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La terra di mezzo

Nel Pd nessun candidato che abbia l’appoggio dei vertici nazionali riesce a vincere una “primaria”. Nel Pdl si fanno prove di scissione a Lecco e in cento altri luoghi, in un vorticar di coltelli tra ex An ed ex democristiani. La Lega avrebbe in teoria uno spazio gigantesco, ma deve fare i conti con la corruzione al suo interno, che aggrava il distacco dal suo elettorato, già logorato dal matrimonio di interesse con Berlusconi. Quest’ultimo scalpita per tornare protagonista, ma deve stare calmo per non bruciare “il delfino” Angiolino. Ma intanto pretende che il governo non si occupi né di Rai né di giustizia. E Monti deve annullare un vertice con i tre partiti che lo sostengono in Parlamento.

Il quale, intanto, vota con maggioranza bulgara il vincolo al pareggio di bilancio inserito in Costituzione.

 

Le due cose sembrano in contraddizione, ma la realtà è un’altra.

Il voto in Parlamento mostra un radicale mutamento ormai archiviato come dato acquisito: il centro della decisione politica è ormai spostato definitivamente altrove. La “troika” (Bce, Fmi e Ue) elabora le politiche, qui si devono soltanto applicare. La “fine della politica” è inscritta per intero in questa “delocalizzazione”. In Italia (come in Grecia o Spagna, e comunque nella “cintura della crisi”) non c’è più bisogno di un luogo istituzionale per “portare a sintesi” gli interessi di classi e ceti sociali organizzati. I partiti hanno perso l’oggetto centrale della propria funzione, e giustamente si squagliano. Restano alcuni grumi di interessi “forti”, che pretendono protezione in cambio del consenso. Ma ormai riguardano soltanto alcune corporazioni e alcuni grandi gruppi. Le resistenze di Berlusconi sono commi da aggiungere al “salvacondotto” che gli è stato garantito pur di farlo uscire per tempo da palazzo Chigi.

 

Restano le necessità dell’amministrazione della “cosa pubblica”.

A livello centrale – in quello che era “lo Stato” – è un compito che può agevolmente essere assegnata a qualcuno che abbia competenze specifiche, “esperti” o “tecnici” presi di peso dalle cattedre universitarie come dalle forze armate, dai ruoli della polizia o dalle banche. La governance ne esce più fluida, meno inquinata da interessi di corrente e dalla necessità di “compensare” la distribuzione verso tante clientele. Qualche ruberia o “furbata” (specie sulle case acquistate a prezzo di favore) si può sempre verificare, ma non è più una prassi generalizzata a un’intera corte di amici e amanti.

A livello territoriale, lo spazio per i cacicchi locali si amplia e si restringe allo stesso tempo. I “capitribù” possono sfruttare il loro mini radicamento per contrastare scelte e ordini dei capipartito nazionali, autonomizzarsi per conquistare posizioni di potere rigorosamente confinate al proprio territorio e senza alcuna speranza – e nemmeno ambizione – di protagonismo nazionale futuro. Proliferano i Ferrandelli, dunque, ma non è più attraverso questi giochini che si seleziona la classe dirigente di prima fascia. Riescono facilmente a costruire “trasversalità” prive di confini ideali e programmatici, autocentrate; ma tutto resta lì, come un tumore che non diffonde metastasi.

Il loro spazio, infatti, viene drasticamente limitato dai “patti di stabilità”. Possono dunque cercare di usare la cosa pubblica per costruire il proprio “giro di consensi” personale, ma il budget è stabilito a monte. I danni che sono autorizzati a produrre si riducono a ben poca cosa.

 

La “fine della politica” si nutre di questo doppio svuotamento, dall’alto e dal basso; dall’Europa delle grandi imprese multinazionali e dalle piccole consorterie territoriali.

Il sistema della rappresentanza politica ne viene stravolto dalle fondamenta, i partiti diventano agglomerati temporanei di personalità nane che “devono” aggregarsi al centro per “sostenere” l’esecutivo scelto da fuori, ricevendo in contropartita le briciole del potere locale.

La dissoluzione del vecchio “quadro politico” segue queste linee e questa logica. L’avvento di Monti ha innescato lì dentro un’esplosione. Molti pezzi sono attualmente in volo, altri devono ancora iniziare un breve viaggio. Ma tutti hanno già delle griglie, a terra, che li attendono. Predefinite come una massima libresca.

 

Poi, fuori, c’è la società che si va impoverendo. E una serie di conflitti che devono ora cominciare a trovare forme espressive stabili e davvero rappresentative, coscienza di sé e della necessità di costruire una rappresentanza autentica. Indipendente, per forza di cose e per scelta.

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