In questi “giorni di trepidazione” sulla salute di Silvio Berlusconi, sono in molti ad azzardare chiavi di lettura sulle conseguenze del berlusconismo nel nostro paese.
Una lettura onesta dovrebbe avere il coraggio di avanzare, contestualmente, anche una analisi sulle conseguenze del sedicente “antiberlusconismo”, non meno letale del primo.
In qualche modo Berlusconi, nella prima metà degli anni Novanta, ha espresso sia quella che Gobetti definirebbe “la rivelazione” di quel che c’era nella pancia profonda del paese, sia la contesa tra interessi economico/sociali diversi sulla natura di quella che è stata “la seconda Repubblica”.
Parliamo di contesa di interessi, perché per diciassette anni il paese è stato artatamente imbrigliato nello scontro di potere tra due grandi gruppi editoriali/finanziari (Mediaset e L’Espresso/La Repubblica) che a loro volta incarnavano interessi diversi della borghesia italiana.
Il primo (Mediaset) rappresentava la borghesia più arretrata, legata al solo mercato interno, ai consumi di massa, al capitalismo straccione degli appalti e delle concessioni pubbliche.
Il secondo (L’Espresso/La Repubblica) ha dato espressione alla borghesia più “moderna” e proiettata sulla dimensione internazionale, sul mercato mondiale a discapito di quello interno, sulla integrazione/obbedienza ai diktat e alle ambizioni dell’Unione Europea.
Questa divaricazione di interessi – e lo scontro che ne è derivato sulla fisionomia di un paese inserito in quelli a capitalismo avanzato – ci è stato raccontato come uno scontro tra “corrotti, libertini e reazionari” da un lato e “moralisti, liberali e moderni” dall’altro.
In molti dimenticano che l’appoggio del centro-sinistra e di CgilCislUil ai governi di Maastricht, nonché alle “lacrime e sangue” di Amato e Ciampi – nel 1992 e 1993 – spianò la strada alla inaspettata vittoria di Berlusconi nel 1994.
Dopo Tangentopoli e la fine dei vecchi partiti di potere, i “progressisti” si sentivano già la vittoria in tasca ma invece si erano già giocati un bel pezzo del proprio consenso sociale accettando e santificando i sacrifici che “ci chiedeva l’Europa”.
Ma mentre Pds (1) e CgilCislUil imbracavano e smobilitavano politicamente i lavoratori, il “popolo” di piccoli proprietari e piccoli imprenditori dell’Italia profonda (inclusi, come sempre, anche i settori collusi con le mafie) intravedeva in Berlusconi il difensore dei loro interessi.
Il possesso di tre televisioni ha consentito al Cavaliere di avere un volume di fuoco mediatico che ha saputo poi costruire un immaginario in cui milioni di persone si sono riconosciute. Anche contro i propri interessi…
Dal 1994 al 2011 questa distorsione del dibattito pubblico e delle scelte economico/sociali, ha agito come una maledizione sul nostro paese contribuendo alla distruzione delle conquiste sociali e sindacali e alla regressione sociale e civile complessiva.
Anzi, al rovesciamento totale di valore su questioni decisive per decine milioni di lavoratori, studenti e disoccupati, come sanità, pensioni, istruzione, edilizia popolare, diritti del lavoro, congruità del salario, ecc.
“Piccolo e privato” è bello, “grande e pubblico” fa schifo. Libertà individuale è tutto, benessere collettivo è un guaio.
I risultati li stiamo vedendo e pagando pesantemente tutt’oggi.
In nome dell’antiberlusconismo è stato fatto e concesso di tutto. Lo si era capito già con il “bacio del rospo” nel 1995 (sostegno “di sinistra” al governo Dini), per sostituire il primo governo Berlusconi del 1994.
Ma fu proprio Dini a portare a compimento la prima controriforma delle pensioni – fissando i criteri poi diventati “scontati” per il loro smantellamento – che era stata invece impedita a Berlusconi.
Lo stesso accadde con il primo governo Prodi, che nel 1997 varò quel mefitico pacchetto Treu che precarizzava il lavoro e che il secondo governo Berlusconi (2001) perfezionò con la “legge Biagi”, segnando così un futuro infernale per milioni di lavoratrici e lavoratori precari.
L’antiberlusconismo ha ammantato di “modernizzazione civile” e “mali necessari” i provvedimenti che – in scia al mercantilismo e all’ordoliberismo di stampo tedesco – hanno compresso i salari, privatizzato il welfare e schiacciato verso il basso le condizioni di vita milioni di lavoratrici e lavoratori, esacerbando una polarizzazione sociale che ha prodotto crescenti e inaccettabili disuguaglianze.
I governi del centro-sinistra hanno incarnato questa visione e le scelte che ne sono derivate. Berlusconi ha prosperato invece su un “liberismo all’amatriciana” che in qualche misura aveva la necessità di tutelare i consumi e il mercato interno, sia come consenso che come base materiale dei propri affari, sdoganando l’evasione fiscale e altri storici vizi italici.
