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Cuba: un esempio per gli Stati Uniti?

L’articolo che abbiamo qui tradotto è stato pubblicato il 21 marzo sulla storica rivista della sinistra radicale nord-americana The Nation, scritto da Peter Kornbluh.

Il suo titolo originale è: “L’accoglienza di Cuba alla crociera colpita dal Covid19 rispecchia un modello perdurante di impegno umanitario ed è stato uno dei più letti nella versione online della rivista.

La redazione di The Nation, per le primarie del partito democratico, ha pubblicamente fatto il suo endorsement a Bernie Sanders, che porta avanti la proposta del sistema sanitario gratuito universale come uno dei punti qualificanti del suo programma ed ha elaborato delle proposte articolate per l’attuale emergenza sanitaria, su cui dà battaglia, a differenza del suo competitor – Joe Biden – che sembra essere “scomparso”, nonostante la sua performance positiva anche nell’ultima tappa delle primarie.

A Sanders, che continua la sfida all’ex numero due di Obama, in vantaggio di 300 delegati, va il merito di avere “popolarizzato” tra l’altro il diritto alla salute, in un Paese che sta drammaticamente sperimentando l’inadeguatezza strutturale di un tale modello.

Il quasi ottantenne socialista ha anche un altro pregio perché ha lanciato la battaglia affinché il vaccino – una volta – sia gratuito e non diventi l’ennesima occasione di speculazione per l’industria farmaceutica statunitense.

In un momento in cui la contraddizione tra tutela della salute e le necessità del big business negli Stati Uniti è al suo punto più alto, perché Trump, e non solo lui, scalpita per far tornare al lavoro le persone il prima possibile in piena pandemia, il modello cubano può essere percepito agli occhi di una parte consistente dell’opinione pubblica statunitense un bel gradino sopra a quello che si credeva essere “il miglior mondo possibile”.

Fa sorridere oggi il bashing mediatico sollevato contro Sanders durante le primarie perché in passato aveva lodato la sanità cubana, poco prima che gli effetti del contagio paralizzassero gli Stati Uniti.

Si potrebbe rompere uno “steccato ideologico”, perché i fatti hanno la testa dura, per quanto i media mainstream possano vomitare falsità sull’isola Caraibica, di fatto riprendendo per gli Stati Uniti quel processo di distensione e di riconoscimento – di cui tratta anche l’articolo – intrapreso dall’amministrazione Obama.

Il caso della nave “MS Braemar” e quello dell’Interferone Alfa-2b sono paradigmatici del prestigio che sta assumendo Cuba anche negli Stati Uniti.

Come scrive giustamente l’autore gli sforzi internazionali di Cuba per fermare la diffusione del virus fuori dai suoi confini sono parte di un perdurante e costante modello di impegno umanitario globale. (…) Per decenni, il governo ha assicurato borse di studio per migliaia di studenti di medicina stranieri per studiare alla decantata Escuela Latinoamericana de Medicina, l’università biomedica internazionale di Cuba. Le brigate mediche cubane hanno assistito con servizi sanitari gratuiti le popolazioni povere di dozzine di Paesi del Terzo Mondo”.

L’articolo è un feroce atto d’accusa contro l’attuale amministrazione per la sua politica anti-cubana che ha fin qui minato gli sforzi dell’isola nella sua sincera politica internazionalista a livello sanitario, tra cui quelli per sconfiggere il contagio.

Uno degli aspetti più rilevanti sviluppato dall’esperienza socialista cubana diventa quindi un esempio per un ampio arco di forze proprio nel Paese che più ferocemente ha cercato stroncarla con ogni mezzo.

Per l’amministrazione statunitense è una “seconda” Baia dei Porci, ma questa volta all’interno dei propri confini.

Buona lettura.

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Il 12 marzo scorso, un transatlantico inglese si stava avvicinando alle Bahamas, con circa 50 persone fra passeggeri e membri dell’equipaggio che mostravano i sintomi o erano stati diagnosticati con il coronavirus. A bordo molti speravano che il loro viaggio della speranza per trovare una nazione caraibica che li lasciasse attraccare fosse finalmente finito.

La nave da crociera colpita dal coronavirus, la MS Braemar, batte infatti bandiera bahamense, quindi certamente la nazione del Commonwealth britannico dove la nave è registrata sarebbe stata obbligata a lasciarli sbarcare per essere curati e riportati nel Regno Unito.

