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Paradossi e tragedie del coronavirus

L’alto tasso di letalità italiano

Si era già detto che l’indice di letalità del nuovo coronavirus fosse probabilmente più basso di quanto calcolato sulla base dei dati ufficiali, dal momento che molti casi infetti non sono stati contabilizzati[1]. Ciò implica che la contagiosità è maggiore e/o il virus sta circolando da molto più tempo. Questo, per quanto riguarda il preoccupante dato italiano, potrebbe sollevare domande sull’origine stessa del virus qui operante e sul suo percorso (sia in termini di mutazioni, sia in termini di circolazione). Si è già parlato dello strano aumento di polmoniti avvenuto negli ultimi anni[2] e del fatto che in realtà le statistiche non riescano a dare elementi sufficienti per spiegarne scientificamente i motivi[3].

Facendo un paragone con la South-Corea, l’indice di letalità al momento attuale da noi è il 7,71%, da loro lo 0,97%[4]. Può essere che i sudcoreani abbiano contabilizzato quasi tutti i casi infetti, mentre noi abbiamo decine di migliaia di infetti anonimi e a piede libero. Tuttavia i sudcoreani hanno gestito sino ad alcuni giorni fa quasi il doppio dei nostri infetti e il tasso di letalità giocava comunque di molto a nostro sfavore. Possiamo andare a vedere come stanno classificando gli infetti? Come li stanno distribuendo in una logica di contenimento sanitario sia del contagio che della virulenza del virus? Come li stanno curando?

Si può pensare che i sudcoreani abbiano rallentato subito il contagio. Come? Pare che i test siano stati lì fatti anche agli automobilisti per strada, intervenendo così anche quando non fossero comparsi i sintomi[5]. Il sistema di controllo è stato talmente pervasivo da generare altri inconvenienti sociali[6].

Il rapporto tra guariti e morti in South Corea è circa 17,37 mentre in Italia è circa 1,27[7]. Potrebbe essere un segno di una maggiore efficienza del sistema sudcoreano come pure un segno del fatto che la migliore rilevazione di dati in Sud Corea faccia sì che lo spettro dei pazienti curati comprenda relativamente molti casi più lievi semplicemente sfuggiti al sistema di rilevazione italiano.

Quanti reparti stanno lì in quarantena? Quanti da noi? Non è che il virus qui in Italia abbia attaccato violentemente i reparti ospedalieri in modo da stressare eccessivamente i presidi sanitari e in modo da diffondere il virus ulteriormente? Quanti degli infettati attuali sono stati in ospedale precedentemente?

 

L’allocazione dei positivi al tampone

In Italia si può plausibilmente pensare si faccia una tripartizione tra A) positivi al tampone con sintomi leggeri isolati in casa (qualora sia possibile visto che a volte sfuggono al controllo), B) positivi al tampone con sintomi moderati messi in reparti tipo pneumologia e C) positivi al tampone con problemi respiratori o più generalmente gravi che vengono messi in terapia intensiva. Da un lato si teme che a crollare siano i reparti di urgenza. I posti letto di urgenza in Italia pare siano 5000 ma molti già occupati[8] e con una ineguale distribuzione sul territorio in rapporto alla popolazione e con una ridotta dotazione di personale specializzato atto ad utilizzarli con efficienza. Teoricamente il sistema potrebbe reggere sino a 50.000 infettati (visto che i ricoverati in terapia intensiva sono il 10% degli infettati) ma la pratica probabilmente potrebbe essere diversa e il fatto che ci siano ricoverati in terapia intensiva di altro tipo implicherebbe dilemmi morali piuttosto spinosi.

D’altro canto la fascia intermedia (di quelli con sintomi moderati che vengono ospedalizzati) corrisponde al 48% degli attualmente positivi[9] e forse il problema della copertura riguarda questo livello. Gli infettati con sintomi lievi (A) vengono isolati solo per rallentare il contagio. Quelli che vanno in terapia intensiva (C) vengono trattati solo per tenere basso il numero dei decessi. L’ospedalizzazione della categoria intermedia (B) servirebbe per isolare (piuttosto parzialmente visti i risultati) e al tempo stesso monitorare dei pazienti che potrebbero aggravarsi. Quindi il trattamento ha due finalità, ovvero quella di rallentare il contagio e di diminuire la letalità. Attualmente gli ospedalizzati non in terapia intensiva (B) sono circa 11.000[10] che progressivamente guariranno o moriranno (naturalmente anche chi è isolato a casa propria potrebbe aggravarsi). Questa categoria intermedia è quella che secondo chi scrive mette in crisi gli ospedali, perché alcuni di loro possono andare in terapia intensiva e perché sono di più e sono portatori del virus in un contesto ad alta densità di persone e già di per sé portatore di contagio (di natura la più diversa)[11]. E’ probabile che progressivamente ci sarà stata una modulazione diversa del monitoraggio che avrà portato alla diminuzione relativa dei degenti che si trovano in questa fascia intermedia (e un aumento di quelli isolati a casa o addirittura quasi ignorati[12]), con forse un maggiore sollievo per le strutture ospedaliere, un maggiore isolamento degli infetti ma con un possibile aumento del tasso di letalità, dal momento che molte persone che prima sarebbero state monitorate in ospedale adesso in ospedale ci andranno, ma in buon numero direttamente in terapia intensiva (sempre che questi ultimi reparti reggano l’urto).

Nel caso non fosse così avremo un paradosso legato al fatto che una categoria di persone (B), la cui ospedalizzazione ha come prima finalità la diminuzione del numero dei morti e solo poi l’isolamento degli infetti, sia al centro di una strategia paradossale che in questo modo segue la stessa logica del vaccino e della medicina omeopatica (senza con questo voler dire che entrambe le pratiche siano sullo stesso piano). Ovvero si causa ad un sistema uno stress per evitare uno stress più grande. In questo caso però lo stress non è, come nel caso di vaccino e medicina omeopatica, molto piccolo. E’ invece molto grande, quasi simile al male che vuole evitare, a meno che non si cambi il filtro con cui la categoria B viene implementata.

 

Lo stress del sistema sanitario come concausa dell’aumento del tasso di letalità

Perché questa simulazione somiglia molto al male che si vuole evitare?

Il punto è questo: guardando i dati della South Corea (e il loro basso tasso di letalità) e anche di alcune regioni della Cina, Don Ferrante (è sempre lui) ha la convinzione che, nel caso di un virus nuovo senza vaccino il punto fondamentale sia monitorare rapidamente la maggior parte degli infetti e con queste informazioni rallentare subito il contagio. In Cina l’isolamento dell’Hubei ha fatto sì che la mortalità in quella regione non potesse essere che relativamente più alta ma ha evitato che il contagio fosse molto forte (sempre relativamente) nelle altre regioni alcune delle quali hanno avuto, come già visto, tassi bassissimi di letalità. In Corea la capacità di attivarsi subito in fase di monitoraggio e di prevenzione ha consentito di non stressare troppo il sistema sanitario per cui le procedure terapeutiche hanno portato ad un tasso di letalità attorno allo 0,9%.

In Italia invece sembrerebbe che il virus si sia diffuso ben prima che lo si monitorasse, per cui il dato degli infettati ufficiali sarebbe adesso di più di 28.000 infettati[13], ma in realtà il numero effettivo potrebbe essere qualche centinaio di migliaia di infettati. Ciò vuol dire che il monitoraggio preventivo riuscito in South Corea ed in Giappone non è riuscito in Italia. Ciò vuol dire che si sta gestendo una situazione più difficile in quanto il numero dei casi sarà maggiore in senso assoluto e questo, portando ad un maggiore stress in campo sanitario, ha diminuito anche la capacità di cure mediche del sistema sanitario stesso con un conseguente più alto tasso di letalità. Così si spiega (almeno in parte, perché l’altro fattore è l’efficacia del sistema di rilevamento) non solo la differenza del tasso di letalità tra Italia e South Corea, ma anche la differenza di quello che possiamo chiamare il rapporto tra i malati monitorati che sono guariti e quelli che sono morti tra gli stessi due paesi.

 

Decesso con il virus e decesso per il virus

Naturalmente è possibile che la differenza tra l’indice di letalità della Corea del Sud e quella dell’Italia sia dovuta anche ad altri fattori. Uno di questi potrebbe essere la diversa classificazione dei decessi (la famosa questione “decesso per il virus” e “decesso con il virus[14]) per cui alcuni decessi di persone contagiate dal virus vengono classificati come morti non a causa del virus ma a causa di patologie preesistenti aggravate dal virus. Don Ferrante, ricordando la categoria aristotelica (lui è sensibile alla Scolastica medievale e controriformistica) di causa efficiente non ritiene che sia serio questo tentativo di salvarsi in corner derubricando così i decessi (per la serie “’e ripp o rapp, ‘o nonn adda’ murì[15]) anche perché questo è un indizio del degrado dei sistemi sanitari interessati dalla controffensiva capitalistica sul Welfare e si collega all’altrettanto sgradevole abitudine di minimizzare il tasso di letalità dicendo che si tratta prevalentemente di ultraottantenni. In realtà perché si tenga conto delle specificità legate a certi decessi in presenza di patologie pre-esistenti basta distinguere i tassi di letalità e di mortalità per classi di età ed in riferimento a determinate patologie. Togliere questi casi dai decessi per coronavirus è invece un sofisma funzionale alla sottovalutazione delle conseguenze dell’epidemia e ad una rimozione dell’esigenza di valutazione approfondita dell’efficienza e dell’equità di un sistema sanitario. In realtà questa diversa classificazione altera i dati epidemiologici ma non per molto, perché alla fine i contagiati complessivi devono rientrare nell’insieme (morti o guariti) e se ci saranno differenze di ordine numerico di questo si dovrà dare conto a livello statistico e così noi comunque avremo un quadro abbastanza chiaro delle situazioni comparate.

