(seconda puntata), La città di Milano ormai non è più solo “vicina all’Europa”, ma sembra sempre di più essere già in Europa. L’ha messo nero su bianco il sindaco Sala nella sua intervista al Corriere della Sera dello scorso 24 gennaio[1]. Come sottolineato nell’editoriale di Sergio Cararo su Contropiano.org[2], “il processo di decentralizzazione e verticalizzazione dei poteri decisionali, delle forze produttive, delle alte tecnologie e dei servizi finanziari intorno al nucleo duro europeo, non ha devastato solo le condizioni di vita dei settori popolari ma anche i rapporti interni alla borghesia italiana, in particolare nel nord del paese”.
L’esigenza di concentrare e gerarchizzare i processi dentro l’Unione Europea, costringe l’Italia ad adeguarsi, ed il sindaco Sala ammonisce: se Milano non verrà assecondata nel prendersi il posto che le spetta in questa partita, sarà costretta ad agganciarsi direttamente al Centro europeo.
E’ stato in questi mesi sottolineato da voci diverse come la concentrazione della ricchezza nel nostro paese sia sempre più marcata, e questo dato ha il suo risvolto plastico a livello territoriale nelle regioni del Nord-est, vero traino produttivo ed economico di un Italia sempre più spaccata a metà.
Ciò che non tutti vogliono ammettere però è che questi processi hanno anche una conseguenza politica e istituzionale, che si manifesta con la più o meno esplicita candidatura di Milano a nuova capitale d’Italia sotto diversi aspetti, come invece evidenzia lo stesso Cararo in un’interessante dossier[3].
Considerare e leggere la vicenda del quartiere di Città studi non può quindi prescindere da questa cornice, dal ruolo che la città di Milano sta assumendo e quale partita sta giocando nello scacchiere nazionale ed internazionale.
Una città con questa idea e questo ruolo, deve adeguare anche la sua offerta formativa, la funzione dei propri atenei. Calzante in questo senso quello che ha evidenziato da Noi Restiamo nel lancio della assemblea nazionale “Dove stanno andando i nostri atenei?” lo scorso dicembre:
“salvare la formazione d’eccellenza aperta a pochi fortunati, formare giovani menti che sgomitano per essere spedite all’estero nei paesi core dell’economia europea, destinando agli esclusi un percorso di precarietà segnato tanto dalle riforme del lavoro, quanto dalla crisi sistemica e dalla disoccupazione, nonché dall’introduzione di nuove tecnologie […]. Il sistema dell’Alta Formazione riconosce ancora una centralità del pubblico, ma è evidente come nella cornice dei Trattati comunitari “pubblico” non sia sinonimo di “interesse collettivo per il bene comune”, ma sempre più esso agisca per conto terzi e, per restare nell’ambito che qui ci interessa, il pubblico stia cercando di collocare l’Università e la Ricerca nello stato italiano al posto loro assegnato nel puzzle ricomposto dai riassestamenti del sistema produttivo europeo”.
Non è un caso l’insistenza del rettore Vago, sull’irrepitibilità e imperdibilità data dall’opportunità del trasferimento da Città studi. E così ha fatto anche il candidato rettore De Luca, “delfino” di Vago, nell’iniziativa del 29 gennaio, ribadendo che la “straordinaria convergenza istituzionale” ha permesso lo stanziamento dei fondi per la ristrutturazione(un terzo del totale necessario), vincolandoli al trasferimento stesso; la retorica si è poi allargata, anche negli interventi degli altri candidati, alla necessità di mettere in sinergia dipartimenti, facoltà, laboratori, per rendere competitiva ed eccellente l’Università di Milano sul piano nazionale ed europeo.
