan-arabista di Michel Aflaq e Antun Sa’ade (entrambi Arabi cristiani) e di Nasser d’Egitto, andrebbero a scomparire.
Questo processo è iniziato quando, nel 1978-9 sotto Sadat, l’Egitto ha firmato il trattato di pace con Israele, ed ha avuto seguito con la rovina del Libano nel 1982, la seconda Intifada nel 1987, e la presa di possesso economico dell’Iraq nel 2003. Quindi il piano è proseguito in Libia, con il sequestro di petrolio e gas nel 2011.
Pertanto, al fine di mantenere l’egemonia U$Rael (USA-Israele), l’Occidente ha bisogno di allineare gli Stati lungo linee confessionali (Sunniti e Sciiti), piuttosto che su quella del Pan-arabismo.
In buona sostanza, questo processo è stato potenziato dopo l’occupazione dell’Iraq e la caduta del partito Ba’ath.
In pratica, ciò che ora sta accadendo nel mondo arabo è una “correzione” degli accordi Sykes-Picot del 1916, quando le principali potenze coloniali, Gran Bretagna e Francia, ritagliavano i confini degli attuali Stati arabi e vi installavano i propri agenti arabi.
Questi piani neo-colonialisti in atto prevedono dotazioni e fondi per quelle fazioni arabe che ora stanno combattendo il regime siriano, per consentire a costoro di restare a combattere fino al momento in cui ogni Stato verrà smembrato e diviso in 2-3 Stati, sulla base di linee confessionali e settarie.
Ne deriva che le élite coloniali potranno continuare a ramazzare ricchezza, perché, dopo tutto, la mentalità imperiale non è praticamente cambiata.
Dal momento che le potenze occidentali non possono raggiungere questo obiettivo da sole, hanno bisogno di agenti come il Qatar in Libia, e come il Qatar, l’Arabia Saudita e altri in Siria.
Questi agenti, preferibilmente auto-sufficienti, come le antidemocratiche monarchie arabo-musulmano-sunnite, utilizzeranno l’Islam sunnita per promuovere il fanatismo contro altri Arabi, musulmani e non musulmani (ad esempio, i Cristiani arabi, gli Sciiti e i Drusi).
Questi Arabi, che hanno accesso all’élite dell’economia globale (ad esempio, la famiglia reale saudita e i Qatarioti in stretta consonanza con le élite usamericane e altre élite europee) sono, nel complesso, le élite che dominano il Golfo Arabico, o i loro protetti.
Sono loro che stanno introducendo un cuneo tra le varie sette, e stanno potenziando e sfruttando il gioco della carta sunnita, con la Turchia musulmano-sunnita non-araba contro la Siria.
E non dovrebbe affatto sorprendere se fossero in combutta con le potenze occidentali, al servizio di Israele.
D’altro canto, rimarrebbe abbastanza difficile da spiegare perché il regime più autoritario sulla terra, l’Arabia Saudita, stia agendo contro la Siria e stia cercando di impartirle lezioni di democrazia, nozione che l’Arabia Saudita non è stata mai molto appassionata di apprendere.
Le campagne di propaganda negativa, orientalista, condotte contro la Siria nell’ultimo anno con il sostegno finanziario di alcuni paesi del Golfo hanno volutamente oscurato elementi insiti nella Siria, come il laicismo della Siria – fattore con cui le società occidentali naturalmente dovrebbero identificarsi.
Quindi, l’importanza dell’ideologia del tutto laica del partito Baath siriano, che garantiva almeno le libertà private, è stata tenuta nascosta. Questo va aggiungersi, per esempio, al fatto che Daoud Rajhah, il ministro della Difesa siriano assassinato, era un cristiano, come lo era il dottor Nabil Zughaib, recentemente assassinato (insieme alla sua famiglia), responsabile del programma missilistico siriano.
Gli esempi riportati di una deliberata cancellazione dei fatti sono probabilmente dovuti all’alleanza della Siria con la Russia, e quindi la Siria si è collocata dalla parte “sbagliata”. Questo stretto rapporto tra la Siria e la Russia è durato per oltre cinque decenni.