 

La diffusione al Sud

A questo punto molti esperti di grafici (siano economisti, fisici e epidemiologi) stanno ragionando sull’andamento esponenziale del fenomeno[16] e sostanzialmente ragionano in termini di “passaggio della nottata[17]”. E’ la prospettiva che stiamo adottando anche noi, nel guardare le differenze tra Corea del Sud e Italia. Ma Don Ferrante vorrebbe pensare ad una prognosi più benigna. Partendo da due fatti: il primo è che grazie all’isolamento di alcune zone del paese i focolai che compariranno in altre parti d’Italia potrebbero essere meno consistenti di quello lombardo. Il secondo è che le ragioni per cui le complicazioni polmonari dell’influenza stagionale riguardino in particolar modo la Lombardia possano valere anche per la diffusione e la letalità di questo virus. Naturalmente a questo ragionamento ci sarebbero alcune obiezioni. Si potrebbe dire, vedendo i dati attuali, che il governo non sia assolutamente riuscito ad evitare l’isolamento del contagio nelle regioni iniziali (forse perché influenzato dalle proteste di industriali e politici lombardi e veneti). Al tempo stesso si potrebbe dire che le complicazioni dell’influenza stagionale sono prevalentemente di natura batterica e che nel caso del coronavirus la migliore copertura vaccinale delle regioni meridionali non può funzionare. E tuttavia Don Ferrante insiste, alla luce dello strano incremento delle polmoniti negli ultimi anni[18] e che ha riguardato in particolare la Lombardia[19], che questo dato statistico riguardante le polmoniti avrà un ruolo nella virulenza dei focolai di coronavirus in altre regioni, dal momento che i dati scarsi riguardanti questa affezione non permettono di conoscere la natura di questi aumenti avvenuti negli scorsi anni.

 

Un forte argomento a favore del vaccino

Possiamo dire che, in un paese con un decente sistema sanitario, capace di monitorare e rallentare il contagio sin dall’inizio, il tasso di letalità del coronavirus sarebbe stato attorno all’1%, ovvero 10 volte circa quello dell’influenza stagionale. Questa differenza (tra virus stagionali e coronavirus) si potrebbe più o meno spiegare con la presenza del vaccino nel caso dell’influenza stagionale e la sua assenza nel caso del coronavirus. Ciò potrebbe confermare il fatto che questo coronavirus dia luogo ad un influenza ed una polmonite e sia più letale perché non c’è il vaccino (questa comparazione però è fatta in condizioni ideali ovvero con un sistema sanitario che riesca a monitorare e contenere l’epidemia più o meno dall’inizio) ed in parte perché, più dei virus dell’influenza stagionale, può provocare una polmonite virale primaria. Aggiungendo il fallimento del sistema sanitario nel contenere il contagio dall’inizio il tasso di letalità diventa dalle trenta alle quaranta volte maggiore di quello dell’influenza cosiddetta stagionale.

Colui che, come Don Ferrante, non si è mai fatto il vaccino possiamo dire avesse l’1% di probabilità di morire se si fosse infettato con l’influenza stagionale (in quanto privo di vaccino), mentre adesso ha il 7-8% di possibilità di morire se si infetta (a causa dello stress di un sistema sanitario incapace di prevenire l’emergenza). Quindi la situazione è seria anche se la differenza tra il virus dell’influenza stagionale e quello del coronavirus non sia sostanziale ma sia legata alla possibilità di vaccinarsi dal primo e quella di non potersi vaccinare dal secondo. Don Ferrante cioè può azzardare che in sé qualsiasi virus influenzale o parainfluenzale abbia un tasso di letalità che va dall’1 al 10% (a seconda della capacità di rapido contenimento del virus da parte del sistema sanitario), tasso che diminuisce fortemente in proporzione diretta alla copertura vaccinale.

Per chi, come Don Ferrante, non si vaccinava questa è una rivelazione. Ciò in quanto, con il vaccino, la mortalità del virus stagionale (ovvero non quella di morire se infettati, ma quella di infettarsi e morire) era molto bassa, ma questo grazie alla presenza di quelli che si vaccinavano, i quali, quanto meno, non lo contagiavano (se non in misura molto bassa). Invece la mortalità del coronavirus è più alta (in misura maggiore della letalità) in quanto, non potendosi vaccinare gli altri (ovvero quelli che si vaccinano per l’influenza stagionale), quello che solitamente non si vaccina può essere più facilmente contagiato anche da questi altri. Un argomento serio, di cui tenere conto, a favore della vaccinazione, dal momento che coloro che non si vaccinano sono più garantiti da quelli che si vaccinano, mentre quelli che si vaccinano sono comunque messi a maggior rischio da quelli che non si vaccinano. Ovvero quanto più la copertura vaccinale è alta, tanto più tutti (in primis i vaccinati ma in seconda battuta anche i non vaccinati) sono garantiti. Quanto invece più la copertura vaccinale è bassa, tanto più tutti (in primis i non vaccinati, ma in seconda battuta anche i vaccinati) corrono un rischio maggiore. Per questo chi non si vaccina non può avocare a proprio favore il fatto che magari lui non prenda l’influenza. Gli antivaccinisti dovranno argomentare che i rischi e i mali della vaccinazione possono essere più grandi di quelli (che noi stiamo sperimentando in questo momento)

derivanti da una bassa copertura vaccinale.

 

 

Tendenze a gestire il diritto alla sopravvivenza

Nel frattempo lo stress subito da un sistema sanitario vittima della letale parsimonia neoliberista sta portando in Lombardia a restringere il numero di coloro che sono passibili di cure per la polmonite da coronavirus[20]. Pare che si voglia curare solo chi ha più alte probabilità di sopravvivenza[21]. E l’alto tasso di letalità in Italia potrebbe collegarsi ad una applicazione di questo criterio nelle regioni dove il sistema sanitario è più stressato. A questo proposito è da anni che la visione malthusiana[22] della bioetica (che è l’altra faccia delle concezione neoliberista o meglio il suo sostituto nelle situazioni di emergenza[23]) porta a ridefinizioni delle categorie dei soggetti cui si attribuisce un diritto alla vita[24]. Una estesa pubblicistica utilizza parametri come il grado di coscienza[25], il riconoscimento da parte di un altro soggetto, l’utilità sociale, la dignità e la qualità[26] della vita, la probabilità di sopravvivenza[27] ed in questo modo si prepara ideologicamente la società alle implicazioni più gravi di un sistema per cui non esisterebbero pasti gratis. Con una brillante strategia argomentativa e comunicativa (oltre che di alleanze) all’interno dei processi di lotta per i diritti civili si elaborano il diritto alla non esistenza[28], l’indebolimento del diritto alla vita dei neonati[29], un sempre più fievole aumento della speranza di vita in paesi cosiddetti sviluppati (la Germania per quanto riguarda questa classifica è scesa dal 22° al 32° dal 2001 al 2017, la Svezia dal 2° al 12°, la Grecia dal 16° al 28°, gli Usa dal 28° al 48°, il Belgio dal 13° al 30°[30]). Non è la prima né l’ultima volta che si vedranno strategie sanitarie di questo tipo, visto che in momenti di emergenza a valere è la teoria della scialuppa di Gareth Hardin[31] per la quale poiché è meglio che sopravviva qualcuno al posto di nessuno bisogna selezionare chi debba sopravvivere (detta così sembrerebbe una posizione ragionevole ma il punto è che essendo funzionale alla conservazione dei privilegi del Capitale e dell’imperialismo si finisce sempre per esagerare la attendibilità delle previsioni e/o la grandezza del pericolo che si corre). Come la libertà e la democrazia pure la vita è soggetta ad arbitraggio e questo atteggiamento si è rafforzato ed amplificato da quando il crollo dell’Urss ha provocato la fine dello spauracchio che costringeva le istituzioni politiche occidentali a trovare un compromesso redistributivo (in termini anche di diritti) con il mondo del lavoro[32].

 

 

 

Le pandemie influenzali precedenti

Quanto alla succitata grandezza del pericolo che si corre, va detto che, escludendo prioritariamente il complottismo e le teorie dal sapore post-operaista che minimizzano il rischio sanitario (medico) ed enfatizzano quello politico, c’è anche una parte di verità espressa (malissimo) da queste tesi. Partiamo dal presupposto che questa sia una crisi sanitaria (medica) reale. Si rischiano milioni di contagiati e decine di migliaia di morti. Il punto è che in passato pure è stato così e all’epoca succedeva molto meno di quello che sta succedendo ora. L’asiatica del 1957-1958 con una letalità dello 0,1% causò in Italia circa 26 milioni di contagi e circa 30.000 decessi. Nel biennio 1968-1969 la cosiddetta “influenza di Hong Kong” causò circa 10-12 milioni di contagi e circa 20.000 decessi. Dal punto di vista comunicativo in tutte e due i casi ci furono le medesime sottovalutazioni e i soliti allarmismi apocalittici ma il sistema sanitario fece quello che poteva e si ebbe il risultato che si è avuto[33]. Un risultato che oggi (dopo che il dibattito pubblico è più capillarmente diffuso e dopo che la Sinistra italiana ha avuto la bella stagione degli anni Settanta) sarebbe considerato giustamente disastroso (tranne forse per i malthusiani che hanno più a cuore l’andamento dell’economia). In termini materiali però era disastroso anche prima. E sono state disastrose le polmoniti degli ultimi anni che hanno superato annualmente i 10.000 decessi (risultando poco meno del 3% delle cause di decesso in Italia). Solo che prima si poteva discutere di ciò in qualche articolo di giornale o in qualche convegno e la cosa non smuoveva il nostro senso di sicurezza. Il problema è che l’emergenza medica adesso è diventata emergenza sanitaria.