Al contrario, il ministro dei trasporti bahamense ha dichiarato che la nave da crociera “non sarebbe stata autorizzata ad attraccare in nessun porto delle Bahamas e che a nessuna persona sarebbe stato consentito di sbarcare dalla nave”.

Malgrado gli sforzi frenetici del Ministero degli Esteri britannico e della compagnia croceristica Fred Olsen, proprietaria della nave, nei successivi 5 giorni, secondo quanto riportato, molte altre nazioni caraibiche, come pure gli Stati Uniti, hanno negato il diritto ad attraccare.

Il 18 marzo Cuba è stata l’unica nazione ad accettare la nave. Attenendosi strettamente alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, le autorità cubane hanno assistito nello sbarco più di mille passeggeri e membri dell’equipaggio, che sono poi stati fatti salire su un convoglio di autobus, diretti, con una speciale scorta della polizia, all’aeroporto internazionale José Martì per imbarcarsi su dei voli charter per il Regno Unito.

Il Ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez, spiega così la risposta umanitaria di Cuba alla richiesta d’aiuto del Regno Unito: per contenere il virus è necessario “lo sforzo dell’intera comunità internazionale” per questo “dobbiamo rafforzare la sanità, la solidarietà e la collaborazione internazionale”.

Mentre la nave approdava al porto di Mariel, circa 25 miglia ad ovest dell’Avana, i cittadini cubani hanno avvalorato il messaggio solidale del ministro mandando i loro migliori auguri ai passeggeri a bordo della Braemar tramite Facebook. “Sono seduta nella mia cabina e rispondo a tutti i cubani che mi hanno mandato messaggi di supporto e di benvenuto, ad essere onesti, sto piangendo per la loro gentilezza”, ha postato sulla sua pagina Facebook una delle passeggere, Anthea Guthrie, “ci hanno fatto sentire non solo accettati, ma addirittura benvenuti”.

Come ogni altra nazione nel mondo, Cuba sta lottando contro la diffusione del Covid-19. A metà marzo a tre turisti italiani è stato diagnosticato il coronavirus e sono stati ricoverati, successivamente uno di loro è morto. Altri turisti arrivati sull’isola sono risultati positivi ai test e stanno ricevendo le cure necessarie. I ritrovi per eventi culturali e sportivi sono stati cancellati.

Fino a ieri (venerdì 20 Marzo, NdT), comunque, il governo del presidente Miguel Díaz-Canel aveva evitato di intervenire con misure drastiche per limitare gli spostamenti all’interno e verso l’isola. Tuttavia, a partire dal 20 marzo, con ventuno contagiati e un morto, il governo ha annunciato che chiuderà gli ingressi ai non residenti.

Il contributo sanitario che Cuba sta dando al mondo nella battaglia globale contro la pandemia ha fatto più notizia rispetto allo sforzo di contenimento del virus fatto finora all’interno dei suoi confini. Un farmaco sviluppato dall’industria biotech cubana, l’Interferone Alfa-2b, che rinforza il sistema immunitario e si è dimostrato efficace anche nelle passate epidemie – per esempio contro la febbre dengue e l’HIV/AIDS – è stato fra i trattamenti scelti dalle autorità sanitarie cinesi per frenare il diffondersi del contagio.

Anche altri Paesi, inclusi Spagna e Cile, hanno richiesto di aver accesso al farmaco. Con dei rifornimenti di Interferone Alfa-2b una brigata di medici cubani è stata inviata in Italia a supporto degli sforzi sanitari del Paese devastato dal coronavirus.

Gli sforzi internazionali di Cuba per fermare la diffusione del virus fuori dai suoi confini sono parte di un perdurante e costante modello di impegno umanitario globale. Per decenni, il governo ha assicurato borse di studio per migliaia di studenti di medicina stranieri per studiare alla decantata Escuela Latinoamericana de Medicina, l’università biomedica internazionale di Cuba.

Le brigate mediche cubane hanno assistito con servizi sanitari gratuiti le popolazioni povere di dozzine di Paesi del Terzo Mondo; dal 2004 per esempio gli oftalmologi cubani hanno eseguito operazioni chirurgiche oculistiche – fra le altre: interventi di cataratta, al glaucoma e ripristino della retina – in circa 39 nazioni parti del programma di aiuti umanitari conosciuto come “Operazione Miracolo”.

