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Roma, Sabato 5 novembre. Cosa opponiamo al governo unico delle banche?

E’ ormai evidente che la crisi economica in corso segni un passaggio storico tra un prima e un dopo lo sviluppo capitalistico del dopoguerra. La crisi agisce asimmetricamente colpendo con maggiore forza le economie capitalistiche negli Stati Uniti e in Europa. La crescita delle economie dei Brics pare destinate a cambiare significativamente la mappa dei rapporti di forza a livello internazionale. Per il processo che ha portato all’Unione Monetaria e all’Unione Europea i cambiamenti si rivelano ancora più significativi; verso l’alto indicando una gerarchizzazione brutale dei poteri decisionali, verso il basso attaccando complessivamente le conquiste sociali e i diritti acquisiti dei lavoratori e dei settori popolari.

La causa fondante della crisi attuale, cioè la finanziarizzazione dell’economia capitalista avviata dagli Stati Uniti già dagli anni ’80, spinge non solo ad accentuare la competizione globale ma porta anche a processi di riorganizzazione complessiva interna alle aree economiche che riguardano i paesi coinvolti. Per l’Unione Europea questo è un passaggio ineludibile per sostenere il proprio ruolo internazionale. La tenuta dell’euro, la questione dei debiti sovrani (in realtà prodotti dal sostegno alle imprese, alle banche ed anche ai sistemi politici), il rafforzamento delle istituzioni finanziarie della Unione Europea, la nascita e concentrazione di holding europee, l’accelerazione sui processi di unificazione politica continentale ed infine il controllo ferreo sulla forza lavoro e le privatizzazioni, sono tutti aspetti complementari di un processo a carattere continentale.  

A questa ristrutturazione sottintende anche una ricomposizione delle classi dominanti e soprattutto dei poteri decisionali della borghesia europea. Questa tendenza è emersa allo scoperto con il ruolo che stanno avendo la Francia e soprattutto la Germania, le cui classi dominanti dettano i tempi e i contenuti delle scelte da fare, affermando una egemonia sull’Europa che non nasce tanto dalla politica quanto dai caratteri dei sistemi produttivi e dalla loro solidità, un aspetto questo su cui lo Stato non gioca affatto un ruolo marginale. La Germania è tra i principali esportatori ed ha mantenuto un ruolo centrale dello Stato, la Francia vede lo Stato impegnato in molte grandi imprese e possiede – diversamente dalla Germania – un apparato militare aggressivo (vedi la vicenda libica). Si tratta di elementi materiali che predispongono la nascita di una borghesia europea a prevalenza “carolingia”. Attorno a questo asse della governance sull’Europa, si vanno aggregando pezzi delle borghesie “nazionali” in declino – come quella italiana – nelle quali alcuni settori sono appunto destinati ad essere perdenti in questa ricomposizione di classe dominante a livello europeo.

Adottare il metodo dell’analisi di classe sulla situazione italiana rende ancora più chiaro il processo in atto. La debolezza dell’apparato produttivo italiano, ancora forte nell’export manifatturiero, fortemente frammentato ed ulteriormente disgregato anche dai processi di privatizzazione delle imprese e delle banche pubbliche prodotti dai passati governi del centro sinistra, si è rappresentata politicamente con il blocco sociale berlusconiano, blocco composto da settori sociali e produttivi quantitativamente pesanti sul piano elettorale ma debolissimi sul piano della progettualità. Le spregiudicate alleanze internazionali assunte negli anni passati (che hanno irritato sia gli Usa che l’Unione Europea), le posizioni demenziali della Lega e le tattiche opportuniste della Confindustria pronta ad accaparrarsi benefici senza mai pensare alle prospettive, sono li a testimoniarlo, e la “variabile Marchionne” ne è l’esempio più recente.

La borghesia italiana, che si conferma ancora volta come “stracciona”, arriva all’appuntamento storico con la crisi sistemica – che sta accelerando ed incrudendo i processi di unificazione europea – debole, divisa e senza alcun rapporto di forza da giocare con la Germania e con la Francia, anzi, pronta a dividersi e – per chi ne ha ovviamente la possibilità – a salire sul carro dei vincitori in posizione subordinata, In tal modo il nostro paese accede ai processi di unificazione europea da una condizione del tutto subalterna, da PIIGS appunto, collocando gli interessi collettivi in secondo piano rispetto a quelli predominanti. In termini più espliciti, e se ci è permesso anche storici, la nostra classe dominante si appresta ancora una volta a “tradire” non solo gli interessi dei lavoratori e delle classi subalterne ma anche quelli del “popolo” italiano, includendovi quindi i settori sociali che in questi anni sono stati la base sociale del governo Lega – Berlusconi.

Che le cose stiano in questo modo lo verifichiamo tutti i giorni con i diktat della Banca Centrale e dell’Unione Europea, con la totale subalternità del duopolio Berlusconi-Bossi, con il ruolo determinante del Presidente della Repubblica Napolitano (sull’economia, ma anche nell’aggressione alla Libia), con le posizioni del PD e di quella parte della borghesia, finanziaria e produttiva da questo rappresentata, pronta a salire sul carro del “governo unico delle banche” lasciando gli altri a piedi. Quando si attuerà nuovamente il “tradimento”, questo, paradossalmente, sarà realizzato da quel centrosinistra e da quella parte della borghesia “progressista” pronti a sacrificare gli interessi delle classi subalterne all’“interesse generale” della costruzione di una Unione Europea ormai gerarchizzata nei suoi ruoli di potere.

La crisi del blocco sociale berlusconiano ed il ruolo che il centrosinistra dovrà per forza assumere per tenere testa ai processi di centralizzazione europea, acutizzano il conflitto sociale ma aprono uno spazio politico con caratteristiche di classe che ha bisogno di una risposta. La risposta o dovrà venire da una sinistra coerente ed anticapitalista oppure potranno emergere tendenze più o meno reazionarie che non potranno che essere il mero riflesso della disgregazione che si prospetta per le classi lavoratrici e per il paese, e non solo per il nostro. Pensiamo che questa sia la sfida politica che oggi ci si pone davanti in modo chiaro. Dopo le sconfitte subite in questi anni, occorre capire qui ed ora come rispondere avviando un processo virtuoso di ricomposizione politica dei settori di classe.

Su questi temi la Rete dei Comunisti promuove per sabato 29 Ottobre a Roma una giornata di analisi e dibattito articolata in due momenti:

          Una prima tavola rotonda (la mattina) di analisi e approfondimento sui meccanismi economici, politici e istituzionali della crisi e della governance nei e sui paesi dell’Unione Europea. In queste settimane sono state avanzate proposte di mobilitazione sul non pagamento del debito, la nazionalizzazione delle banche, la fuoriuscita dall’Unione Monetaria europea, che hanno la necessità di essere approfondite e messe a confronto

          Una seconda tavola rotonda (il pomeriggio) sulle scelte politiche e le indicazioni di lotta con cui movimenti sociali e sindacali possono ingaggiare in Italia e in Europa la lotta aperta contro il governo unico delle banche.

L’invito, come è nostra abitudine, è quello ad un confronto di merito ed un dibattito che punti alla qualità dell’analisi senza la presunzione di arrivare subito a conclusioni da buttare nel mercato della politica.

La sede della giornata del 29 ottobre sarà indicata quanto prima

La Rete dei Comunisti

www.retedeicomunisti.org

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