 

 

Il virus (ma anche la Cina) hanno messo tutti in difficoltà

Cosa è successo cioè? Don Ferrante vi risparmia il pistolotto sulla globalizzazione. Partiamo dalla Cina.  Don Ferrante, che è uomo d’antan, parlerà della Cina in modo apparentemente neutro, come se fosse un Angelo Panebianco qualsiasi. La Cina, vista da questa prospettiva, è una grande potenza economica e politica mondiale, con il secondo Pil complessivo dopo gli Usa, ma, è bene precisarlo, piuttosto giù in classifica per quanto riguarda sia il Pil pro-capite sia per il Pil pro-capite PPA (a parità di potere d’acquisto) ovvero ben oltre il 60° posto[34]. E quindi con non molte risorse da destinare socialmente a ciascun suo cittadino e con una distribuzione di queste risorse piuttosto ineguale sia dal punto di vista territoriale che dal punto di vista di classe. Tuttavia l’economia per quanto decentrata e liberalizzata trova nello Stato (e nel partito) un intervento massiccio in senso assoluto anche se forse non tanto in senso percentuale (almeno per quanto riguarda i consumi collettivi[35]; bisogna vedere invece tra gli investimenti quale sia la componente pubblica e infrastrutturale). La Cina in questo periodo è messa alla frusta dal punto di vista commerciale da Trump (grazie alle politiche protezionistiche di quest’ultimo)[36] e nel contempo sta cercando una sorta di riconoscimento internazionale che sia propedeutico al successo del grande progetto della Nuova Via della Seta[37]. Al tempo stesso la Cina è considerata il serbatoio storico di molte epidemie e pandemie influenzali, con implicazioni spesso razziste nei confronti del suo popolo[38]. Probabilmente questa sua immagine, piuttosto provinciale, le è di danno per il ruolo economico e politico che vuole attribuirsi e promuovere in questi anni. Perciò, quando è stata vittima di una nuova e pericolosa epidemia (molto contagiosa e con relativamente grandi probabilità di sviluppare una polmonite virale primaria), dopo qualche titubanza (la cui incidenza è oggetto di discussione[39]), ha scelto una strategia ed uno stile di comunicazione piuttosto diversi da quelli usati in precedenza. Ha deciso cioè di rendere pubblica la sua battaglia senza quartiere all’epidemia ed ha usato la sua grande capacità di contabilizzazione per rendere trasparente le cifre di tale battaglia. Questa è stata una catastrofe per i sistemi politici occidentali. Non valutando bene la gravità della situazione (ovvero cosa succede con un virus nuovo e con una certa combinazione tra contagiosità e letalità) probabilmente avrebbero preferito che, come nei due casi precedenti, la tempesta attraversasse il sistema sanitario in modo più silente e producesse magari le interpellanze dell’opposizione (durante l’Asiatica il Pci disse che si sarebbe potuto fare di più[40]), le statistiche a cose già avvenute, qualche situazione di panico e di congestione ospedaliera ma senza mille riflettori puntati addosso. Invece da un lato l’interconnessione globale ha reso inevitabile il contagio dalla Cina (sempre che non sia esploso un ceppo autoctono che serpeggiava da qualche anno), dall’altro la pubblicità alla cosa data dalla Cina (e dal mondo intero che voleva ritornare per vari motivi alla favola della Cina serbatoio di tutti i mali dell’umanità[41]) ha costretto le istituzioni politiche occidentali a misurarsi esplicitamente con il contagio, chiamando il proprio sistema sanitario come campione designato di questa sfida, il tutto con risultati che rischiano di aggravare lo stato di panico, visto che il contagio non sembra sia stato isolato. Gli altri paesi occidentali stanno pericolosamente[42] provando ad adattare la propria comunicazione politica al livello del contagio certificato dalle autorità sanitarie in modo da non creare l’emergenza che essi cercano di evitare. L’Italia è invece tra capo e collo in una guerra dichiarata ma non coerentemente condotta all’epidemia[43]. Questo anche perché come tutti i paesi Pigs, in esso c’è un conflitto potenziale tra la capacità di influenza sull’opinione pubblica delle grandi multinazionali (soprattutto farmaceutiche[44]) che sul panico scommettono e le grandi e piccole imprese autoctone che invece paventano la depressione economica. Le istituzioni politiche nazionali poste in mezzo a questo scontro (con le loro imprese sulla difensiva) non possono che elaborare una strategia intermedia che rischia di non essere né carne né pesce. Spagna e Grecia invece hanno fatto la scelta di farsi attraversare dall’epidemia (magari con un forte aumento statistico delle polmoniti) e sono tornate ad essere come i paesi dei colonnelli, l’una che cerca di tenere economicamente (anche se adesso anch’essi sono costretti a dichiarare l’emergenza[45]), l’altra già stuprata internazionalmente e incapace pure di avere un quadro di se stessa in linea con parametri di riferimento di tipo europeo[46]. Ovviamente, poiché gli Stati elaborano ed attuano strategie sistemiche che cercano disperatamente di conciliare quelle che definiamo contraddizioni del capitalismo, essi, incassando le conseguenze negative della battaglia contro il virus, cercano comunque di approfittarne per estendere la loro capacità di controllo dei comportamenti e dell’opinione pubblica ed è in questo senso che le semplificazioni teoreticamente irresponsabili (nel senso di false per superficialità teorica) di Agamben e di Wu Ming possono avere una parte di verità.

 

Le oscillazioni dei governi (passate ed eventuali) e la società dell’informazione

In Italia al momento le voci antirecessive sembrano essere messe in minoranza. Tuttavia questa situazione potrebbe essere solo apparente e/o temporanea (soprattutto se i costi economici non saranno ben tamponati[47]). Se e solo se il virus infettasse tutta l’Europa con numeri ufficiali ragguardevoli (come più o meno quelli dell’Italia), la strategia dell’emergenza si diffonderebbe in tutte le altre nazioni e lo svantaggio economico comparato attuale dell’Italia potrebbe essere almeno in parte recuperato. Se invece le altre nazioni europee vengono risparmiate dal contagio con alti numeri e/o mettono l’asticella della trasparenza più in basso, l’Italia si troverà in difficoltà tali da dover ripiegare gradualmente anche dalla logica dell’emergenza. Quindi i dati saranno meno attendibili e soprattutto progressivamente meno allarmanti con il ciclo del virus mediatico che avrà un andamento almeno in parte diverso (non solo per limiti conoscitivi) dal ciclo del virus reale (in modo da scongiurare o rinviare ad altra data un’eventuale altra emergenza sanitaria). Il risultato alla fine sarà stato una sorta di ola politica di massa con picchi e flessioni generate più dalle dinamiche politiche e mediatiche (anche se più approssimate alle reali esigenze sociali dell’atteggiamento dormiente di Agamben e Wu Ming) che non dall’andamento reale del contagio.

Immaginiamo se al tempo dell’asiatica, avessimo avuto il grado di globalizzazione commerciale e finanziaria oggi esistente, la pervasività e la molteplicità di strumenti di comunicazione che invadono le case (almeno quelle dei paesi del mondo cosiddetto sviluppato), i social e il dibattito che si è attivato su di essi.  Ebbene ci sarebbe stato il panico che ci sta oggi. E il governo avrebbe dovuto tenere conto di questa opinione pubblica con un tale grado di effervescenza (anche se per lo più priva non tanto di consapevolezza politica, quanto di capacità di elaborazione strategica e di determinazione morale ad affrontarne le implicazioni). Al tempo stesso l’emozione che si sarebbe diffusa anche nelle persone più consapevoli sarebbe stato il panico o in un numero di casi più piccolo la negazione assoluta dei fatti (per cui abbiamo in giro ancora i difensori di Agamben) senza invece scavare nella grande classe degli atteggiamenti intermedi (tra questi due estremi), forse più promettenti dal punto di vista dell’elaborazione diffusa.

 

 

Probabilità ed angoscia

E’ interessante vedere cosa succede a tutti noi. Don Ferrante anche in questo caso partirà azzardatamente da un ragionamento da filosofo dilettante. Si inizi con il considerare la differenza tra concezione frequentista[48] (oppure oggettivista) della probabilità e concezione soggettivista[49] della probabilità[50]. Detto tagliando con l’accetta, la probabilità in senso frequentista è equivalente alla frequenza relativa che un evento assume su un numero abbastanza grande di prove tutte eseguite in condizioni equivalenti (e su “abbastanza” e “equivalenti” il dibattito può continuare)[51]. La probabilità in senso soggettivista è invece il grado di fiducia che si ha nella realizzazione di un evento[52].

Messa da parte un attimo la probabilità, Don Ferrante si documenta sull’angoscia. Uno dei primi filosofi a parlare di angoscia fu Kierkegaard. Costui, da filosofo sensibile alle questioni religiose, collega l’angoscia al peccato originale, ma anche ai concetti di possibilità e libertà[53]. Egli dice che il divieto porta con sé l’angoscia in quanto fa balenare alla coscienza (quasi in contrasto) la sua libertà. Aggiungeremmo: libertà di stabilire i criteri dell’azione, libertà di stabilire obiettivi dell’azione compatibili con i criteri scelti, libertà di stabilire le modalità con cui realizzare quegli obiettivi. Ad ognuno di questi passaggi il contesto sociale vuole mettere bocca ed ogni volta il tentativo di costituirsi come soggetto libero si mostra come trasgressione alimentando il senso di colpa. Inoltre l’uscita da uno stato di minorità[54] porta i soggetti da una situazione psicologicamente garantita dal fatto che l’onore (che è anche onere) della decisione non è il proprio ad una situazione per cui le scelte si devono commisurare solo (sic!) alla realtà e di esse si risponde sia materialmente (con gli effetti negativi di scelte sbagliate) sia moralmente (a seconda dell’interesse o delle norme sociali in uso).