Inoltre, la Siria è il ventre molle (alawaita / sciita laico) tra l’Iran (sciita), in posizione di rifiuto della NATO, e HizboAllah sciita in Libano.
Mentre ad un orizzonte vicino, per Israele la principale opposizione al suo dominio resta l’Iran (come pure HizboAllah, la Siria, e, in precedenza, Hamas), la Siria è ora il bersaglio immediato. Come tale, per la Siria è ora in corso la punizione, in modo che il suo corpo metaforico alla fine risulterà smembrato.
Ma al momento qual è la rilevanza di Hamas?
Fino a quando ha vinto democraticamente le elezioni nel 2006 (quasi due anni dopo l’assassinio di Yasser Arafat), e un anno dopo metteva in scena nella Striscia di Gaza un colpo contro l’Autorità Palestinese controllata da Fatah, Hamas è stato un movimento di resistenza sostenuto da Iran, Damasco e da HizboAllah.
Se metaforicamente l’Iran era la “testa”, e HizboAllah ed Hamas le due “gambe”, la Siria è stata la “pancia” o il “cuore” e i “polmoni” di questo “corpo” di resistenza.
Ma dal momento in cui Hamas ha iniziato ad amministrare la Striscia di Gaza, ha decisamente cessato di essere un movimento di resistenza ed è diventato istituzionalizzato. Qui, Israele (e Sharon in particolare) ha conseguito una vittoria tattica. Pur a duro prezzo, Israele si è ritirato dalla Striscia di Gaza, comunque stringendola sempre sotto assedio, attaccando a piacimento e consegnando le chiavi della prigione ai prigionieri (Hamas) per la gestione, per suo conto, della più grande prigione a cielo aperto sulla terra. E tutto questo è stato fatto senza che Hamas persino realizzasse cosa stava succedendo. Forse qualcuno ha pensato che il nome (da assegnare alla Striscia) poteva essere abbellito e, invece di “prigione”, avrebbe potuto trasformarsi in un “EmiRison” (Emirato e prigione).
Nella prima metà del 2012, i leader di Hamas hanno abbandonato Damasco, dove avevano il loro quartier generale, e ora pubblicamente si mantengono tranquilli e si astengono dal sostenere il governo siriano – un governo, che li ha sostenuti per più di due decenni.
Con la vittoria dei Fratelli Musulmani in Tunisia e in Egitto, e la loro ascesa in Libia, Hamas ora sembra avere nuovi e potenti patrocinatori, e in paesi dove è possibile agire da posizioni molto più favorevoli. I dirigenti di Hamas (sia nella diaspora che nella Striscia di Gaza) sono stati invitati dal neo eletto presidente egiziano ad unirsi ai Fratelli Musulmani (la loro organizzazione madre) a livello paritario. Quello che sembrava fino a ieri essere un movimento di resistenza, (anche se alcuni potrebbero obiettare che non sono mai stati dei rivoluzionari, a differenza di altre organizzazioni palestinesi di sinistra, come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina FPLP, e il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina FDLP, ecc.), si è ora trasformato nel ricamo del tessuto di una alleanza sunnita-musulmana, che ha iniziato ad agire sotto l’egida della NATO.
Agli orientalisti occidentali piace immaginare che venga loro servito ciò che è necessario che accada in favore dei loro interessi in Oriente.
Essi iniziano ad etichettare il mondo arabo come “Medio Oriente”, come se questo fosse esclusivamente un indicatore geografico, solo per determinare e sottolineare la loro posizione egemonica di riferimento.
Al fine di rendere sicure le loro ruberie programmate, si inventano termini per nascondere e giustificare le loro azioni militari, segrete o palesi.
Tuttavia, i loro servizi di sicurezza / intelligence non sempre riescono a prevedere gli sviluppi nel mondo arabo, come l’Intifada del 1987 e il colpo di Stato di Hamas del 2007.
Eppure, le loro élite di potere, superficiali e ignoranti, non hanno mai cessato di confezionare nuovi nomi e processi, l’ultimo dei quali è l’aver denominato con “Primavera araba” quel qualcosa che ha avuto inizio in Tunisia.
