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Siamo noi quelli di Fukushima…

I media mainstream stanno appollaiati come avvoltoi sulle rovine, pronti a cogliere una lacrima o un gesto di sconforto in un popolo che ne rilascia di rado, con un moto di vergogna. Se proprio scappa, ma non mi fotografate…

Facile cadere nella trappola opposta: ci vogliono distrarre dal problema principale usando la sciagura personale di un numero tutto sommato limitato di persone.

Vero. E falso. Falso e vero. I cinquanta di Fukushima sono comunisti senza saperlo, come le migliaia di Chernobyl. Che l’abbiano deciso ognun per sé, o in base a una riffa tragica, o per decisione di un burocrate governativo… cambia poco. Si sacrificano – vengono sacrificati – nella speranza di limitare i danni alla comunità che finora hanno abitato. Hanno lasciato lì fuori famiglie, figli, mogli e fidanzate. Futuro. Non torneranno più. O, almeno, non torneranno come prima. Se tutto va bene, attenderanno la morte tra i propri cari e gli onori – alcuni ipocriti, la maggior parte sinceri – resi da una comunità che sa pesare la qualità di una persona. Che ricorda uno sguardo, un gesto, un episodio. Magari niente affatto eroico. Ma vero.

Chi di noi sarebbe fuggito di fronte a questa sciagura? Chi avrebbe abbandonato tutto – a partire da se stesso – per poi pretendere di nuovo un onore politico e umano immeritato? Nessuno, speriamo.

C’è un pericolo. E riguarda tutti noi. Rimanere indifferenti a un gesto estremo. Dopo, non avremmo più nulla da dire. A nessuno.

Restiamo vigili. Ovvero, umani. Quindi, comunisti.

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