Da parte sua Freud distingue diversi tipi di angoscia ma ipotizza che due di questi, ovvero la nevrosi d’angoscia e l’angoscia reale, si possono sovrapporre e generare una situazione in cui c’è un pericolo reale ma l’angoscia di fronte ad esso è molto maggiore di quanto dovrebbe essere[55].

Ora l’invio di informazioni può essere considerato come un invio di vincoli (e dunque di divieti) perché riducono lo spazio in primo luogo di pensare (dal momento che quelle informazioni pretendendo di rispecchiare uno stato di cose costringono il pensiero ad elaborare compatibilmente con esse). Ogni informazione in un certa misura eccita la mente e Freud parla di angoscia automatica che si manifesta quando il soggetto non riesce a dominare e neppure a scaricare un afflusso di eccitazioni troppo numerose (o troppo intense) di origine interna o esterna. J.K. Wing ed altri[56] hanno parlato di ansia fluttuante generata da un senso di inadeguatezza rispetto a compiti e ruoli che si devono assumere nella complessità con cui le società si stanno evolvendo e dove il controllo delle variabili (più numerose grazie anche alla società dell’informazione) richiede maggiore capacità di elaborazione, adattamento e mobilità per indicare le procedure più atte ad evitare la frustrazione ed il fallimento. Leonardo Ancona sviluppa il concetto freudiano distinguendo, come fa la lingua italiana, tra ansia e angoscia e dicendo che quest’ultima è una situazione di trauma generata da un afflusso di eccitazioni non controllabili perché troppo grandi nell’unità di tempo[57].

Sembra a questo proposito che il cervello umano nella sua evoluzione compia (a livello inconsapevole) delle scelte fatte con criteri euristici[58] (ovvero con strategie di previa riduzione della complessità del problema affrontato dal momento che non è possibile, per lo stesso cervello, risolvere problemi tramite procedimenti algoritmici classici[59]). All’interno di questo procedimento inconsapevole (di cui non si ha coscienza) è probabile[60] che il cervello faccia un calcolo dove assegna una probabilità ad almeno alcuni eventi possibili in modo da produrre procedure comportamentali che attraverso una sorta di arbitraggio tra scopi da raggiungere e maggiore probabilità di alcuni eventi rispetto ad altri consente all’individuo biologico di compiere anche le più semplici operazioni quotidiane[61] (ad es. attraversare una strada). Questa assegnazione di probabilità è implicita e si può dire che le pratiche che ne derivano sono compatibili con un criterio soggettivistico di probabilità (ovvero di probabilità che corrisponde al grado di fiducia che si ha nel verificarsi di un evento) dove il soggetto però probabilmente non è neppure inter-temporalmente sempre coerente[62]. Perciò da un punto di vista materialistico il calcolo può essere fatto anche frequentisticamente (magari il cervello tiene conto delle percezioni passate), ma fenomenologicamente questo calcolo non deve essere esplicitato dal momento che l’esplicitazione lo sottopone al senso di colpa correlato alla ricerca di un punto di vista autonomo. Questo fa sì che il calcolo delle probabilità inconscio che consente in via ordinaria un comportamento razionale viene distorto, una volta reso consapevole, dalle aspettative generate dall’angoscia e consente la percezione ingrandita di un pericolo esistente ma che si riferisce ad un evento poco probabile (il senso di colpa tende ad amplificare le aspettative soprattutto negative ovvero la cosiddetta “sfiga”[63]).

A ciò si aggiunga la pervasività attuale del sistema mediatico che ormai costituisce una rete diffusa su tutto il pianeta. Da questo sistema su ogni individuo collegato ad una rete di comunicazione stanno arrivando un enorme numero di informazioni e, nel caso in oggetto si tratta di informazioni su eventi e statistiche di ordine sanitario, soprattutto contagi e decessi[64]. Questa pioggia di informazioni getta nell’angoscia intere popolazioni collegate alla rete. Anche perché ognuno degli individui non vede tanto le percentuali quanto i numeri assoluti e se a ciò aggiungiamo il meccanismo di angoscia ora descritto anche la relativamente bassa letalità diventa un pericolo grande ed imminente. La frequenza con cui i casi negativi appaiono nello spazio mediatico diventa la probabilità che nel caso negativo venga coinvolto anche il soggetto che riceve questa pioggia di informazioni.

La ciliegina sulla torta sono i processi caotici che si autoalimentano perché coinvolgono le stesse persone che contribuiscono ad alimentarli. L’esempio è quello delle recessioni economiche e/o le crisi finanziarie dove troviamo profezie che si autoavverano[65]. Nel caso in oggetto la paura che si innesti in un processo una curva esponenziale, per quanto irrazionale, porta una intera collettività al panico[66] ovvero ad un episodio acuto di angoscia che si scarica nella maniera più incontrollata possibile (fughe catastrofiche, stragi etc[67]).  Ci si sente schiacciati dalla paura (per se stessi) e dal senso di colpa (verso gli altri). Una volta che si è giunti a questo l’individuo e la collettività per sfuggire a tale situazione devono rinunciare a quell’autonomia che li ha condotti a ad affrontare un rischio (strettamente correlato alla libertà) giocandosi le carte per conto proprio. Come Esaù, (travolto però dalla fame[68] e non dall’angoscia), essi rinunciano al proprio retaggio e alla sovranità su se stessi[69]. Oppure devono negare in modo assoluto la realtà che dovrebbe essere rispecchiata dalla pioggia di informazioni ricevute. La scelta successiva quale che sia riporta il conflitto interiore (ma anche sociale) solo ad un diverso livello descritto dal concetto di dissonanza cognitiva[70].

Ci troviamo di fronte ai problemi (e la cosa nuova è che siamo costretti a porceli, mentre un neo-liberista come Johnson non se li vorrebbe porre) dinanzi ai quali si sono trovate le società superficialmente chiamate “totalitarie[71] e cioè quelli di scongiurare l’avvio di un processo caotico[72] cercando di strangolarlo nella culla e dunque promuovendo una mobilitazione collettiva in presenza di una fase iniziale che in un passato nemmeno tanto lontano si è (senza scrupoli) considerata sopportabile (e inevitabile). Qualcuno a questo proposito ipotizza che il web sia un dispositivo non di emancipazione ma di mobilitazione[73]. In realtà il web è solo l’acceleratore di una tendenza già implicita nell’interconnessione globale di cui parlava Nancy criticando Agamben[74], solo che fino ad oggi il motore di questa interconnessione è stato il Capitale.

Il risultato è come abbiamo detto prima quello per cui si oscilla dalla sottomissione quasi completa ed isterica alla volontà di un soggetto superiore (la canea attualmente esistente sul web che vuole i soldati per le strade) e la minimizzazione della realtà cantata nel gergo del post-operaismo o dell’economicismo neoliberista. Ora la prima (la sottomissione) è egemone, ma tra qualche settimana la seconda (la minimizzazione) potrebbe riprendere fiato. Il punto è che la realtà si svilupperà anche in relazione a ciò che noi penseremo e faremo, ma non si sa in che misura, per cui dire che è meglio non fare niente è rischioso quanto intervenire in maniera massiva ed univoca. Non è un caso che chi sinora ha negato la realtà[75] (ma adesso ha dichiarato l’emergenza nazionale[76]) o vuol rinviare il da farsi[77] appartiene alla cultura del neoliberismo (e del malthusianesimo), ovvero vuole che l’attività economica continui accettando il sacrificio silente in termini di vite umane.

 

 

Il povero gregge e la sua immunità

A questo proposito molti discutono la proposta di Boris Johnson che riconosce la gravità della situazione ma non vuole fermare l’attività economica. I suoi esperti dicono che, poiché nella maggioranza dei casi il virus ha effetti non gravi e la produzione di un vaccino potrebbe esigere anche un anno, è necessario che il virus contagi più o meno il 60% della popolazione[78] e si consegua così l’immunità di gregge impedendo al virus di tornare alla ribalta tra qualche tempo (conseguenza probabile se la strategia è quella di isolare tutti i contagiati e di limitare la circolazione dei non contagiati).Si parla di isolare i più anziani ma quand’anche fosse il costo sarebbe di qualche centinaio di migliaia di morti (se il tasso di letalità rimanesse all’1-2% dei contagiati)[79]. Qualcuno parla di un punto di vista diverso che prova a tenere insieme la vita complessiva della nazione, economia compresa[80]. Si tratterebbe di contenere nello spazio e ritardare nel tempo la diffusione del virus evitando provvedimenti che potrebbero essere inutili come la chiusura delle scuole (visto che i bambini sono più resistenti al virus) ed evitando misure che avrebbero costi economici paralizzanti ed effetti dubbi (perché una volta sospese il virus potrebbe diffondersi di nuovo). Si tratta di una logica già sottoposta a critica sia dall’OMS[81] sia da virologi (con argomenti che sembrano consistenti)[82] sia da epidemiologi[83]. Ma il punto fondamentale è che questa visione (mettendo in conto qualche centinaio di migliaia di morti) è coerente[84] con la combinazione di malthusianesimo (le risorse sono date e sono poche rispetto alla popolazione) e di darwinismo sociale (perciò saranno distribuite ai più forti che sono più capaci di impiegarle in modo conveniente) che è il presupposto profondo del neoliberismo.

