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Traballa, ma non può cadere…

Mai visto un governo traballare nel pieno di un’emergenza, sanitaria o bellica che sia. Eppure questo traballa tutti i giorni, su qualsiasi argomento. E si può ironizzare a lungo sul “decreto aprile” che a metà maggio – oggi se ne discute nell’ennesimo Consiglio dei ministri – ancora non è riuscito ad arrivare al traguardo.

Mai visto un governo cadere, nel pieno di un’emergenza, sanitaria o bellica che sia. E infatti questo resta in piedi.

Non c’entra né l’abilità né la fortuna. Un’emergenza vera richiede una continuità di comando, perché anche solo due giorni di “vuoto di potere” potrebbero significare una sconfitta storica e altre migliaia di morti. Figuriamo i mesi che normalmente servono, in questo Paese, per formare un nuovo governo con una solida maggioranza in Parlamento.

C’entra molto il nanismo intellettuale della presente classe politica. Ma è così in tutto il mondo occidentale – basta guardare Trump, Johnson, Macron, Bolsonaro, il bamboccio austriaco austriaco Kurz o i paranazisti che spadroneggiano in Ungheria, Polonia, ecc.

La stessa Angela Merkel, che al confronto sembra giganteggiare, dai suoi connazionali è considerata poco più che una “brava massaia” (il maschilismo tedesco non è diverso da quello “mediterraneo”), ovvero uno statista che sceglie sempre la via di minor resistenza. Non una leader per tempi difficili, in cui serve una visione del futuro, oltre che l’accorta gestione del presente (in un Paese che ha oltretutto un grande vantaggio rispetto ai partner).

E se è così dappertutto, nei templi del neoliberismo occidentale, significa che questo è l’effetto di un rovesciamento di portata storica: il capitale, soprattutto quello di dimensione multinazionale, in questo lato del mondo prevale ovunque sul potere pubblico, ossia sullo Stato.

Un esempio veloce veloce? Il numero uno di Tesla, Elon Musk, ha annunciato su Twitter il riavvio della produzione presso la fabbrica di Fremont, in California, in violazione del lockdown e in sfida aperta alle autorità locali. “Sarò alla catena di montaggio con tutti gli altri. Se qualcuno dovrà essere arrestato, chiedo che sia solamente io“.

Non accadrà, naturalmente. Il patron di una multinazionale “innovativa” è più che sicuro della propria superiorità rispetto alla legge; tanto più di un singolo stato degli Stati Uniti. E lo stesso vale per tutti i suoi pari, manager o proprietari che siano.

La “politica” viene affidata a figure di secondo piano, obbedienti e disponibili. Attori, non statisti. La cui unica abilità deve essere quella di destreggiarsi – verso l’alto – con le molte e diverse filiere di interessi (“il capitale” è un concetto, la realtà è fatta di “parecchi capitalisti”, di peso e importanza variabile); verso il basso con il consenso elettorale (mai stato così volatile).

In più, per i Paesi membri dell’Unione Europea, “i politici nazionali” debbono tener conto dei vincoli esterni rappresentati da una camicia di forza fatta di Trattati.

Messi così, il loro margine di manovra è davvero scarso. La concorrenza infra politicos, invece, è agguerritissima. Tutti vogliono ricoprire quel ruolo per cui serve ben poco spessore. Sanno – tutti – che è l’onda degli interessi economici e strategici a portarti in alto e farti poi annegare.

Ora tocca a Conte, addirittura privo di un proprio “partito” e proprio per questo leggermente più stabile della sua stessa maggioranza. Prima è toccato ad altri, il cui nome sta per essere addirittura dimenticato (do you remenber Renzi?), o che stanno tornando nell’ombra (Salvini, chiaramente).

La pandemia sta riscrivendo le mappe dei poteri, ma nessuno è certo che non si stia scrivendo sulla sabbia. La “ripartenza” è un terreno di conflitto, non uno sforzo solidale. Le disuguaglianze – tra Paesi, classi sociali, filiere produttive – stanno esplodendo già ora.

Basta un’occhiata anche distratta all’intervista rilasciata a diverse testate cntinentali da vicepresidente della Commissione Ue, Margrethe Vestager, per avvertire l’affanno della governance.

«C’è il rischio frammentazione del mercato unico. La nuova base legale di emergenza ci permette di autorizzare molti più aiuti di Stato che in situazione di normalità. Non possiamo autorizzare aiuti di Stato che non siano proporzionali, uno Stato non può sovracompensare. Un Paese che può fare molto e lo fa non sta facendo qualcosa di sbagliato. Però ci sono Stati membri che non hanno lo spazio fiscale per fare lo stesso».

Traduciamo? Gli “aiuti di Stato”, che prima per la Ue erano sempre illegali, adesso sono ammessi per far fronte all’epidemia di crisi aziendali che sta maturando in ogni territorio dell’Unione. Però non tutti gli Stati si possono permettere di “esagerare”, ossia “ sovracompensare”. Chi ha soldi da parte, faccia pure. Chi ha un debito pubblico alto (“ci sono Stati membri che non hanno lo spazio fiscale per fare lo stesso”), stia calmino, sennò…

Non basta. Anche tra filiere produttive le disuguaglianze sono destinate ad aumentare sotto lo sguardo ottuso della Commissione Europea. Se ne accorgono anche gli intervistatori “istituzionali”, costretti a far notare che “Circa il 52% degli aiuti di Stato finora autorizzati sono andati ad aziende tedesche. Al termine della crisi saranno più avvantaggiate?”.

Domanda retorica… Anche un cieco risponderebbe “certo!”. Vestager però non può tradire “l’azionista di riferimento” della Ue, ossia Berlino. E dunque s’arrampica sul primo specchio che trova, coprendosi di ridicolo:

«È difficile prevedere quale sarà il risultato finale. Le conseguenze ci sono non solo ora in termini di liquidità pubblica, anche dopo quando ci potrà essere un bisogno di ricapitalizzazione delle aziende».

I forti diventeranno molto più forti, aiutati dagli Stati forti; i più deboli crolleranno insieme agli Stati il cui debito pubblico “non consente” di largheggiare in aiuti alle imprese o addirittura in ricapitalizzazioni.

E’ matematica, non una previsione… Anche se ci sono infinite altre variabili, soprattutto di portata mondiale, che potrebbero far saltare anche questi calcoli “nazionalisti europei”.

Bene. Rientrando in Italia, si capisce perché questo governo non abbia in questo momento alternative. Nessuno è davvero disposto – tra i nanerottoli della politica – a farsi identificare come il “sabotatore” in piena guerra contro un nemico invisibile. Nessun potere relativamente “forte” può ammettere un vuoto più o meno lungo ai vertici delle catene di comando dell’emergenza.

Neanche Confindustria, che abbaia scompostamente per ottenere più di quanto non c’è. Neanche la Lega, che guarda con terrore a sondaggi in discesa e comincia a pensare che “il tocco” di Salvini non sia proprio quello di Mida.

Quindi Conte resta dov’è, per la tranquillità di tutti. Che possono far finta, anche dai banchi del governo, di esserselo trovato lì per caso, senza averlo davvero voluto. Fin quando non ci sarà un’altra volta spazio per l’ennesimo casting per “volti nuovi”.

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