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La paura della destra può produrre altri mostri

Si è votato in Europa ma sotto sotto tutti sono consapevoli che le elezioni che contano saranno quelle di novembre negli Stati Uniti. Le imprevedibili variabili che arriveranno da oltre oceano condizioneranno pesantemente gli assetti e i posizionamenti delle classi dirigenti europee già da tempo alle prese con seri problemi di “governabilità”.

I risultati delle elezioni europee prima e di quelle francesi poi, hanno perimetrato gli allarmi – spesso più che strumentali – di una valanga della destra sugli equilibri politici in Europa.

Sullo sfondo di una guerra dentro l’Europa e contro la Russia che le attuali classi dirigenti intendono continuare ad alimentare, le rendite di posizione delle rappresentanze politiche tradizionali del bipolarismo (conservatori e socialdemocratici, entrambi allineati al liberismo) hanno subìto forti sollecitazioni ma hanno – per ora – sostanzialmente tenuto. Il risultato delle elezioni francesi e quelli delle europee ci dicono sostanzialmente questo.

Dopo aver portato l’intera politica economica e internazionale a destra, aumentando enormemente le disuguaglianze sociali e le ambizioni guerrafondaie, le classi dirigenti bipartisan europee hanno scoperto che qualcuno poteva attuare una politica di destra attingendo all’originale invece che alla sua mutuazione liberale.

Ma hanno anche verificato che mantenere il potere sul terreno “Tina” (There Is Not Alternative) non è più gratis.

Hanno addomesticato prima la sinistra (vedi la Grecia) e poi la destra all’obbedienza verso i diktat degli apparati di comando di Bruxelles e della Nato. Hanno gestito l’emergenza pandemica senza mutare di un millimetro gli assetti sociali per ritornare subito ai vincoli del Patto di Stabilità, e questo nonostante le profonde ferite apertesi in vasti strati popolari delle società, perfino in paesi ricchi e stabili come Germania e Francia.

Oggi intravedono nell’economia di guerra la risposta possibile alla recessione economica e industriale innescata dalla competizione globale e frontale scatenata contro i Brics e i paesi emergenti per impedirgli di crescere e competere.

L’accumulo di queste contraddizioni ha però messo in evidenza crescenti problemi di governabilità e di consenso per le classi dirigenti europee. Per mantenere la governabilità devono stringere o immaginare alleanze fino a ieri rifiutate con supponenza ma con un obiettivo sempre ben definito: sbarrare la strada non tanto ai fascisti ma alle forze che indicano come prioritarie le esigenze popolari piuttosto che quelle delle banche o degli industriali.

In Francia è fin troppo evidente come i partiti dei ricchi cercheranno di sgretolare il Nuovo Fronte Popolare per cooptarne una parte nella coalizione di governo che dovrà convivere con Macron e il suo programma antipopolare. Imbarcheranno socialisti e verdi ed emargineranno violentemente La France Insoumise nonostante i pesanti compromessi in politica estera che questa ha accettato in nome dell’unità antifascista.

Lo stesso faranno a livello di Parlamento e Commissione europea, magari imbarcando la zattera della Meloni dalla quale sono scesi quasi tutti.

E in Italia? E’ già fin troppo evidente l’eccitazione che pervade le forze del cosiddetto “campo largo” per mettersi tutti insieme e rovesciare il governo Meloni e ipotecarne una seconda edizione. Nè più né meno di quanto è avvenuto con Berlusconi, producendo però come alternativa due governi Prodi e un governo Monti con tutti i danni politici, sociali e istituzionali che hanno prodotto e che appare difficile rimuovere o dimenticare. Se facessimo un ordine di lista – che in molti conoscono bene e dovrebbero ricordare – difficilmente se ne potrebbe ricavare una qualche idea di “meno peggio”.

I fascisti della Meloni o i leghisti salviniani sono indubbiamente odiosi ma sono anche stupidi, spesso anche più del necessario, fino a rendere quasi accettabile qualsiasi altra cosa – inclusi Renzi, Bonaccini e Calenda – che  non siano i Meloni boys.

Ma questo è uno scenario che ci hanno già proposto, che abbiamo già visto e che abbiamo ripudiato in passato.

Riproporcelo di nuovo, a fronte delle posizioni e degli impegni e dei vincoli dell’Italia nella Nato e nella Ue, della guerra in Ucraina e della insopportabile indulgenza verso Israele, delle insopportabili disuguaglianze sociali cresciute nel paese in questi ultimi trenta anni, non è una ipotesi digeribile per chi aspira e agisce per una alternativa politica e sociale degna di questo nome.

Se c’è una cosa ci ha insegnato la Francia è che è il conflitto sociale a produrre rappresentanza politica reale e che il nemico è diventato meno forte di prima. E’ tanta roba.

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2 Commenti


  • Leonardo Bargigli

    Melenchon ha portato la sinistra radicale francese in una posizione di forza (relativamente) maggioritaria che qui in Italia ce la sogniamo. Penso si meriti per questo un’apertura di credito rispetto alle opzioni aperte dalla fase post elettorale francese. Il confronto con l’Italia è impietoso e ogni parallelo risulta improponibile, come giustamente sottolinea l’articolo.


  • Tiziano Mistrorigo

    La UE non è il centro del mondo, anzi è solo un vassallo degli USA. In Francia il oroletariato è più vivace, ma ci vuole molto di più per aorire una prospettiva di cambiamento significativo del midello di società

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