Qualcuno parla di due strategie (da una parte Cina ed Italia per diverse ragioni e dall’altra il Regno Unito e la Germania)[85] culturalmente connotate in cui nella prima si cerca di contrastare il contagio e la seconda esclusivamente di curare i malati. Qualcuno aggiunge che la strategia di Johnson non può essere considerata neoliberista perché comunque implica una previsione, una strategia, un investimento e un azione dello Stato. Le due osservazioni sono in un certo senso collegate. La seconda consente di fare un chiarimento importante.

 

 

Il sedicente neoliberismo, la sua ipocrisia, la sua inefficacia

Il neoliberismo non è quel che dice di essere. Non può esserlo. Questo è un attestato del fatto che le lotte dei lavoratori e la dinamica storica (al di là delle indiscutibili sconfitte) hanno prodotto il passaggio ad un altro livello di azione e forse in maniera irreversibile. Non si deve guardare alle utopie fondamentaliste della scuola austriaca[86]. Quelle vengono considerate ingenue[87] anche dagli economisti più radicalmente neoliberisti[88]. Il neoliberismo prende teoricamente fiato quando si presume di individuare delle controspinte all’interno della società che vanificano un certo intervento dello Stato nell’economia[89]. Ma tutti i governi che in un certo senso si sono dichiarati neoliberisti hanno solo diminuito (fortemente) e redistribuito in modo diverso tale intervento compatibilmente con le esigenze del capitalismo[90]. Siamo cioè nella situazione forse irreversibile per cui appunto anche senza avere (e senza poterle avere), come nella pianificazione socialista, tutte le leve di controllo dell’economia, i governi (quale che sia il loro orientamento) fanno delle previsioni sull’andamento dell’economia e a queste previsioni rispondono adottando una strategia complessiva che comporta investimenti ed interventi ben definiti. Le differenze sono nella struttura della proprietà, nel gradi di intervento, nelle modalità di intervento, nell’ideologia che giustifica l’intervento, nelle materie in cui si interviene, nelle priorità politiche che regolano l’intervento stesso. L’assalto al Cielo del secolo scorso ha portato il gioco ed il tipo di sfide sociali ad un livello nuovo a partire dal quale si può andare solo avanti. E’ per questo che il fondamentalismo utopico (quello sì) neo-austriaco, nonostante le chiacchiere sulla libertà, è una concezione reazionaria. Perché cioè di fronte alla complessità legata all’ingresso delle masse nella storia e all’intervento dello Stato nell’economia vorrebbe semplicemente tornare indietro ad una sorta di noncuranza delle interconnessioni sempre più forti (nella loro natura) e al tempo stesso delicate (per le loro implicazioni) all’interno dell’economia e della società. Ciò non perché ne neghino l’esistenza, ma perché i limiti delle conoscenza[91] renderebbero l’intervento dannoso più che utile[92]. Il loro carattere utopistico sta nel fatto che astenersi non è possibile (proprio per la complessità di cui si ha paura) e che coloro che predicano l’astensione nei fatti hanno solo ridimensionato e riarticolato l’intervento.

La crisi del coronavirus però mette anche questa ipocrisia di fronte alla verità. Johnson ha infatti detto “Moriranno molti cari” ma l’opinione pubblica ha capito benissimo che la sua dichiarazione vuol dire che la politica decisa dal governo inglese ha tra le sue consapevoli implicazioni quella di permettere la morte di centinaia di migliaia di persone. “Moriranno molti cari” non è un decreto della Natura o di Dio, ma un evento previsto che si è deciso di mettere nel conto. Ciò perché si è deciso che la priorità politica è evitare un’altra dolorosa recessione e per fare questo la morte di qualche centinaio di migliaia di persone per complicazioni derivanti da infezione da coronavirus è un costo sociale congruo. Non si può tornare indietro rispetto alla posta in gioco e alla consapevolezza che noi abbiamo della situazione. Se si accetta questa logica la storia ideologicamente tramandata la si dovrà riscrivere e rivalutare radicalmente, soprattutto per quanto riguarda quella dei regimi impropriamente detti “totalitari[93]. Se si accetta questa logica non si potrà più condannare un regime solo per il numero di morti, ma si dovrà valutare politicamente e storicamente il calcolo dei costi e dei benefici legato a queste morti, le priorità che le hanno permesse o direttamente causate. Se si accetta questa logica cambierà radicalmente il rapporto tra etica e politica che in questi ultimi decenni[94] ha coinvolto (illuso?) intere masse ed ha motivato l’abbandono di una certa idea di conflitto sociale.

La natura neoliberista del progetto del governo inglese da cosa si può desumere allora? Dal fatto che esso non previene il contagio, ma, in un’ottica di intervento più limitato, cerca di intervenire a valle volendo curare solo i malati e fingendo di non sapere che, proprio per meglio curare i malati, bisogna rallentare fortemente il contagio.

 

 

La logica della pianificazione

La crisi del coronavirus cioè non solo svela l’ipocrisia neoliberista ma evidenzia i problemi anche del ridimensionamento dell’intervento pubblico[95] (apparentemente solo in circostanze eccezionali ma poiché secondo Nancy l’eccezione sembra essere la regola …) dal momento che esso è costretto ad accettare tutte le conseguenze caotiche della mancanza di intervento preventivo (e dunque profondo) nelle interconnessioni sistemiche della società globale. Anche se questo approccio venisse nel corso degli eventi rivalutato a seguito dei costi economici delle politiche di forte rallentamento del contagio, la sostanza non cambierebbe dal momento che la sfida sarebbe comunque quella posta al passaggio da un livello meno profondo ad uno più profondo di intervento pubblico. Un po’ come per le esplorazioni nello spazio: gli incidenti passati le hanno rallentate e modificate[96], ma riprenderanno perché vecchi e nuovi bisogni le alimenteranno inesorabilmente[97]. Certo, è sempre possibile una risacca neomedievale[98] (quella sempre paventata o augurata dall’atteggiamento bipolare capitalista), ma quella probabilmente si presenterà solo nelle nostre coscienze ideologicamente condizionate di fronte ad un circuito recessivo più o meno grave. La mentalità che deve essere associata alla pianificazione economica deve progressivamente essere quella della guida (democratica) di un mezzo. Il catastrofismo neo liberista alla vista delle politiche di forte contenimento del contagio è il rovescio dell’idea di una economia che sarebbe come una locomotiva che non si può fermare e che è sempre più veloce. Anche questa però è una concezione catastrofista ed anche un po’ infantile (come il bambino che per gioco avvia il suo triciclo e chiude gli occhietti per non vedere dove va a sbattere). Anche se non sappiamo bene il funzionamento di un mezzo, dobbiamo pensare che questo mezzo è il mezzo della collettività associata e perché questa proprietà diventi effettiva ed utile (essendo necessaria perché non possiamo astrarci da esso) bisogna studiare come gestirlo in corso d’opera (con tutti i rischi del caso) razionalmente[99]. Con questo mezzo deve essere possibile in prospettiva storica (anche lunga) rallentare, accelerare, accostare, fermare, ripartire, curvare[100]. There is not alternative, paradossalmente.

 

 

Verso un intelligenza collettiva?

Le riserve che si hanno nei confronti dell’atteggiamento minimizzante valgono anche per tutte le forme di complottismo (spesso ad esso collegato) che hanno soprattutto all’inizio caratterizzato parte del dibattito sul coronavirus. E’ possibile che sia stato diffuso per sbaglio dai lavoratori biotecnologici di Wuhan[101]? E’ possibile che sia stato messo da agenti Usa a Wuhan[102]?  E’ possibile tutto, ma non basta agitare il sospetto. O si ha una teoria che scenda nei dettagli (confermabile o falsificabile) e un soggetto politico che la faccia propria e ne faccia il presupposto per un’inchiesta oppure scriviamo un romanzo, una denuncia letteraria e la si finisca lì. Altrimenti la denuncia regredirà a rumore di fondo che non sarà più nemmeno sentito.

Come abbiamo già detto, è probabile che il governo italiano ad un certo punto sull’istanza di chiudere e fermare tutto per rallentare il contagio sarà costretto a tornare indietro, anche perché Lagarde ha rifiutato un whatever it takes 2 e ha provocato un ulteriore crollo della Borsa Italiana ma anche delle altre Borse Europee[103]. Purtuttavia questa può essere un momento di svolta della storia del capitalismo a condizione che anche le altre nazioni del mondo sviluppato vengano interessate dal contagio in modo rilevante e/o dalla crisi economica che ne potrebbe seguire. Forse per la prima volta non solo un evento di tale portata ha coinvolto intere fasce di popolazione ma le ha costrette ad assumere comportamenti impensabili sino ad ora. I morti di una grave sindrome influenzale senza vaccinazione sono adesso contabilizzati in tempo reale e ci si rende conto di quanto sono rilevanti i nostri comportamenti individuali (mentre le scorse volte l’infezione ci passava addosso e i morti venivano riesumati solo dalle statistiche). E’ un passo in avanti verso la costituzione di una intelligenza collettiva. I governi e le multinazionali cercheranno di fare derivare da questo shock conseguenze disciplinanti ma essi stessi non hanno il pieno controllo della situazione che è dinamica anche per loro. Però mai come ora si sono prese pubblicamente ed in maniera dibattuta delle decisioni che hanno riguardato tutti.  Ne siamo usciti sconfitti ancora una volta, ma non dobbiamo meravigliarcene, dal momento che un’analisi seria sa che mancano ancora alcuni presupposti perché si possa fare meglio[104]. E tuttavia dobbiamo guardare questo giorno come all’inizio di un passaggio dal gattonare alla posizione eretta, ora finito in maniera regressiva, ma domani potremmo essere più consapevoli e avveduti, più capaci di discernere la notizia vera da quella falsa, più capaci di elaborare le informazioni e di sfuggire al panico, più capaci di promuovere e gestire una discussione pubblica su più ipotesi e di fare una scelta politica con più argomenti, più capaci di organizzare il nostro riferimento di classe e di fare sì che incida politicamente in maniera maggiore. Bisogna però promuovere il dibattito pubblico, per quanto materialisticamente e ideologicamente distorto. E bisogna non tanto orientarlo, ma catalizzarlo con una elaborazione il più possibile approfondita e accessibile verso un aumento di conoscenza e consapevolezza collettiva, con la ragionevole fiducia che questo aumento avrà, se approfondito, un connotato politico ben determinato e, in quanto tale, di più lungo periodo.