Quello che sta accadendo in alcuni Stati arabi e nel mondo arabo non è “Primavera”: è un processo reazionario che avrà effetti di ritorno avversi, come sperimentato dagli Stati Uniti in Afghanistan, dove gli Stati Uniti avevano creato e sostenuto gli stessi jihadisti che in seguito li hanno combattuti. Così, la compagine USA-Israele ha cercato di stringere accordi con gli Islamisti al potere, in modo che possano controllare le masse.
In effetti, questa non è la prima volta che gli strateghi politici hanno cercato di usare la religione per evitare il caos e difendere i loro interessi economici.
Questo vale per ciò che Machiavelli ha descritto [in base alle considerazioni dello storico romano Tito Livio Patavinus (59 a.C.-17 d.C.), che ha sviluppato la raccolta di libri “Ab Urbe condita”, che narrano la storia di Roma dalla sua fondazione (nel 753 a.C.) fino alla morte di Druso (9 a.C.), in forma annalistica] e di cui ha fatto riferimento nei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, quando ha sottotitolato un capitolo così: “Come i Romani hanno usato la religione al servizio del riordino della città e hanno adempiuto alla loro impresa di fermare i tumulti.”
Allora, le campagne propagandistiche dell’Occidente contro la Siria cercano di convincere l’opinione pubblica (le “plebi”) a temere la religione, piuttosto che ad obbedire ai loro attuali leader arabi.
Per questo motivo, nonostante proteste importanti avvenute nei tre regni arabi (Arabia Saudita, Marocco e Giordania), il mondo a mala pena (a causa della censura, il controllo e la mancanza di attenzione dei media occidentali) ha sentito parlare di queste, rispetto a quelle nelle altre repubbliche arabe. Uno dei motivi è consistito nel fatto che non c’è stato quasi nessuno pronto a promuovere una qualche campagna mediatica ben finanziata e di sborsare le ingenti somme richieste. (Questo, forse, con l’eccezione del Bahrain, e la possibile influenza dell’Iran). Tuttavia, non esiste alcuna garanzia che una campagna anti-egemonica potrebbe riscuotere successo in queste monarchie arabe.
Dopo aver sconfitto il clan rivale degli al-Rashid nel 1921, la famiglia al-Saud attualmente governa sulla gran parte della storica penisola arabica. La sua importanza regionale è dovuta anche al controllo dei luoghi santi della Mecca e Medina e alla sua alleanza con il wahabismo, e alla sua capacità di sfruttarlo, così come al suo petrolio e alle risorse minerarie. Queste risorse sovvenzionano la collaterale sua industria culturale (mediatica).
Tuttavia, si intrecciano, in modo evidentemente complesso, fattori religiosi ed economici, che investono una grande rete sociale.
Questa combinazione può essere espressa in ciò che io definisco “L’etica saudita,… il guadagno spirituale” – in qualche modo simile alla “tesi di etica protestante” di Weber, che sottintende l’accumulo di ricchezza nel nord dell’Europa.
Attraverso l’accumulazione di capitale negli Stati del Golfo durante gli anni ‘70 [sotto il controllo e la protezione degli Anglo-USAmericani attraverso trattati che hanno portato un gran numero di Arabi ad essere economicamente dipendente (attraverso impieghi di lavoro nel Golfo), o spiritualmente dipendente attraverso il controllo dei media arabi], la fase di espansione economica dovuta al petrolio ha creato nel mondo arabo una nuova stratificazione sociale.
Come risultato, alcuni settori delle società arabe sono stati dipendenti dall’autorità della famiglia regnante saudita e dei suoi clan, e ancora la accettano. Queste élite fanno parte delle classi dirigenti economiche che possiedono alcuni dei più importanti progetti energetici, detengono strutture e proprietà di grande valore in Occidente, tra cui Harrods, squadre di calcio, immobili sugli Champs Elysées e partnership con Rupert Murdoch, solo per citarne alcune.
