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La crisi ucraina: origine, sviluppi e prospettive (parte III)

Da piazza Maidan all’Operazione militare speciale russa

I principali media nazionali e internazionali dell’emisfero occidentale, anche tramite nutrita schiera di inviati sul campo, hanno proposto una narrazione della crisi ucraina che fa leva su due elementi principali: l’inizio del conflitto armato il 24 febbraio 2022 e l’attribuzione di ogni responsabilità alla Russia che avrebbe sferrato l’attacco militare in modo “non motivato e non provocato“.

Proviamo a sintetizzare il percorso delle vicende ucraine partendo dal  golpe di piazza Maidan del febbraio 2014 che sostenuto e finanziato dagli Usa, come rivelato dal finanziere George Soros e dalla Vice Segretaria di Stato Usa, Victoria Nuland, ha portato alla destituzione del legittimo presidente il filorusso Viktor Yanukovich.

Il suo successore, il magnate Petro Poroshenko, si contraddistingue fin da subito per una decisa virata verso occidente e per la ripresa del percorso di avvicinamento alla Nato avviato già dal 1997.

Nonostante la promessa Usa ai sovietici del 1990 di «non allargarsi di un pollice ad Est», la Nato nei 20 anni successivi è passata da 16 a 30 membri, tessendo la tela anche per l’ingresso dell’Ucraina.

Il percorso di avvicinamento alla Nato implementato da Poroshenko innesca la reazione della popolazione russofona del sud-est del Paese che da origine a movimenti indipendentisti (Repubbliche Popolari del Donbass di Donetsk e di Lugansk) e della Russia stessa che annette la Crimea (marzo 2014).

Di lì a breve, nella primavera 2014, il governo di Kiev e i battaglioni paramilitari neonazisti attaccano le forze separatiste russofone dando avvio ad un conflitto armato che ad inizio 2022 aveva provocato, nel disinteresse mediatico generale, 14.000 vittime.

Le pressioni contro la Russia salgono di intensità a partire dal 2014 quando forze e basi Usa e Nato con capacità di attacco missilistico vengono dislocate in Europa sempre più a ridosso della Russia, facendo progressivamente salire la tensione ad Est.

In particolare al summit Nato di Varsavia nel luglio 2016, viene decisa la costituzione di quattro gruppi tattici in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia con oltre 4.600 militari di oltre 20 Paesi. Al quadro va aggiunta la Divisione Multinazionale Sud Est in Romania, istituita fin dal 2015.

Numerose sono state in questi anni anche le esercitazioni militari a ridosso del territorio russo. Addirittura, nel luglio 2021, l’Ucraina e gli Usa hanno ospitato insieme un’importante esercitazione navale nel Mar Nero, l’operazione Sea Breeze, che ha coinvolto le marine di 32 Paesi e durante la quale un cacciatorpediniere britannico è entrato deliberatamente in quelle che la Russia considera le sue acque territoriali.

Mosca trovando intollerabile questa situazione per la propria sicurezza nazionale, nella primavera del 2021, ha iniziato a mobilitare il suo esercito al confine con l’Ucraina per segnalare la sua determinazione a Washington senza tuttavia ottenere particolari risultati, poiché l’amministrazione Biden ha continuato ad avvicinarsi all’Ucraina.

Infatti, il 10 novembre 2021 Antony Blinken, segretario di Stato Usa, e Dmytro Kuleba, Ministro degli Esteri ucraino sottoscrivono la «Carta Usa-Ucraina sul partenariato strategico» con l’obiettivo di «sottolineare… un impegno per l’attuazione da parte dell’Ucraina delle riforme profonde e globali necessarie per la piena integrazione nelle istituzioni europee ed euro-atlantiche».

Il documento si basa esplicitamente sugli «impegni presi per rafforzare l’Ucraina-Usa partnership strategica dei presidenti Zelensky e Biden», e sottolinea inoltre che i due Paesi saranno guidati dalla «Dichiarazione del vertice di Bucarest 2008», nel cui contesto venne ufficialmente offerta all’Ucraina la possibilità di ingresso nella Nato.

Il successivo passo dell’escalation avviene nel dicembre 2021 e porta direttamente alla guerra in corso.