 

 

Consapevolezza e cautela dei comunisti

Questo vale soprattutto per la riflessione che si deve fare all’interno dei comunisti. Questa crisi dimostra che le contraddizioni che si stanno evidenziando non sono gestibili con i vecchi rapporti di produzione ma ce ne vogliono di nuovi[105]. Lo stress terribile a cui è stato sottoposto il sistema sanitario in questi mesi ha origine nei tagli alla sanità che sono stati fatti negli ultimi trent’anni[106]. La trasparenza[107] e il comportamento concreto dei governi sulla questione del coronavirus è subordinata al conflitto tra le forze che vogliono il panico disciplinante[108] (alcune delle organizzazioni economiche e finanziarie sovranazionali[109]) e quelle che invece vorrebbero che la circolazione dei fattori produttivi continui come prima (le imprese industriali a livello nazionale ma anche alcune straniere)[110]. E’ certamente vero che si cercherà di non consentire che la via d’uscita dalla crisi sia la rivalutazione della dimensione pubblica rispetto alla sinora trionfante ideologia del privato[111]. Ed è certamente vero che la lotta condotta in Cina contro il coronavirus[112] sia l’esempio di una strategia che nella dimensione pubblica trova la sua chiave di interpretazione, sia per quanto riguarda gli strumenti usati per portarla avanti sia per quanto riguarda la globalizzazione delle informazioni e delle conoscenze derivanti da tale traumatica esperienza storica. Mentre invece in Europa questa crisi sta svelando il vuoto pneumatico esistente sotto la retorica europeista[113] e complessivamente in Occidente sta evidenziando tutta la volontà di non fare nulla per evitare un consistente numero di morti a seguito del coronavirus[114].

Alla consapevolezza che le nostre analisi sono giuste deve però seguire da un lato l’attenzione a non fare di questa differenza tra Occidente e Cina un qualcosa di mitizzato per non perdere la capacità di analisi anche su questo punto. Il governo cinese ha dimostrato una capacità di mobilitazione impressionante[115] su di una emergenza difficile da risolvere, ma questo successo va confermato nel tempo e soprattutto esso non deve farci trascurare le difficoltà che la Cina affronta e deve affrontare ancora visto l’enorme sviluppo che ha dato al mercato. Senza contare che una cosa è gestire una emergenza quando già c’è ed una cosa è prevenirla quando la maggior parte degli attori pensa di avere delle possibilità di azione che invece (nell’ottica preventiva) potrebbero essere minori di quanto immaginato. Le transizioni al socialismo hanno avuto spesso problemi relativi a questo ambito. E anche l’istanza ecologista incorre in questa resistenza.

 

 

La comunicazione scientifica e la democrazia come dinamica cognitiva

In secondo luogo qui nel mondo virtuale ad Ovest si è sviluppato un dibattito tematico che deve farci riflettere sul ruolo che la scienza ha nella società. Sinora nella tradizione comunista si è ben fatto a legare fortemente scienza e tecnologia e a vedere in quest’ultima una più complessiva verifica del sapere elaborato. Partendo da questa esperienza si deve anche approfondire il rapporto più complessivo tra il sapere scientifico e la necessità di renderlo più accessibile a fasce sempre più estese della popolazione. Questa diffusione come la tecnologia andrà forse considerata un’altra forma di verifica più complessiva del sapere scientifico stesso. Molti si fermano all’apparenza di questo processo, considerando la scienza in sé democratica[116] e denunciando le fake news, le scie chimiche, le posizioni pseudo-scientifiche che pullulano in rete come una sorta di morbo da debellare[117], quando invece sono la premesse, se ben interpretate e modulate, di una diversa relazione tra scienza e società, dove lo scienziato si deve mettere in questione e affrontare il problema della comunicazione scientifica come problema costitutivo (e non accessorio) della scienza[118]. A partire da questo problema sarà possibile forse sviluppare un nuovo senso della democrazia in modo da consentire a più persone di avere più possibilità di confronto e di scambio di informazioni, di metodi, di procedure, di frame cognitivi[119]. In questo modo la democrazia da vincolo politico, da principio da anime belle si potrebbe trasformare in quel motore cognitivo che potrebbe scandire la transizione allo stesso modo in cui la rivoluzione scientifica ha accompagnato il trionfo del modo di produzione capitalistico. Se non mettiamo mano a questa forma di sperimentazione la possibilità stessa della transizione rischia di avere (nel caso ne abbia) strade più anguste di realizzazione.

 

 

 

17 marzo 2020

[1] https://contropiano.org/documenti/2020/03/04/coronavirus-cominciamo-a-capirci-qualcosa-0124791?fbclid=IwAR2jNK47kFdD-INOxg-_EgxDVJk8O_7xYNXZQivIYnUiztBlOpfUiJAYjQo

[2] https://www.wallstreetitalia.com/coronavirus-i-primi-casi-fin-dallinizio-del-2018/

[3] https://www.epicentro.iss.it/influenza/sorveglianza-mortalita-influenza

[4] https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/01/27/la-mappa-della-johns-hopkins-university-seguire-la-diffusione-del-coronavirus-quasi-tempo-reale/

[5] https://www.ilpost.it/2020/03/05/contagi-morti-corea-del-sud-tasso-letalita/

[6] https://ilmanifesto.it/perche-mancano-le-terapie-intensive-ma-la-preparedness-non-e-solo-italiana/?fbclid=IwAR3dqlevt82toy-YAHzqRD4wmtziyvqvQQ0p0FRanE9CCvnLqKM2YkA2ul8https://www.repubblica.it/esteri/2020/03/06/news/coronavirus_dignita_privacy_corea_del_sud_chat_sms_messaggi_contagi-250414120/

[7] https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/01/27/la-mappa-della-johns-hopkins-university-seguire-la-diffusione-del-coronavirus-quasi-tempo-reale/

[8] https://ilmanifesto.it/perche-mancano-le-terapie-intensive-ma-la-preparedness-non-e-solo-italiana/

[9] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5351_16_file.pdf

[10] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5351_16_file.pdf

[11] http://www.rainews.it/dl/rainews/media/coronavirus-medici-cinesi-da-Wuhan-a-Roma-a162da07-7fbe-4ffd-89f3-2c1d6fef2503.html?fbclid=IwAR27MTnn0Cgxnh3-iBxyh1yEw9HMwAf9yhVX30WedAAoHp8hy7zviePWSMs

[12] https://www.msn.com/it-it/notizie/other/coronavirus-milano-allerta-casi-sommersi-«sono-una-marea-nessuno-sa-quanti»/ar-BB11f2ZP?ocid=spartanntp

[13] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5351_16_file.pdf

[14] https://www.msn.com/it-it/notizie/coronavirus/burioni-tutti-sono-morti-a-causa-del-coronavirus/ar-BB10RWjm?ocid=spartandhp

[15]in un modo o in un altro il nonno deve morire

[16] https://www.msn.com/it-it/notizie/coronavirus/coronavirus-a-che-punto-è-lepidemia/ar-BB10QVoW?ocid=spartanntp

[17] https://www.youtube.com/watch?v=0BNqRq07HMU

[18] http://old.iss.it/binary/mabi/cont/Report2017.pdf

[19] https://www.lastampa.it/cronaca/2018/09/11/news/e-davvero-in-corso-un-epidemia-di-polmonite-1.34044199

[20] https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/07/news/coranvirus_limite_di_eta_per_i_ricoveri_in_tempi_di_emergenza_sono_necessari_dei_criteri_etici_condivisi_-250547728/

[21] http://www.siaarti.it/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI.aspx

[22] https://web.archive.org/web/20121014024047/http://www.rcgfrfi.easynet.co.uk/ww/lenin/1913-wcn.htm

[23] https://www.huffingtonpost.it/edoardo-ronchi/contro-il-malthusianesimo_a_23393272/

[24] Tooley, Michael, Aborto e infanticidio, in AA.VV, Introduzione alla bioetica, Liguori editore, Napoli, 1992 pp.31-39

[25] Tooley, Michael, Aborto e infanticidio, in AA.VV, Introduzione alla bioetica, Liguori editore, Napoli, 1992 p.53

[26] Singer, Peter, Ripensare la vita. Il Saggiatore, Milano, 1994, pp.78-80

[27] Maffettone, Sebastiano, Il valore della vita, Oscar Mondadori, Milano, 1998, pp 275-276

[28] Bacchini, Fabio, Il diritto di non esistere, Mc Graw-Hill, Milano 2002

[29] Singer, Peter, Etica pratica, Liguori Editori, Napoli, 1989 pp. 125-129

[30] Il Mondo in cifre 2003, Internazionale p.76; Il Mondo in cifre 2019, Internazionale, p.90

[31] https://rintintin.colorado.edu/~vancecd/phil1100/Hardin.pdf

[32] Vasapollo, Luciano, L’uomo precario nel disordine globale, Jaca Book, Milano, 2005 pp.141-145 e 203-209