La recente scoperta che gli Arabi vogliono la loro libertà è principalmente promossa da alcune istituzioni di media arabe e occidentali, che a loro volta sono la “longa manus” di coloro che prendono le decisioni politiche, con specifici obiettivi economici, strategici e tattici.
Le campagne mediatiche che vengono condotte da capitalisti neo-conservatori, sionisti come Bernard-Henri Lévy, al servizio di Israele aggressivamente, e che hanno una forte affinità con il Giudaismo fondamentalista, mirano solo a separare gli Arabi dalla loro ricchezza e dalle loro risorse, mentre, nel contempo, li stanno ingannando.
Questo viene realizzato attraverso la duplice strategia di confezionare una narrazione distinta per due segmenti separati della popolazione. Per il religioso, la corruzione viene associata alla miscredenza, mentre all’intera nazione araba viene venduto il sogno assolutamente affascinante di autonomia, giustizia e libertà.
Naturalmente, ogni individuo interpreterà questo secondo la sua propria educazione, la sua socializzazione e politicizzazione, le sue norme di vita e i suoi valori.
Così, mentre tutti potranno incontrarsi sulla “piazza”, gli Islamisti riterranno i testi sacri islamici essere la soluzione, i liberali faranno riferimento a Jean-Jacques Rousseau, alla “separazione dei poteri” di Montesquieu e alla Rivoluzione francese, i marxisti penseranno alla Rivoluzione bolscevica del 1917 e alla lotta di classe, e i maoisti avranno come riferimento la Rivoluzione culturale di Mao Tse-Tung o il nasserismo (dopo tutto, quando nel 1952 un gruppo di ufficiali dell’esercito egiziano portava avanti un colpo di stato e una rivoluzione, Mao Tse-Tung dichiarava che “la lotta contro la corruzione e lo sperpero è una questione importante che riguarda tutto il partito” (30 novembre, 1951), e questo si inserisce nel quadro della lotta ai regimi arabi corrotti).
Nel frattempo, coloro che sognano di Castro e Che Guevara si batteranno sulle “barricate” nelle piazze, in una resistenza contro le forze di sicurezza dello Stato.
In realtà, tutti questi valori non hanno proprio possibilità di incidere nel mondo arabo, e i Sio-liberisti lo sanno.
La realtà è che, a causa del controllo sociale e del modo in cui le società arabe sono state socializzate nel secolo scorso (compreso l’impatto dell’eredità coloniale), e per la ricchezza dell’Islam wahabita (e dei moderni Salafiti) che ha goduto degli introiti petroliferi, ad eccezione della fazione islamica le altre ideologie faranno pochi progressi, ma piuttosto renderanno sicura solo la vittoria dei movimenti religiosi.
È vero, il mondo arabo è stato eterogeneo, sebbene solo moderatamente. La religione ha prevalso perfino in Stati come la Giordania, dove, per decenni, gli Islamisti hanno controllato la maggior parte dei programmi scolastici. Così, in ogni Stato arabo che ha avuto disordini, e in modo particolare in Egitto, esiste una feroce lotta di potere sulla Costituzione.
I Fratelli musulmani e i Salafiti hanno vinto la maggioranza dei seggi nelle elezioni parlamentari, e il primo presidente eletto democraticamente, Mohammed Mursi (eletto solo da un quarto dei cittadini), è membro della Fratellanza musulmana. I poteri forti si stanno adoperando per promulgare una Costituzione sulla base di una pertinente interpretazione delle leggi della Sharia.
Nella sua “Morfologia dello Stato”, Aristotele suggerisce come vi sia la necessità di “considerare non solo che la Costituzione sia la migliore, ma anche che sia possibile e più facilmente praticabile” (p. 103).
Agli occhi dei fondamentalisti religiosi, questo può avvenire praticando le leggi della Sharia, riconosciuta come una valida soluzione perfino dalle élite dominanti occidentali.
Come costoro hanno assicurato i loro interessi economici mediante istituzioni religioso-élitarie che controllano i media, a loro volta queste organizzazioni beneficeranno di propri centri di potere sociali, economici e politici, e una nuova nicchia di imprenditori emergerà dai circoli/classi delle élite religiose.
