Il terzo congresso del People’s Democracy Party (PDP) si è tenuto domenica 14 maggio nella città di Gwangju, simbolo e memoria vivente della rivolta popolare del 5 maggio 1980 contro la dittatura sudcoreana e l’ingerenza statunitense. A distanza di cinque anni dalla fondazione del PDP, il Congresso ha visto la partecipazione di un centinaio di delegati regionali e di settore, dopo che negli scorsi due mesi la discussione è stata portata avanti a livello locale e nelle varie strutture del partito.
Il Congresso si è aperto con il messaggio di Anh Hak-sop, ex prigioniero politico e attuale membro del PDP con ruolo di consigliere politico, il quale ha evidenziato che il territorio della Corea è diviso “non a causa di una separazione tra le popolazioni ma a causa dell’invasione delle forze straniere” che hanno instaurato un “regime neocoloniale” nella Corea del Sud.
La presenza militare occidentale “ha deformato e distorto la Storia” del popolo coreano, inculcando nelle masse la propaganda governativa filo-statunitense. Il compito storico del PDP è di “lottare con ancor più determinazione e diventare il soggetto per la presa del potere” attraverso l’espulsione delle forze imperialiste e l’instaurazione di un governo unico per la Corea unificata.
Dopo aver ripercorso le campagne e le mobilitazioni di questi ultimi anni, è stato presentato il documento politico per la “nuova” linea del partito e la nuova fase che questi è chiamato ad affrontare. È stato sottolineato come l’obiettivo della crescita quantitativa e qualitativa dei militanti sia stato raggiunto, accompagnando gli ottimi risultati nell’organizzazione, nell’azione pratica e nella propaganda, così come sul piano del lavoro internazionale attraverso l’impegno diretto nella creazione della Piattaforma mondiale antimperialista.
Nel documento politico, all’analisi del contesto internazionale e nazionale, si accompagna la definizione di un piano tattico e strategico di lavoro per i prossimi anni. L’organizzazione è la chiave per sconfiggere l’imperialismo in una “nuova” lotta di liberazione nazionale e “portare avanti la responsabilità storica in quanto locomotiva della rivolta”, fino alla vittoria.
Il presidente Lee Sang-hoon ha evidenziato “la linea generale del PDP, ovvero la Teoria della Rivoluzione del 21° secolo, incentrata sulla centralità del popolo combinata con l’avanguardia scientifica, per costruire la politica per il popolo e dal popolo”.
Gli altri interventi sono stati di Jin Young-Ha, responsabile della “Commissione Lavoro”, e di Jeong Woo-Chul, membro del Comitato Politico di Seoul. Il primo ha posto l’accento sul lavoro svolto in questi anni per rafforzare il legame con la parte radicale della KCTU, nella quale sono attivamente impegnati membri del PDP, anche grazie alla creazione dell’ufficio sudcoreano della FSM-WFTU.
Il segretario di Seoul ha rimarcato il ruolo fondamentale della sezione per la sua attività nella capitale, in particolare sotto l’ambasciata degli USA e quella del Giappone, e lo scontro diretto con il governo del filo-statunitense Yoon Suk-yeol.
La Rete dei Comunisti, presente al Congresso del PDP insieme alle altre delegazioni internazionali, ha inviato un messaggio di salutò fraterno affinché l’impegno del PDP di organizzare le forze comuniste rivoluzionarie e la mobilitazione politica e sociale contro lo sfruttamento capitalista e la barbarie imperialista trovi pieno compimento.
In un contesto internazionale difficile e in una nuova fase storica come quella che stiamo vivendo, la determinazione del PDP, nonostante la dura repressione politica e sindacale interna e l’ingerenza politica e militare occidentale, rafforza la consapevolezza comune di continuare a lottare contro l’imperialismo euro-atlantico, cogliendo quelle contraddizioni necessarie per guidare la rottura politica e la trasformazione sociale.
A seguito del Congresso, i militanti del PDP hanno organizzato un presidio presso la base USA di Camp Humphreys a Pyeongtaek, dove gli Stati Uniti conducono d’accordo con il governo di Seul esercitazioni militari ed operazioni di ricognizione aerea. Si tratta di una delle più grandi basi statunitensi sul territorio della Corea del Sud, dove l’imperialismo yankee conta una cinquantina di basi e 40mila soldati.
La Corea del Sud, così come le Filippine, funzionano da avamposto strategico nella crescente tensione militare contro la DPRK e la Cina. Le provocazioni statunitensi nel mar cinese meridionale, in particolare nello stretto di Taiwan, e le minacce esplicite con la Corea del Nord, già isolata dalle sanzioni economiche unilaterali, rischiano di far precipitare la situazione in un nuovo conflitto che interesserebbe l’intero quadrante asiatico.
Nel corso degli ultimi anni, gli USA hanno agito, in maniera più o meno diretta, per affossare il riavvicinamento politico tra la Corea del Nord e la Corea del Sud iniziato con la “Dichiarazione di Panmunjom per la pace, la prosperità e la riunificazione della penisola coreana” dell’aprile 2018 e la “Dichiarazione congiunta di Pyongyang” del settembre dello stesso anno.
È notizia di questi ultimi giorni l’accordo con cui Washington ha di fatto ridimensionato le mire di sviluppo di un arsenale nucleare della Corea del Sud in cambio dell’assicurazione di avere voce in capitolo su un’eventuale risposta degli USA a un “possibile attacco” da parte della Corea del Nord. Come ribadito durante il presidio di fronte alla base militare di Pyeongtaek, l’unica garanzia di pace e riunificazione non può che essere il ritiro immediato delle truppe statunitensi e dalla fine delle operazioni militari congiunte sul suolo sudcoreano e nell’intera regione.
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