[33] https://www.ilpost.it/2020/03/08/pandemie-italia-asiatica-hong-kong/

[34] Il Mondo in cifre 2019, Internazionale, p.26-27

[35] Il Mondo in cifre 2019, Internazionale, p.134

[36] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/trade-deal-quali-conseguenze-usa-cina-ed-europa-24853

[37] https://contropiano.org/news/news-economia/2019/04/30/via-della-seta-che-cambia-0114984

[38] https://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/29/zaia-lo-scienziato-razzista-spiega-la-svolta-verso-la-minimizzazione-0124591

[39] https://ilmanifesto.it/cina-attivisti-e-ritardi-lemergenza-coronavirus-scuote-il-pcc/

[40] https://archivio.unita.news/assets/main/1957/10/04/page_002.pdf

[41] https://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/07/coronavirus-via-i-mangiapipistrelli-e-luomo-bianco-torna-a-sentirsi-superiore-0123796

[42] https://www.31mag.nl/coronavirus-in-olanda-prevenire-il-contagio-o-prevenire-il-panico/

[43] https://contropiano.org/editoriale/2020/03/11/il-pil-o-la-vita-0125053

[44] https://codacons.it/business-ai-tempi-del-virus/

[45] https://www.unionesarda.it/articolo/news/mondo/2020/03/15/anche-la-spagna-chiude-tutto-positiva-la-moglie-del-premier-sanch-137-997690.html

[46] https://it.insideover.com/politica/i-numeri-del-tracollo-della-grecia-distrutta-dallausterita.html

[47] https://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2020/03/12/le-aziende-pensano-solo-ai-profitti-usb-convoca-lo-stato-dagitazione-il-governo-adotti-misure-0125104

[48] Von Mises Richard, Manuale di critica scientifica e filosofica, Longanesi, Milano, pp. 242-255

[49] Piccinato, Ludovico, La statistica se “la probabilità non esiste” in AA.VV. Conoscere De Finetti, Mondadori, Milano, 2010, pp.39-59

[50] Costantini Domenico e Geymonat, Ludovico, Filosofia della probabilità, Feltrinelli, Milano, 1982, pp.61-75

[51] http://progettomatematica.dm.unibo.it/ProbElem/6definiz.html

[52] http://progettomatematica.dm.unibo.it/ProbElem/7definiz.html

[53] Kierkegaard Soeren, Il concetto dell’angoscia in Opere, Sansoni, Firenze, 1972 pp. 120-197

[54] Kant, Immanuel, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? In Antologia di scritti politici, il Mulino, Bologna, 1977, pp. 51-59.

[55] Freud, Sigmund, Inibizione, sintomo e angoscia, Bollati Boringhieri, Torino, 1981

[56] http://studenti.istitutobeck.com/public/images/websiteimg/Casi%20clinici/carla%20-%20UN%20CASO%20DI%20DISTURBO%20Di%20ANSIA%20GENERALIZZATO.pdf

[57] Galimberti, Umberto, Dizionario di psicologia, Utet, Torino, voce ANGOSCIA pp.58-60

[58] Gigerenzer, Gerd, Decisioni intuitive, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009, pp. 55-92

[59] https://it.wikipedia.org/wiki/Euristica

[60] https://www.repubblica.it/scienze/2014/11/13/news/il_senso_della_probabilit_una_caratteristica_innata_del_nostro_cervello-100001148/

[61] https://www.focus.it/comportamento/psicologia/micromort-lindice-di-mortalita-che-sfata-le-nostre-fobie

[62] http://www.ripmat.it/mate/l/lc/lcfb.html

[63] https://www.focus.it/comportamento/psicologia/la-fortuna-e-cieca-la-sfiga-scientifica-gallery?gimg=0#img0

[64] https://mobile.twitter.com/naomiohreally/status/1238868163208634371?s=21&fbclid=IwAR2FjX7ayEuesmR5IhiMiFLBxR9fayFojwmYXJTNE4IfuCNmQgH6eGeR55w

[65] https://it.wikipedia.org/wiki/Profezia_che_si_autoadempie

[66] https://www.stateofmind.it/2018/11/panico-medicina-catastrofi/

[67] http://www.meteoweb.eu/2018/12/dallheysel-a-corinaldo-tragedia-panico/1190369/

[68] https://it.wikipedia.org/wiki/Esaù

[69] https://contropiano.org/news/cultura-news/2020/03/13/unepidemia-e-il-sogno-del-tiranno-tutti-diventano-obbedienti-per-propria-volonta-0125130

[70] http://www.psychomedia.it/pm/modther/modtec/cozzolino.htm

[71] https://contropiano.org/interventi/2019/09/24/totalitarismo-triste-storia-di-un-non-concetto-0118933

[72] https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_farfalla

[73] http://www.disciplinefilosofiche.it/senza-categoria/29-recensione-a-maurizio-ferraris-mobilitazione-totale-laterza-roma-bari-2015-pp-109-giovanni-tateo/

[74] https://antinomie.it/index.php/2020/02/27/eccezione-virale/

[75] http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/03/05/trump-falsi-i-dati-oms-sul-coronavirus_fe68c94b-ecdd-47d4-9957-d330be200767.html

[76] https://www.ilsole24ore.com/art/trump-dichiara-emergenza-nazionale-lunedi-g-7-straordinario-video-conferenza-ADMJAED

[77] https://www.linkiesta.it/it/article/2020/03/13/boris-johnson-coronavirus-immunita-di-gregge/45815/

[78] https://www.repubblica.it/esteri/2020/03/13/news/coronavirus_il_60_dei_britannici_dovra_contrarre_il_covid19_per_sviluppare_l_immunita_di_gregge_-251163099/

[79] https://www.ilsole24ore.com/art/boris-johnson-parte-guerra-contro-coronavirus-a-modo-suo-ADMA55C

 

[80] https://www.tempi.it/coronavirus-la-scommessa-di-boris-johnson-spiegata-bene/

[81] http://www.ticinolive.ch/2020/03/14/loms-critica-lapproccio-del-regno-unito-al-coronavirus/

[82] https://www.linkiesta.it/it/article/2020/03/14/immunita-di-gregge-coronavirus-inghilterra-roberto-burioni/45841/

[83] https://www.msn.com/it-it/notizie/other/coronavirus-epidemiologo-pasini-sbagliato-sperare-in-immunità-di-gregge/ar-BB11itNm?ocid=spartanntp

[84] https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/03/15/gran-bretagna-tra-pandemia-ed-eugenetica-di-stato-0125284?fbclid=IwAR1k7HQlAEFVlsL2phvh-wM78go_OmBMhTiYA8xojGIkfZk29ljv-BzuvQM

[85] https://www.sinistrainrete.info/societa/17186-roberto-buffagni-epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto.html

[86] https://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_austriaca

[87] https://www.movimentolibertario.com/2014/10/la-scuola-austriaca-non-esiste-esiste-solo-michele-boldrin/

[88] https://ilbocconianoliberale.wordpress.com/2014/07/22/esiste-la-scuola-austriaca/

[89] https://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2018/02/Appunti-di-Politica-economica-2018.pdf pp. 21-22

[90][90] Vasapollo Luciano, Arriola Joaquin, Teoria e critica delle politiche economiche e monetarie dello sviluppo, Edizioni Efesto, Roma, 2019, pp.39-42

[91] Butler Eamonn, Friedrich A. Hayek, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1983, pp.193-212

[92] Butler Eamonn, Friedrich A. Hayek, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1983, pp.137-143

 

[93] https://contropiano.org/interventi/2019/09/24/totalitarismo-triste-storia-di-un-non-concetto-0118933

[94] https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del_Partito_della_Rifondazione_Comunista_(2001-2003)#Comunismo_%C3%A8_nonviolenza:_le_lettere_a_Sofri,_Revelli_e_Mieli

[95] Vasapollo Luciano, Arriola Joaquin, Teoria e critica delle politiche economiche e monetarie dello sviluppo, Edizioni Efesto, Roma, 2019, p.252

[96] https://it.wikipedia.org/wiki/Space_Shuttle#Il_disastro_del_Challenger_e_le_sue_conseguenze_(1986)

[97] https://it.wikipedia.org/wiki/Colonizzazione_dello_spazio

[98] https://www.mororoberto.it/mobile/index.asp?art=192

[99] https://blog.rubbettinoeditore.it/michele-marsonet/la-scienza-come-nave-in-mare-aperto/

[100] https://www.youtube.com/watch?v=KpBHbMVSua0

[101] https://pandoratv.it/tag/wuhang/

[102] https://www.youtube.com/watch?v=2QGGJToa4C4

[103] https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/03/12/bce-alza-qe-120-miliardi-per-il-2020_38d9481d-442d-4e3d-aa94-67b6455d3b2a.html

[104] http://lnx.retedeicomunisti.net/wp-content/uploads/2019/04/PARTITOeORGANIZZAZIONE.pdf

[105] https://contropiano.org/fattore-k/2020/03/05/edificio-non-sta-piu-in-piedi-0124819

[106] https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/03/12/neoliberismo-alleato-piu-efficace-coronavirus-0125118

[107] https://contropiano.org/fattore-k/2020/03/11/le-linee-di-faglia-del-coronavirus-0125068

[108] https://contropiano.org/interventi/2020/03/13/virus-emergenza-disciplinamento-sociale-0125186

[109]

[110] https://contropiano.org/editoriale/2020/03/11/il-pil-o-la-vita-0125053

[111] https://contropiano.org/news/politica-news/2020/03/13/coronavirus-e-crisi-di-sistema-0125181

[112] https://contropiano.org/altro/2020/03/07/rapporto-oms-come-cina-sta-vincendo-virus-0124872