I programmi della “diplomazia dei medici” sono stati riconosciuti a livello internazionale per la loro rapida risposta ai disastri e alle epidemie. Il personale medico cubano è stato, secondo la Radio Pubblica Nazionale, “l’eroe ignorato” ad Haiti, quando il devastante terremoto del gennaio 2010 colpì il Paese, uccidendo almeno centomila persone.

Fra i soccorritori ci furono circa quattrocento medici cubani che costruirono e resero operativi diversi ospedali per migliaia di feriti haitiani. Il personale medico cubano ha dimostrato il suo coraggio anche durante la pericolosa lotta per fermare l’epidemia di Ebola in Africa. Nell’ottobre 2016 l’allora ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Samantha Power dichiarò “una delle primissime nazioni a muoversi fu Cuba, che inviò più di 200 esperti nella regione – un contributo straordinario per un Paese di soli 11 milioni di abitanti”.

Questo è solo uno dei tanti elogi che alcuni membri dell’Amministrazione Obama fecero ai risultati della Rivoluzione Cubana, nei due anni in cui Washington perseguì una politica di riconciliazione, dialogo e normalizzazione delle relazioni con l’Avana. “Sforzi notevoli come questi sono la precisa ragione per cui gli Stati Uniti e Cuba devono continuare a trovare modi per confrontarsi, anche se le nostre differenze persistono”, sostenne l’ambasciatrice Power nel suo discorso all’ONU sul potenziale positivo della collaborazione fra Cuba e Stati Uniti in campo medico internazionale e oltre.

Tuttavia, questo impegno, così necessario mentre il mondo sta reagendo a una minaccia letale alla vita per come la conosciamo, è stato rinnegato dalle politiche dell’attuale amministrazione. Trump ha cancellato gli sforzi di Obama per una coesistenza pacifica e li ha rimpiazzati con un aggressivo complesso di sanzioni, restrizioni e operazioni punitive che si sono inasprite con la campagna elettorale del 2020.

Cuba ha accusato gli USA di prendere di mira i suoi programmi sanitari internazionali facendo pressione sui Paesi perché espellano le brigate mediche cubane: due di loro, Bolivia e Brasile, l’hanno già fatto.

L’amministrazione Trump ha limitato i viaggi per e dall’isola e minacciato di fatto le compagnie di navigazione che trasportano i beni di importazione verso Cuba, interrompendo le relazioni commerciali e aggravando la scarsità di cibo e petrolio.

Questa pandemia non conosce confini e non è ostaggio della storia o della politica”, così è scritto in un’istanza per la cancellazione delle sanzioni attualmente in circolazione fra i gruppi di pressione di Washington. Redatta dal Centro per la Democrazia nelle Americhe, la petizione chiede la rimozione di tutte le restrizioni sui pagamenti e sulle donazioni umanitarie, la cancellazione delle penali contro le compagnie di navigazione e un ritorno al dialogo fra Washington e l’Avana.

La comunità globale deve fare tutto ciò che è in suo potere per fermare la diffusione del virus, proteggere le persone al suo passaggio e alleviare le sofferenze che lascia dietro di sé. Per il governo americano questo significa cancellare le sanzioni che più colpiscono il popolo cubano”.

Ironia della sorte, i Cubani sono puniti proprio mentre stanno dando il loro importante contributo per il benessere di tante persone fuori dai loro confini. “Il più grade paradosso è che mentre le navi noleggiate da Cuba per portare petrolio e cibo sono minacciate dagli Stati Uniti, le navi che trasportano contagiati che nessuno vuole nei propri porti ricevono solidarietà e rispetto a Cuba”, ha scritto recentemente la giornalista cubana Rosa Miriam Elizalde su La Jornada, un giornale messicano.

Infatti, per i passeggeri a bordo della MS Braemer, la solidarietà e il rispetto di Cuba in un periodo di paure terribili e incertezza ha davvero fatto la differenza nelle loro vite: “grazie Cuba di averci aperto il tuo cuore. Non dimenticheremo mai e poi mai che ci hai porto il tuo aiuto quando nessuno, e intendo proprio nessun altro, l’avrebbe fatto”, ha scritto Anthea Guthrie su Facebook. “Sono sicura che noi non dimenticheremo mai l’aiuto che abbiamo ricevuto da un Paese povero ma con un cuore enorme e coraggioso”.

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