Appare sempre più chiaramente quindi come in questo trasferimento si coniughi la ristrutturazione della città in forme sempre più funzionali al suo ruolo di centro direzionale, con l’adeguamento dei suoi poli universitari. Mettere le vaste aree attualmente occupate a disposizione della “riqualificazione” che sta già interessando da più di un decennio tutte le zone della prima periferia, rendendola “attrattiva” ad altri soggetti nazionali e internazionali; favorire l’ampiamento delle Università già di eccellenza del Politecnico e Bicocca; “fare spazio” a uffici direttivi di aziende, banche, finanziarie e altre multinazionali, negozi alla moda e locali per i nuovi yuppies in salsa italica; infine, perché no? coprire quell’enorme buco nero rappresentato dall’operazione EXPO, “il più grande successo della mia carriera” nelle parole di Sala.
Da tutti i candidati presenti al dibattito veniva rimarcata, più o meno esplicitamente, la necessità di integrare l’offerta formativa alle logiche di mercato, aumentare la collaborazione con i soggetti privati, far “guidare” la programmazione dell’ateneo da questi interessi. I problemi venivano individuati nella “modalità” con cui è stata portata avanti l’operazione, nella mancanza di consultazione delle varie componenti accademiche, di elaborazione di un chiaro piano di rilancio del quartiere che verrà abbandonato, e di un’eventuale piano B.
Nell’idea dell’establishment accademico infatti, ma anche nazionale ed europeo, la formazione non può avere altro ruolo che spingere per superare gli avversari economici e politici sul piano della competizione internazionale sulla ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie. Una logica che viene applicata anche al rapporto tra gli stessi atenei, in una gara alla produttività di cui l’ANVUR è l’esempio più evidente e il “boia” che determina l’erogazione dei fondi legandola alla “produzione” e al “merito” degli Atenei.
Sono linee guida che ritroviamo nei più importanti documenti europei in ambito educativo, fin dall’inizio degli anni ’90, e che immaginano questa ristrutturazione non “a caso” ma dentro un gioco in cui ogni ateneo deve avere e conquistare il proprio posto, negli equilibri di forza fra gli stati membri. Un gioco pesantemente condizionato se non blindato dai vincoli imposti al bilancio degli stati dalla stessa UE[4].
Tutto questo sembra essere in contraddizione con dichiarazioni come quella, ultima in ordine di tempo, di Mauro Gola, presidente degli industriali del cuneese. Gola sollecita le famiglie a far iscrivere i propri figli agli istituti tecnici e professionali, in sintesi: non crediate di poter studiare, ciò di cui le aziende hanno bisogno sono operai e tecnici. Il sistema formativo deve produrre i lavoratori di cui ha bisogno, e con le qualifiche di cui ha bisogno, non di più e non di meno[5]. Se questa dichiarazione va dritta al punto, in tale direzione vanno anche le decine e decine di articoli e dichiarazioni uscite negli ultimi anni da parte dei più diversi esponenti politici, giornalistici e imprenditoriali che insistono sull’inutilità di certi percorsi di studi, la necessità di incentivi alle imprese e ai corsi di formazione e master promossi dalle Fondazioni private; non ultimo passo in questa direzione l’inserimento dell’Alternanza scuola-lavoro nelle scuole superiori; e tornando a Milano, in questo solco si inserisce anche il tentativo, poi bocciato dal TAR, di introdurre il numero chiuso alle facoltà umanistiche della statale.
Due velocità insomma, una serie A e una serie B in tutti gli ambiti, dall’educazione al lavoro, all’interno del paese fra nord e sud, fra paesi. E’ questa l’unica, ineluttabile via individuata per il rilancio in chiave capitalistica nella durissima competizione internazionale dentro la crisi. “C’è lo chiede l’Europa”, “lo chiedono i mercati”. Una competizione devastante, in cui l’unica cosa certa è chi ne deve pagare i costi e le conseguenze: le classi popolari.
E’ chiaro che il tema della formazione sia quindi centrale nel panorama politico e proprio questo periodo di campagna elettorale si è aperto con l’iperattivismo della ministra Fedeli e le sparate demagogiche dei candidati dei maggiori partiti politici. Particolarmente ridicola quella di Grasso sulla riduzione delle tasse universitarie: lo stesso Grasso che negli scorsi cinque anni ha sostenuto il Partito Democratico nell’applicazione di tutte le linee guida che abbiamo ripercorso in questo articolo, accompagnate dalle politiche sul lavoro di cui il Jobs Act è il fiore all’occhiello[6].
