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Siamo di nuovo in guerra, la sinistra con l’elmetto si arruola di nuovo

Per me questa volta è molto diverso, mi sento più coinvolto  dalla presenza di una famiglia di amici libici, ci sono tre  nonne, una pletora di bambini con le loro  mamme e poi ci sono loro, i tre fratelli, gli amici con cui ho trascorso l’infanzia. Persone semplici lontane dalla politica, come diremmo noi casa e famiglia.

Pensare agli effetti di un’operazione militare su persone che amo mi mette davanti all’incognita e alla preoccupazione per la loro sorte, oltre che per l’intera popolazione libica.

Che tipo di armi useranno in questa nuova operazione umanitaria? Dopo l’uranio impoverito, il fosforo bianco e le DIME al tungsteno che tranciano di netto le gambe  agli adulti e dimezzano i corpi dei più piccoli, cosa sganceranno i  militari della coalizione? L’industria dell’informazione è partita toccando i tasti sensibili dell’emozione: il dittatore che fa strage del suo popolo rende semplice, quasi ovvio l’intervento militare. Gli interventi militari fuori dai confini sono sempre stati motivati da questioni umanitarie, nel passato come nelle guerre più recenti, salvo poi tradursi in caso di vittoria in occupazioni militari durature.

Illuminante è l’esempio dell’invasione  delle Filippine da parte degli USA,  il cui obiettivo era la conquista delle vie commerciali di Cina e Giappone. Ovviamente il Presidente Mc Kinley ingaggiò la guerra con la Spagna  sostenendo le buone ragioni dei nazionalisti filippini guidati da Aguinaldo, che sbarcarono a Manila nel 1898 da navi USA. Sconfitti gli spagnoli, i nazionalisti diedero vita ad una repubblica democratica la cui  costituzione si richiamava alle rivoluzioni americana e francese. Ma il Presidente statunitense pensò: “Non potevamo abbandonarli alla loro sorte (sono incapaci di governarsi da soli: … Non ci restava dunque altro che prenderle (le Filippine N.d.A.) e educare i filippini, elevarli, civilizzarli e cristianizzarli”. Fu così che le trattative di pace  consegnarono  le Filippine agli Usa; ne seguì una durissima occupazione militare che costò circa un milione di morti alla popolazione filippina e si concluse formalmente nel 1946; ma di fatto ancora oggi c’è una forte presenza militare USA nell’isola. In una testimonianza dell’epoca scriveva il soldato americano Fulbright: : “La guerra in queste isole non è nient’altro che un gigantesco progetto di rapina e oppressione” .

Questa digressione per dire che da allora sono passati 113 anni,  e le recenti spedizioni in Iraq, Afghanistan, Somalia, e la guerra in Jugoslavia sarebbero dovute servire a conoscere l’imperialismo e le guerre che esso genera. Crimini rimasti senza colpevoli: non ci sono stati tribunali internazionali per chi ha condotto guerre sanguinose facendo uso di armi illegali, come Bush, Clinton, Sharon, Olmert, e, perché no,  D’Alema e con lui  quanti hanno sostenuto la teoria delle guerre umanitarie.

Ricordo le “cartoline” di Belgrado scattate dalla guerra umanitaria, ho visto l’ambasciata cinese, immersa in ampio parco, colpita da tre missili intelligenti dichiarati impazziti, ho capito lo sviluppo della tecnologia GPS osservando i resti della TV di stato nascosta da un avvallamento, incassata tra due palazzi ma devastata con chirurgica precisione dai razzi tomahawk,  caricati nella base militare di Aviano in Italia. Una generosità umanitaria e tecnologica profusa senza economia dalle forze ONU/NATO.

La macchina  del consenso della guerra dell’ ONU/ NATO, in queste ore, lavora a tutta forza per mistificare la natura predatoria della spedizione in Tripolitania, Cirenaica, Fezzan e nascondere all’opinione pubblica l’obiettivo di smembrare la Libia per accaparrarsi meglio le sue immense risorse energetiche, magari insediandovisi militarmente.

In molti casi c’è una lettura semplicistica e piatta dei movimenti popolari della sponda sud del Mediterraneo, delle proteste che in Tunisia ed in Bahrein hanno dimostrato caratteristiche più avanzate rispetto alla pur importante protesta egiziana.  Queste rivolte democratiche e popolari non potevano che  mettere in allarme Stati Uniti, Lega Araba e Unione Europea. Troppi interessi in ballo in una regione strategica, e in un periodo storico caratterizzato da una crisi economica che accentua le rivalità tra  i competitori internazionali. Le contromisure ad oggi messe in campo sono la repressione brutale come nel caso del Bahrein e dello Yemen, e il contrasto al forte movimento sociale e politico  come in Egitto e Tunisia.