Di conseguenza, i gruppi religiosi aumenteranno la loro partecipazione economica al fianco della partecipazione politica. Dal momento che ciò andrà a tutto vantaggio della loro “jihad” politica [jihad, è una parola araba che significa “esercitare il massimo sforzo” o “impegno” o il “combattere”. La parola connota un ampio spettro di significati, dalla lotta interiore spirituale per attingere una perfetta fede fino alla guerra santa], alcuni vedono questo come “halal”, sia all’interno che al di fuori del quadro del sistema bancario islamico.
[halal, è una parola araba che significa “lecito”. Il termine intende tutto ciò che è permesso secondo l’Islam, in contrasto a ciò che è harām, proibito. Il concetto include dunque il comportamento, il modo di parlare, l’abbigliamento, la condotta e le norme in materia di alimentazione.]
Tuttavia, resteranno le divisioni sociali, o si allargheranno, e l’unica differenza è che i nomi sono cambiati. Invece di un “Mubarak”, ci sarà qualcun altro (ma questa volta, uno con la barba!) e queste apparenti “variazioni” serviranno solo e sempre a mantenere il controllo politico.
Le popolazioni sottoposte al controllo sono quelle definite come “minoranze” – soprattutto Arabi cristiani (circa 30 milioni di loro nel mondo arabo), musulmani laici (sunniti e sciiti), e altri.
In Egitto, Mohammad Zawahiri (il fratello del leader di al-Qaeda Ayman Zawahiri) ha già dichiarato che gli Egiziani cristiani dovrebbero pagare una tassa come “Dhimmi” (infedeli), oppure lasciare l’Egitto. E se rifiutano, ha suggerito di contrastarli e costringerli con la forza.
Un esempio di mobilitazione mediatica della popolazione attraverso la religione può essere riferito direttamente allo stesso monarca saudita. Durante il Ramadan 2012, Abdallah dell’Arabia Saudita e il suo erede hanno lanciato una campagna di raccolta fondi presumibilmente in aiuto del popolo siriano – o almeno così recitava lo slogan. Questa campagna era basata su norme di morale islamica e sul senso di comunità, specialmente come enfatizzato durante il mese sacro del Ramadan.
Mentre spacciavano al loro popolo messaggi di comunanza e di compassione, queste campagne venivano utilizzate per scopi politici locali e regionali.
Una campagna analoga lanciata dalla Siria per la liberazione delle donne saudite arabe, ad esempio in favore del loro diritto e bisogno a guidare l’automobile e simili, sarebbe inimmaginabile.
Liberali alla Goebbels, che stanno al fianco di quei capi di sceiccati, hanno finora tentato di ingannare una parte dell’opinione pubblica araba e hanno cercato di orientarla contro il governo siriano, deviando in altre direzioni l’incendio delle loro “piazze”.
Mentre essi aderiscono a norme e a credenze le più arcaiche in materia di libertà e democrazia, costoro istigano il raggiro di massa contro la Siria che è, in termini di norme sociali, libertà delle donne, diritti delle minoranze religiose, pari opportunità e libertà personali, ecc., molto più vicina ai paesi occidentali liberali.
Più o meno allo stesso modo come i regimi arabi hanno deciso strumentalmente di mobilitare le loro opinioni pubbliche nazionali a sostegno dei Palestinesi, i regimi del Golfo stanno utilizzando il falso argomento, di stare contrastando l’oppressione esercitata sui Siriani dal loro governo, per mobilitare le loro “piazze” contro la Siria. E questo, nonostante il fatto di essere loro stessi anni luce ben lontani dalle condizioni siriane di libertà e democrazia.
I governi occidentali non sono amici della democrazia liberale nel Terzo Mondo. Essi immancabilmente fanno affari con tali governi, caratterizzati dai peggiori record sui diritti umani, e poi solo quando ne ricavano benefici finanziari.
Proprio come nel luglio 2008, quando Nicolas Sarkozy e l’attuale acerrimo nemico della Siria, l’emiro del Qatar, hanno formato con la dirigenza siriana, l’“Unione del Mediterraneo”, alcuni governi europei hanno pensato che avrebbero potuto anche trarre vantaggi economici dalla crisi nel mondo arabo.