Quando gli apparati di comando dell’Unione Europea hanno deciso che occorreva mettere fine a questo sia pur minimo ostacolo rispetto alla propria strategia, hanno bombardato a palle incatenate l’ultimo governo Berlusconi (2008), fino a farlo cadere nel 2011 con la lettera della Bce (firmata da Draghi e Trichet) e sostituirlo con un uomo degli apparati del grande capitale multinazionale, come Mario Monti. Le eredità velenose lasciate dal governo di quest’ultimo, in termini di pensioni, sanità, diritti dei lavoratori e subalternità ai diktat europei, sono sotto gli occhi di tutti.
Oggi come allora siamo fermamente convinti che chi nel 2011 andò sotto al Quirinale per festeggiare la caduta di Berlusconi e l’avvento di Monti sia meritevole di essere preso a sportellate.
Su un piano meramente morale e civile, il berlusconismo è stato per molti versi odioso, ridicolo, sguaiato, arrogante, ma le stesse categorie possono essere applicate tranquillamente all’antiberlusconismo. Sono stati speculari, inclusa la contrapposizione tra il “garantismo per i ricchi” dei berlusconiani e il giustizialismo manettaro degli antiberlusconiani.
Sul piano materiale degli interessi di classe, va detto chiaramente che entrambi sono stati convergenti e decisivi per l’indebolimento dei diritti sociali e del lavoro fino a ridurli allo stato letargico e disperante in cui lo sono oggi. Due gruppi di potere socialmente criminali che ora piangono congiuntamente lo stesso totem.
Come direbbe Brecht, in nome dell’antiberlusconismo è stato consentito che “il nemico marciasse alla nostra testa”.
(1) Pds (Partito dei Democratici di Sinistra) è l’atensignano dell’attuale PD
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Eros Barone
L’articolo di Sergio Cararo, giustamente incardinato sulla tesi della equivalenza tra berlusconimos e antiberlusconismo, è ottimo. Da parte mia, aggiungo solo una postilla riguardante la SIG (= sindrome da imbecillità generalizzata). Infatti, ponendosi dal punto di vista della filosofia politica, ci si può domandare se il popolo in quanto tale sia imbecille (si veda quanto afferma la teoria delle élite) oppure se sia tale quando viene ridotto a corpo elettorale (si vedano Rousseau e i teorici della democrazia diretta, fra cui rientra anche Lenin). Una possibile risposta a questo quesito, la cui attualità non è più venuta meno dopo che nei “trenta gloriosi” del secolo scorso (1945-1975) era rifulsa l’intelligenza del popolo perfino in un paese come l’Italia in cui lo scambio tra la furbizia e l’intelligenza è sempre stato la norma, riconduce il fenomeno dell’imbecillità alla generalizzazione della forma-merce, cui si deve l’espunzione della verità dalle relazioni sociali. Quella verità che è inscindibile da un progetto di costruzione politica della nozione di popolo e da un intervento dei gruppi intellettuali in questo senso, mancando i quali (progetto e intervento) le masse popolari italiane sono destinate a restare politicamente mute e a diventare facili prede del populismo, del berlusconismo, del leghismo, del grillismo, del renzismo e del neofascismo, ossia delle superfetazioni di un micidiale processo di espropriazione politica e di deprivazione culturale. La stessa degenerazione revisionista, riformista ed opportunista della maggioranza del comunismo italiano ha finito con il mutare radicalmente sia il codice comunicativo che il significato del concetto gramsciano di egemonia. Il prodotto di tale degenerazione, la cui formula paradigmatica era (ed è tuttora: cfr. la Schlein) quella esemplificata dal verbo di Scalfari (a sinistra nel costume, al centro in politica e a destra in economia), ha perciò funzionato come moltiplicatore di quell’occidentalismo di massa che ha caratterizzato l’ultimo ventennio all’insegna di un antiberlusconismo moralistico ed estetizzante e di un largo sostegno alle più infami e sanguinose aggressioni imperialistiche, sempre spacciate come “missioni umanitarie in difesa dei diritti umani”. Questa tragedia è tuttavia rimasta inintelligibile, nella opacità ideologica e nella “banalità del male” che l’hanno contraddistinta, perfino alle sue vittime, oggetto di una cretinizzazione scientificamente pianificata dall’alto, cui era praticamente impossibile resistere. Sennonché la SIG che si è imposta progressivamente in Italia, fino ad essere, come è oggi, dominante, non è altro che la versione italiana di un fenomeno soprattutto europeo, perché Cina, India, Brasile e Russia continuano a essere Stati sovrani, il cui territorio non è occupato da basi militari Usa dotate di armamenti atomici. La SIG, in conclusione, si manifesta quando vengono meno gli approcci di carattere dialettico alla comprensione sociale (ossia gli approcci che ignorano l’istanza della negazione determinata), e colpisce tutti gli àmbiti, sia a livello verticale che a livello orizzontale, sia a destra che a sinistra, configurandosi ovviamente in forme differenti ma, quanto all’effetto socio-politico, del tutto equipollenti.
giorgino
e che ruolo ha avuto il sottosistema bertinotti rifondazione vendola nella sig ?
Alekos
Si può essere elettori intelligentissimi ma se il menu politico prevede portate con nomi diversi ma con gli stessi ingredienti (EU, NATO, privatizzazioni, precarizzazione del lavoro ecc.) l’unica alternativa concreta resta l’astensione anche se alla fine per mangiare qualcosa si è costretti a servirsi di un distributore automatico. La rivoluzione? È una possibilità reale quanto la democrazia.