In conclusione, bisogna essere contro l’eccellenza? Opporsi all’opportunità di ricevere dei finanziamenti straordinari, in un periodo di tagli e crisi? Non di questo si tratta, ma di spostare il piano del ragionamento dai paletti che ci vogliono imporre. Implementare analisi e comprensione dei fenomeni che stanno investendo la città di Milano e la ristrutturazione dei propri atenei dentro il quadro generale in cui ci troviamo. E’ fondamentale opporsi alla logica di fondo di questi processi, che portano a una sempre maggiore elitizzazione delle università da un lato, e nel caso di Città studi anche all’ampliamento di quella Milano roccaforte degli interessi internazionali e nazionali della borghesia e delle elite finanziarie, sulla pelle degli abitanti della città e delle altre aree del paese.
L’espulsione di sempre maggiori fette di popolazione nei quartieri dormitorio, in periferie degradate con servizi scadenti, costretti a percorrere notevoli distanze per recarsi al lavoro(quando c’è), si è materializzata nell’incidente ferroviario di Pioltello di pochi giorni fa, per fare un esempio. Così come la privatizzazione di ogni aspetto della vita sociale e dei servizi, l’impossibilità di accedere alle cure mediche, la chiusura e trasferimento dei presidi sanitari, l’annunciato aumento del costo del trasporto pubblico, e si potrebbe continuare.
Occorre da parte nostra rimettere al centro i bisogni dei nostri, di chi paga la crisi e il costo della competizione internazionale e dell’integrazione dell’Italia nell’Unione Europea, del salvataggio delle banche e dei favori al mercato e la finanza. E’ questo che si propone la lista Potere al popolo, e che si proverà a portare avanti cercando di interloquire con le numerose realtà di resistenza e di lotta che si trovano sul territorio.
Questo contributo non ha la pretesa di essere esaustivo né risolutivo, ma vuole provare a portare degli elementi di lettura e di dibattito riguardo uno dei temi che saranno al centro della campagna elettorale in alcune aree di Milano, e in generale all’intera città.
Con questo spirito andremo nei quartieri nelle prossime settimane, nei mercati rionali, alle fermate della metropolitana, a far conoscere ai nostri l’esistenza di questo soggetto non nuovo ma diverso, che con la sua forza ricompositiva si propone di rappresentare chi si è cercato di mettere a tacere.
Occorre ridare Potere al popolo!
[1] http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/18_gennaio_23/sala-se-l-italia-non-ci-segue-milano-dovra-rivolgersi-all-europa-2dc2e4c2-0083-11e8-9961-f20884a97d4b.shtml
[2] https://contropiano.org/editoriale/2018/01/26/la-borghesia-europea-sollecit…
[3] https://contropiano.org/news/politica-news/2017/02/20/1-vuole-spostare-la-capitale-milano-le-campagne-stampa-roma-capitale-089094
[4] http://www.eurostop.info/ad-un-anno-dal-no-nel-referendum-parte-la-campagna-lart-81-costituzione/
https://contropiano.org/news/news-economia/2018/01/06/problema-non-le-elezioni-quello-avviene-099379
[5] http://torino.repubblica.it/cronaca/2018/01/28/news/cuneo_gli_industriali_scrivono_ai_genitori_dei_ragazzi_delle_medie_abbiamo_estremo_bisogno_di_tecnici_e_operai_specializz-187464639/
[6] http://noirestiamo.org/2018/01/17/un-futuro-senza-ministro-fedeli/ ; http://noirestiamo.org/2018/01/08/taglio-sulle-tasse-universitarie-offre-…
la prima puntata Milano:trasferimento delle facoltà scientifiche aExpo
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