Ciò è particolarmente vero quando, ricevendo il sostegno dei ricchi Stati del Golfo, credono di poter in qualche modo porre dei limiti alle crisi economiche che devono ora affrontare.
In alcune parti della Siria, la sicurezza personale è diminuita dal marzo 2011 e il governo centrale non è stato sempre degno di nota per la sua condotta morale.
Tuttavia, come parte di una campagna politicamente strategica, i media stanno intenzionalmente mentendo sulla situazione in Siria. Essi instillano la paura nell’opinione pubblica siriana e incidono emotivamente enfatizzando preoccupazioni per la possibilità di disgrazie e di perdita della vita. Così, essi costruiscono una narrazione che agevola e giustifica una sempre più crescente assistenza ai gruppi armati, separatisti, terroristi e mercenari.
Inoltre, gli stessi mezzi di comunicazione ritraggono il governo siriano come unico responsabile per la violenza, quando, in realtà, i veri responsabili sono coloro che reclutano, pagano e forniscono armi ad individui facilmente malleabili, disoccupati e affamati di contante.
Esistono due principali colpevoli per l’aumento delle vittime: la menzogna e la repressione di qualsiasi voce contraria.
Con i loro alleati arabi, la NATO ha interrotto il segnale per la connessione satellitare del canale satellitare siriano al-Dunia. Altri atti di “terrorismo” satellitare probabilmente includono il dirottamento illegale da parte della CIA dell’account Twitter di al-Dunia, in modo da diffondere disinformazione sulle false ritirate dell’esercito siriano.
Lo stesso satellite arabo, che la Siria ha contribuito a fondare e finanziare dopo la perdita della seconda parte della Palestina nel 1967, viene ora utilizzato contro la Siria da questi sceiccati del Golfo Arabo.
Questo satellite è attualmente utilizzato nel conflitto in Siria -, ma contro la Siria – e diffonde principalmente disinformazioni da parte dei canali di proprietà degli Stati del Golfo che promuovono la paura e il panico di instabilità economica in Siria.
I media vengono utilizzati e manipolati a copertura dell’incitamento di azioni terroristiche da parte dell’opposizione siriana e anche per raccogliere aiuti economici, e poi questi stessi media presentano le conquiste dei “ribelli” come “eroiche”, espurgate dei particolari più crudi, e, all’uopo, descrivono le perdite che costoro subiscono come “massacri”.
In buona sostanza, ai media arabi ed occidentali a più ampia diffusione è concessa quasi una sola alternativa: ingoiare disinformazioni da inaffidabili “portavoce”, che poi vengono riversate sul pubblico. Storie di massacri da parte del governo siriano sono, per scopi propagandistici, messe in onda per giustificare un intervento dall’esterno, e l’immagine prevalente è quella del nobile Occidente che arriva a salvare una nazione del Terzo Mondo, priva della capacità di difesa, sotto il tallone di un tiranno oppressore, maschilista e sciovinista.
Questo è esattamente quello che è successo in Libia.
Tuttavia, una minoranza di media arabi si stanno opponendo al piano dominante e un’altra minoranza sta a vedere con atteggiamento neutrale. I media arabi sono per lo più, direttamente o indirettamente, nelle mani degli Stati del Golfo, mentre altri giornalisti, o operano con discrezione stando sul libro paga di tali forze, o sono completamente indotti in errore e si trovano quindi nell’impossibilità di afferrare le conseguenze tragiche di quello che sta avvenendo nel mondo arabo.
Con molta probabilità, i valori contro la guerra di Madre Coraggio di Bertolt Brecht non sono presenti nell’agenda di questi Stati ricchi di petrolio, in quanto potrebbero ancora di più rendere manifesta la dicotomia tra religione ed economia guerrafondaia.
- * Il dottor Makram Khoury-Machool è uno studioso palestinese, residente a Cambridge, Gran Bretagna http://www.deliberation.info/dismembering-the-arab-world/
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
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