L’Ucraina stava diventando un membro de facto della Nato, un processo iniziato nel dicembre 2017, quando l’amministrazione Trump ha deciso di vendere a Kiev «armi difensive».

Queste armi, non a torto, vengono ritenute offensive da Mosca e dai suoi alleati nella regione del Donbass. Anche altri paesi della Nato hanno contribuito, inviando armi all’Ucraina, addestrando le sue forze armate e consentendole di partecipare a esercitazioni aeree e navali congiunte.

A questo punto, la Russia ha chiesto garanzia scritta che l’Ucraina non sarebbe mai entrata a far parte della Nato e che l’alleanza rimuovesse le risorse militari che aveva dispiegato nell’Europa orientale fin dal 1997.

Il 15 dicembre 2021 la Federazione Russa ha consegnato agli Stati Uniti d’America un articolato progetto di Trattato per disinnescare questa esplosiva situazione. Non solo è stato anch’esso respinto ma, allo stesso tempo, è cominciato lo schieramento di forze ucraine, di fatto sotto comando Usa e Nato, per un attacco su larga scala ai russi del Donbass.

Ciò ha portato la Russia, che nel contempo aveva schierato le sue truppe ai confini con l’Ucraina, a precipitare in un vero e proprio stallo diplomatico a dicembre come ha affermato anche Sergey Lavrov, ministro degli Esteri russo: «Abbiamo raggiunto il punto di ebollizione».

I negoziati successivi sono, infatti, falliti come ha chiarito a fine gennaio 2022 lo stesso Blinken: «Non c’è alcun cambiamento. Non ci sarà alcun cambiamento».

Dal vertice Nato di Bucarest del 2008 i leader russi hanno ripetutamente affermato di considerare l’adesione dell’Ucraina alla Nato come una minaccia esistenziale che deve essere prevenuta. Come ha osservato Lavrov a gennaio: «la chiave di tutto è la garanzia che la Nato non si espanda verso est».

L’impasse diplomatico si sblocca il 21 febbraio quando Putin, poche ore dopo l’appello rivoltogli dai leader della Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, e di quella di Lugansk, Leonid Passetchnik, riconosce le Repubbliche Popolari del Donbass.

L’Occidente “non è pronto ad accettare le proposte russe per risolvere la crisi ucraina” ha dichiarato Lavrov durante il vertice, aggiungendo che “i risultati della conferenza sulla Sicurezza di Monaco (18 febbraio) hanno confermato che i paesi occidentali si allineano alle posizione di Washington”.

Il 24 febbraio dopo mesi di sterili trattative con gli Usa e la Nato, la Russia inizia l’invasione militare dell’Ucraina per respingere la minaccia rappresentata dalla Nato e difendere la popolazione russofona del Sud-est del Paese.

Il conflitto in atto in Ucraina è frutto di un ben congegnato piano strategico Usa contro la Russia elaborato 2019 dalla Rand Corporation («una organizzazione globale di ricerca che sviluppa soluzioni per le sfide politiche» ufficialmente finanziata dal Pentagono, dall’Esercito e l’Aeronautica Usa, dalle Agenzie di sicurezza nazionale – Cia e altre), da agenzie di altri paesi e da potenti Ong.

Il piano in questione, «Overextending and Unbalancing Russia», ossia costringere l’avversario a estendersi eccessivamente per sbilanciarlo e abbatterlo, prevede di attaccare la Russia sul lato più vulnerabile, quello della sua economia fortemente dipendente dall’export di gas e petrolio, utilizzando a tale scopo le sanzioni commerciali e finanziarie e, allo stesso tempo, far sì che l’Europa diminuisca l’importazione di gas naturale russo, sostituendolo con gas naturale liquefatto statunitense.

In campo ideologico e informativo, occorre incoraggiare le proteste interne e allo stesso tempo minare l’immagine della Russia all’esterno. In campo militare operare affinché i paesi europei della Nato accrescano le proprie forze in funzione anti-Russia portando la loro spesa militare al 2% del Pil.