[113] https://contropiano.org/news/politica-news/2020/03/13/lagarde-spiega-europa-non-esiste-0125197

[114] https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/coronavirus-boris-johnson-shock-moriranno-molti-nostri-cari-londra-punta-a-60percent-di-contagi-per-sviluppare-immunità-di-gregge/ar-BB118Kkn?ocid=spartanntp

[115] https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/03/10/cina-crisi-coronavirus

[116] Villa Maria Luisa, Scienza è democrazia, Guerini e Associati, Milano, 2018

[117] http://georgofili.info/contenuti/bufale-o-fake-news-un-nemico-sempre-pi-forte-per-la-scienza/13586

[118] http://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/contri/nobile.PDF

[119] http://www.edu.lascuola.it/riviste/NS/NsRicerca/14-15/1410-02/de%20cani.pdf

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6 Commenti


  • Angelo

    Ho letto il lungo articolo di Nobile e mi sono confrontato con alcuni compagni/e sparsi/e per l’Italia a proposito di esso, con la speranza di falsificare le mie prime impressioni; ma non è stato così. Prima di tutto non è un “lungo articolo”, è più che altro un breve saggio su tutta una serie di questioni urgenti. Il risultato è però che il lungo articolo non appare molto chiaro, è scritto in una maniera abbastanza contorta e ciò che si desume è che neanche i nuovi interrogativi sviluppati dal suo autore, aiutino il lettore a chiarirsi le idee, al fine di sciogliere i nodi venuti al pettine in tutta questa faccenda. L’unica soluzione/proposta sviluppata da Nobile è forse quella che individua nel legame tra scienza e politica una contraddizione da porre al centro delle nostre future attività, al fine di sollevare prima o poi la questione della comunicazione scientifica come responsabilità della scienza, per garantire la democraticità dell’informazione per tutte le classi sociali. Questa coscienza della scienza di orientare la società può, secondo Nobile, essere il volano per la costruzione di un sistema nuovo, così come, in altro contesto, fece la rivoluzione scientifica per lo sviluppo dell’economia liberale. Se fosse questa la prospettiva/proposta di Nobile, mi verrebbe da commentare che dopo tutto ciò che è stato fatto, siamo ancora messi male sul piano della riflessione teorica, sia per la confusione degli interrogativi posti sia per le superficiali soluzioni offerte. Nobile impersona una teoria che cita se stessa per non ammettere il suo reale spaesamento di fronte ai fatti, l’insipienza dei propri criteri interpretativi. Ciò a cui giunge chi legge tutto il saggio è una profonda delusione, e soprattutto una conferma: che troppo spesso si rischia di “fare il punto su una teoria” che cita se stessa, si arrovella su se stessa, per non ammettere la sua strutturale incapacità di aderire (rigorosamente) alle nuove contraddizioni in atto. Sarà bene prima o poi che la smettiamo con la linea ortodossa di ricerca (e per altri versi con lo spontaneismo), in quanto non sembra condurre a risultati realmente incoraggianti. Un’altra cosa, sulla base dell’esperienza maturata nell’organizzazione, da Napoli a Torino, tranne in alcune isole felici come Pisa, ho constatato che c’è bisogno non solo di inaugurare un dibattito di respiro nazionale su scienze, politica e tecnologia, che apra più incisivamente i comunisti verso l’esterno (come proposto da Nobile), ma anche un libero e inclusivo confronto nella “nostra organizzazione” tra le diverse istanze che lo compongono. Dopo gli ultimi due anni di lotte si può essere infatti certi di due cose, le quali testimoniano già di per sé una strutturale debolezza del nostro movimento: 1. parafrasando Gramsci, che pensare di rivolgere ad oltranza “il materasso contra la pistola” è controproducente e ciò ci dipingerà agli occhi delle masse sempre più come solo dei chiacchieroni, privi di alcuna credibilitá e potenza; 2. la fazione ortodossa a guida del nostro movimento (non nascondiamo che quest’ultima non esista), rifugge a priori qualunque confronto dialettico tra le diverse istanze interne all’organizzazione, tacciando queste ultime, quando andiamo bene, come non allineate, sediziose quando andiamo male. Come si può proporre un dibattito all’esterno, quando non ne esistono i presupposti per uno all’interno? Forse si potrà dire che questa è una strategia voluta dagli ortodossi, per accentrare le forze, e rendere più compatta l’organizzazione. Fatto sta che al contrario e sempre più questo modo di fare allontani le masse invece di avvicinarle. Come può infatti la mancanza di libertà all’interno, promuovere nuove pratiche politiche di libertà all’esterno, visto e considerato che molto spesso capita che già adesso molti iscritti al movimento si allontanano o non rinnovano più il tesseramento? La linea ortodossa, sia nella teoria sia nella pratica, si vede anche e soprattutto nell’articolo di Nobile, non aderisce sufficientemente ai fenomeni e peggio ancora mina la nostra sostanziale capacità di ricomporre la classe. Cosa converrebbe fare in alternativa? Prima riapriremo il dibattito anche all’interno del movimento, prima lo sapremo. Prima ritorneremo ad applicare il metodo all’interno dell’organizzazione, prima potremo efficacemente applicarlo all’esterno; prima ci preoccuperemo della necessità di istituire scuole “serie” e libere di partito per lo sviluppo orizzontale del movimento, maggiori saranno le possibilità per acquisire una presa attiva sugli eventi.


  • italo nobile

    Ovviamente la comprensione di un testo è il risultato di un rapporto tra il testo e il lettore. Perciò è possibile che il testo non sia risultato chiaro. E me ne scuso.
    Non comprendo però la critica e a me però questo commento sembra ancora meno chiaro (ma forse anche qua è questione di prospettiva). Chi sono gli ortodossi? A quale organizzazione si fa riferimento?


  • Angelo

    Per quanto riguarda il termine “Organizzazione”, devo dirti la verità, che sono rimasto confuso anch’io, quando per la prima volta lo udii a Bologna (in occasione della manifestazione a sostegno della Collot), proferito più volte dalle bocche di alcuni compagni, (con cui milito ormai da circa due anni), che ad un certo punto pretesero di parlare rispettivamente a nome di associazioni del calibro di USB, Pap, Eurostop, NoiRestiamo, Rdc, etc, a cui, da quanto si sa, tu non risulti essere estraneo. Chiesi insistentemente a chi utilizzasse il termine suddetto, a quale precisa organizzazione si riferisse la parola omonima e, soprattutto, se avessimo potuto effettivamente adoperarla in un contesto di frammentazione politica diffusa. Non ricevetti alcuna risposta, eppure la loro fermezza sconcertante, allucinata, quasi mistica e fanatica, mi confermò che se non avessimo potuto individuare certamente un’unica organizzazione in senso stretto, a cui la parola, secondo gli analitici, univocamente avrebbe dovuto rimandare, avremmo comunque potuto utilizzarla genericamente con un’accezione puramente “descrittiva”, per indicare quel comune sentire, quella comunione di intenti, quella specie di proto-appartenenza, forse ancora magmatica, e tuttavia esistente, agente, significante e operativa tra i comunisti più intraprendenti del nostro paese. Per provare a essere più precisi, sulla base dell’esperienza, credo si possa dedurre, con un limitato margine di errore, che per “Organizzazione” si debba intendere l’insieme di quegli individui che a livello nazionale, soprattutto in città come Napoli, Roma, Pisa, Bologna, Milano e Torino, possono essere raccolti sotto quelle varie e diffuse etichette, molto utilizzate tra i compagni, di “corrente ortodossa”, di “fazione marxista-leninista”, o “staliniana” addirittura, oppure di “linea burocratica e accentratrice”, che in ultima istanza sembrano rimandere nel loro insieme a organizzazioni reali come quelle dell’USB, di Pap e di Eurostop, ovvero ai “tre fronti” (sindacale, politico e intellettuale) con cui sempre più spesso capita che i comunisti italiani più attivi nella lotta vengono identificati. Queste categorie di “Organizzazione”, o di “corrente ortodossa”, saranno certamente ancora descrittive, fenomenologiche, non “scientifiche”, ma sono per ora senz’altro utili strumenti empirici per provare ad intendersi su quanto stia accadendo lungo una certa catena equivalenziale, di domande o significanti sociali, di respiro nazionale, che può per adesso essere fatta risalire egemonicamente ad Eurostop, gruppo di cui tu e io facciamo parte. Per quanto gli “ortodossi”, l'”organizzazione”, vada vista da una parte come un fenomeno che lascia bene sperare per il futuro, soprattutto per ciò che riguarda i discorsi sulle strategie attive di “ricomposizione di classe”, bisogna considerare che esso contenga, si porti dietro, anche tutta una serie di aspetti, di pratiche, di atteggiamenti deteriori, che a lungo andare più che ingrossare i nostri ranghi di attivisti e militanti, li deteriori, li assottigli, sulla base di una linea, di un metodo, di una visione che invece di integrare nuovi compagni alla lotta, li esclude, li allontana, li respinge sulla base di un, solo presunto, “sapere politico”, che più che fondarsi sull’idea di emancipazione delle masse, sembra stabilirsi sulla loro nascosta abiezione.


  • italo nobile

    Tieni presente però che per valutare il punto di vista dell’organizzazione devi riferirti agli articoli fatti a nome della Rete dei comunisti o della Redazione di Contropiano o di Noi Restiamo.
    Gli articoli firmati a livello individuale sono esclusiva responsabilità di chi li firma. Possono essere più o meno condivisi dai compagni, ma non di più.



  • italo nobile

    Grazie Andrea per il tuo contributo. Spero di poterlo approfondire in modo da poter interloquire con cognizione di causa

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