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Il ruolo delle città metropolitane in “vista” delle elezioni

Nella primavera del 2021 si svolgeranno le elezioni comunali nelle cinque Città metropolitane più importanti del paese, Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli, che da sole contano più di 13 milioni di abitanti, praticamente un quinto del totale.

Un appuntamento elettorale importante – uno dei tanti in realtà, come periodicamente imposto dalla democrazia liberale –, occasione di scontro politico nei singoli comuni, ma che apre anche a una riflessione più generale sul ruolo i) sia della città nell’attuale modello socio-economico, ii) sia delle 5 città nella competizione che le vede protagoniste per il posizionamento gerarchico interno.

Sulla prima, numerosi contributi sono già apparsi su questo giornale (alcuni esempi su Roma, Torino, Bologna,  Milano), mentre la seconda ha assunto una valenza strategica a seguito del dibattito sull’autonomia differenziata, che coinvolge di conseguenza il ruolo delle istituzioni e come queste modellano il territorio in base agli interessi di classe.

La necessità “economica” delle città metropolitane

In una prospettiva storica, la seconda globalizzazione ha sancito il ruolo decisivo alla “città globale” come magnete strategico per l’attrazione dei movimenti di capitali, merci e persone, e dunque propulsore imprescindibile del ciclo economico.

La ristrutturazione produttiva partita negli anni Settanta, riassumibile nella delocalizzazione delle attività produttive e nella “terziarizzazione” e “finanziarizzazione” dell’economia, diede il là alla trasformazione della città come luogo per antonomasia della rendita finanziaria, del concentramento degli investimenti (sempre più multinazionali) e la conseguente “vocazione terziaria” del nuovo tessuto produttivo urbano, non più città fabbrica modello Torino-Fiat, quanto piuttosto città vetrina per turismo e grandi eventi (sportivi, industriali, politici ecc.).

Con la caduta del blocco sovietico, lo sviluppo delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict, nell’acronimo inglese) e l’entrata della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio, la mondializzazione del sistema produttivo ha subito un’accelerazione tale da ridisegnare per intero le filiere dell’ideazione, produzione, assemblaggio, distribuzione e consumo di una qualsiasi merce.

Filiere appunto, in sostituzione dei singoli distretti specializzati come conosciuti nello sviluppo a “macchia di leopardo” dell’Italia del boom economico. Le catene di produzione dell’iPhone o anche della “nostra” Nutella (nella foto) sono esempi classici della tendenza qui brevemente riportata.

Crisi e cambiamento alla luce della pandemia

Tuttavia, la pandemia in corso sta colpendo duramente la già manifesta crisi d’egemonia globale degli Stati uniti, ridefinendo ruoli, alleanze e priorità dei vari blocchi imperialisti in competizione, tra cui quello dell’Unione europea.

Ed è proprio nel lento quanto continuo processo di integrazione europea che va letta la partita delle suddette città metropolitane. In ballo c’è il posizionamento strategico nel processo di crescita internazionale del “polo europeo” (dal punto di vista produttivo, politico e militare), di cui i miliardi del Recovery fund si pongono come perno fondamentale per il suo modellamento.

Così come negli Stati uniti, per fare un esempio pratico, Washington, New York e Seattle svolgono una funzione specifica (rispettivamente, centro politico-amministrativo, finanziario e tecnologico), anche in Italia non è peregrino ipotizzare una gerarchizzazione funzionale agli interessi, dell’Unione più che nazionali, delle principali aree urbane.

D’altronde, la genesi dell’autonomia differenziata (ridiscussa peraltro due giorni fa in Parlamento) sembra suggerire uno sviluppo di questa natura.

Nuovo ruolo per le città metropolitane italiane?

In questo quadro dinamico e tutt’altro che definitivo, che ruolo quindi per Milano? Quale funzione per Roma, o Napoli ecc.?

Le ultime notizie su questo piano sono la candidatura di Milano come terza sede (in sostituzione di Londra) del Tribunale unificato dei brevetti dell’Ue, e di Torino come sede principale per l’Istituto italiano per l’intelligenza artificiale.

Nella nota diramata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, si legge che «l’obiettivo è creare una sinergia tra le due città e il Governo e allo stesso tempo consolidare l’asse nord-ovest del Paese», dove Milano «sarebbe al fianco di Parigi e Monaco nel compito di registrare le nuove scoperte e soluzioni ideate nel campo delle scienze umane e del farmaceutico», mentre Torino dovrebbe «diventare un punto di riferimento per lo sviluppo» dei «principali trend tecnologici (tra cui 5G, Industria 4.0, Cybersecurity)», centrali in settori come «manifattura e robotica, IoT, sanità, mobilità, agrifoood ed energia, Pubblica amministrazione, cultura e digital humanities, aerospazio».

Sulla carta dunque un’idea chiara di sviluppo per “l’asse nord-ovest” basata sulle nuove frontiere tecnologiche e sui prossimi settori in via di smantellamento del ruolo dello Stato, funzione peraltro complementare a quella assunta dal “nord-est” come subfornitore dell’industria tedesca.

Un doppio binario che sembra fare capo rispettivamente a Parigi e Berlino, con Milano già esempio di città guida smart & green proiettata al futuro, e Torino che dopo la sconfitta delle olimpiadi invernali (Milano e Cortina rifiutarono l’aiuto del Piemonte anche a vittoria acquisita) ritrova un ruolo, seppur subordinato, anche grazie all’importanza svolta dalla ricerca nel campo dell’industria bellica.

Alla luce di questa doppia candidatura, il Rettore della Sapienza Eugenio Gaudio si è espresso martedì sulle pagine de il Messaggero per riaffermare il diritto di Roma di avere «un’agenzia internazionale», necessaria per attrarre investimenti e talento umano.

«Basta fare gli interessi del Nord», ha detto Gaudio, portando a consuntivo le eccellenze nel campo della ricerca presenti nell’area della Capitale come i 18 atenei, il Cnr, l’Enea, il polo farmaceutico di Pomezia, quello scientifico di Frascati, e candidando Roma come centro di un’alleanza mediterranea per la ricerca scientifica (su cui la Sapienza ha già mosso alcuni passi).

È alla fin fine una questione di soldi, ossia di rapporti di forza tra nodi di una rete, almeno continentale, che si candidano ad assumere funzioni strategiche nella conformazione che verrà.

Il prossimo dibattito elettorale

Questi crediamo siano solo gli ultimi esempi del tipo di posta in gioco tra le aree urbane della penisola, oramai le “province del XXI secolo”.

Ed è su questa base che crediamo vada affrontato il discorso sulle città metropolitane, sfruttando la prossima scadenza elettorale.

All’oggi, pensare il ruolo di una città metropolitana fuori da quello che il paese svolge all’interno del “blocco europeo” nel contesto della competizione internazionale, o è ignoranza politica o un inganno elettoralistico.

La retorica sulla maggiore autonomia dei municipi, per esempio, risponde a queste ultime.

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