Secondo il piano della Rand «gli Usa possono avere alte probabilità di successo e alti benefici, con rischi moderati, investendo maggiormente in bombardieri strategici e missili da attacco a lungo raggio diretti contro la Russia. Schierare in Europa nuovi missili nucleari a raggio intermedio puntati sulla Russia assicura loro alte probabilità di successo, ma comporta anche alti rischi. Calibrando ogni opzione per ottenere l’effetto desiderato la Russia finirà col pagare il prezzo più alto nel confronto con gli Usa, ma questi e i loro alleati dovranno investire grosse risorse sottraendole ad altri scopi».

Nel quadro di tale strategia il «fornire aiuti letali all’Ucraina sfrutterebbe il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia, ma qualsiasi aumento delle armi e della consulenza militare fornite dagli Usa all’Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, avrebbe vantaggi significativi».

E proprio sul punto che la Rand Corporation definiva «il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia» è avvenuta la rottura ed è scattata la reazione di Mosca.

Gli sviluppi successivi mettono in chiara evidenza le fallimentari previsioni del piano della Rand: nonostante il gravoso sostegno finanziario e militare occidentale, ormai giunto a 100 miliardi di dollari, e la controffensiva delle ultime settimane, l’Ucraina ha scarse possibilità di vincere il conflitto iniziato nel 2014 e salito di livello nel 2022 con la reazione russa.

Le 8 tranche di sanzioni imposte alla Russia, inoltre, si stanno rivelando un boomerang che ha già spinto in recessione tecnica l’economia Usa nei primi due trimestri 2022 e, insieme alla speculazione finanziaria, ha fatto impennare il costo delle materie prime creando inflazione e rallentamento dell’economia globale[1], non che crisi energetica in Europa e alimentare nel Sud del mondo.

Dall’altro lato, la Russia ha registrato un forte incremento del saldo positivo della bilancia commerciale[2] e ha rinsaldato i propri rapporti economici e politici con Cina, India e altri Paesi asiatici e africani, senza contare che la recessione prevista dal Fmi a -8,5% ad aprile è stimata dallo stesso istituto l’11 ottobre al -3,4%[3].

Il disastro frutto della scellerata guerra per procura, combattuta dagli Usa per interposta Ucraina contro la Russia, che i media nazionali e internazionali asserviti agli interessi imperialistici tendono a nascondere, viene pagato in primis dalla popolazione civile delle zone di guerra e dai ceti subalterni dei Paesi sviluppati e, in genere, dal Sud mondo, mentre le imprese multinazionali, in primis quelle energetiche[4] e degli armamenti, hanno visto lievitare i loro profitti in modo esponenziale nel primo semestre di quest’anno.

 * Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati

 

[1] Come conferma l’ultimo Outlook del Fmi dell’11 ottobre2022 che prevede per l’anno in corso  un rallentamento della crescita dell’economia mondiale al 3,2% rispetto al 4,4% di gennaio e al 4,9% di ottobre 21.

[2] Nei primi sei mesi del 2022 il surplus delle partite correnti della Russia – la misura più ampia dei flussi commerciali e di investimento, spiega Bloomberg – è più che triplicato rispetto all’anno scorso: ha sfiorato i 167 miliardi di dollari, contro i circa 50 miliardi del periodo gennaio-luglio del 2021. A contribuire al surplus è stato il collasso delle importazioni dopo l’imposizione delle sanzioni internazionali imposte per l’invasione dell’Ucraina. Nel contempo, l’aumento dei prezzi del gas naturale e la crescita delle esportazioni di petrolio – gli idrocarburi valgono il 40 per cento delle entrate del paese – permetterà quest’anno alla Russia di registrare ricavi per 337,5 miliardi, il 38 per cento in più rispetto al 2021.

[3] https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2022/04/19/world-economic-outlook-april-2022

https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2022/10/11/world-economic-outlook-october-2022

[4] Secondo un’indagine di ReCommon le sei principali società energetiche europee nel primo semestre del 2022 hanno realizzato extraprofitti per oltre 74 miliardi di euro che sono stati impiegati per incrementare i dividendi e per operazioni di share buyback (acquisto di proprie azioni sul mercato), mentre gli investimenti per la transizione energetica, vera priorità, sono rimasti sostanzialmente al palo.

Vedi le puntate precedenti:

Crisi Ucraina (II parte)

Crisi Ucraina (I parte)

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