La rivolta in Libia, invece, è apparsa sin dall’inizio come una guerra civile dove sono arrivate a contrastarsi militarmente due opzioni. Non sarò io a difendere Gheddafi, istrione arrivato buon ultimo alla corte dell’alleanza occidentale e garante per essa degli interessi nell’area, divenuto oggi, come Mubarak e Ben Alì, un personaggio di troppo.

La protesta popolare che ha investito anche la Libia ha facilitato la creazione di un momento topico. E’ sotto gli occhi di tutti la spaccatura e la ricollocazione  nel campo dei rivoltosi di pezzi importanti dello stato libico, dagli ambasciatori ad alcuni settori dell’esercito a uomini chiave dell’economia petrolifera. La protesta di una parte della società libica che richiede democrazia e la cacciata dal potere di  Gheddafi si è legata alle  rivendicazioni storiche e di clan della Cirenaica.

E’ un’opposizione composta da diversi filoni politici, con una simbologia che si rifà al regno corrotto e vassallo anglo-francese di Idris e che non potrà prendere il potere senza  il sostegno dell’UE e degli USA,  che, come per l’Iraq e l’Afghanistan, otterranno una cospicua contropartita in concessioni petrolifere e controllo militare del territorio; quindi bisogna sostituire l’attuale dirigenza libica con un’ opzione “democratica e rispettosa delle specificità e delle etnie”;  dividere su base etnica e cambiare tutto per mantenere i propri interessi; vecchi e consolidati  sistemi di dominio, da Giulio Cesare ad Obama.

Come non vedere nella presenza bellica dell’ONU/NATO in Libia una minaccia nei confronti dell’ondata di proteste popolari della Tunisia, dell’Egitto ed in futuro dell’Algeria?

Rispetto a ciò che sta accadendo in Libia, in Europa il cosiddetto popolo della sinistra è definitivamente entrato nel pallone, una situazione  costruita ad arte dai suoi dirigenti e da molte delle sue organizzazioni, colpite da sterilità cognitiva, da uno sconcertante opportunismo e da una visione eurocentrica e quindi  razzista. I leader della sinistra hanno portato le loro organizzazioni nel recinto delle compatibilità di gestione degli interessi nazionali, rendendosi  complici delle guerre umanitarie e della  democrazia  dei bombardamenti. Questo è il risultato di un’opera di lenta demolizione del pensiero internazionalista, che afferma e pratica il diritto all’autodeterminazione dei popoli e contrasta le proprie borghesie e l’imperialismo. Un’opera di mistificazione resa più semplice dagli agenti politici che operano all’interno del movimento democratico-pacifista e della sinistra, e arrivano fin sul  sito della  SEL, la compagine di Nichi Vendola, dove in una dichiarazione congiunta Martone, Musacchio Sgrena e Sentinelli sostengono: “Ora c’è una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che mette in campo una serie di misure, alcune delle quali (quelle economiche e negoziali, il cessate il fuoco e la ricerca di mediazione) devono essere perseguite con convinzione”. La necessità di imporre la risoluzione del Consiglio di Sicurezza è oggettivamente la premessa all’intervento militare, ma i quattro personaggi della  SEL fingono di non accorgersene e furbescamente proseguono: “Non condividiamo invece la parte più delicata (della risoluzione N.d.A.)  che riguarda l’imposizione della No fly zone e l’adozione di qualsiasi misura necessaria per proteggere i civili, giacché quella che si sta configurando in realtà è un’operazione militare in grande stile”. Questi quattro pacifinti sostengono la necessità della destituzione e del processo a Gheddafi e l’invio di caschi blu dell’ONU: cos’è questo  se non un sostegno all’intervento militare e alle posizioni  di Sarkozy? Nichi Vendola stesso non esclude in linea di principio l’intervento militare in Libia per fermare il massacro dei civili. «Dobbiamo lavorare -dice a margine di un convegno di Sinistra ecologia e libertà sulla giustizia- per impedire il massacro dei civili in Libia …».

Rimango poi  di sasso consultando il sito di Sinistra Critica dove trovo: La ‘no fly zone’ decisa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu avviene dopo che è stato concesso a Gheddafi di riprendere possesso di gran parte del territorio liberato (quindi secondo Sinistra Critica è una scelta tardiva N.d.A.), costringendo gli insorti di Bengasi e Tobruk – dopo aver esplicitamente rifiutato aiuti interessati per settimane – ad invocare ora comprensibilmente ….un aiuto internazionale di qualsiasi natura. Mettersi nelle mani dei generali NATO per Sinistra Critica è una scelta comprensibile; se non ci fosse una guerra di mezzo ci sarebbe da ridere.

Solo poche voci hanno condannato l’ingerenza all’interno della guerra civile libica e si sono dichiarate contro l’intervento militare imperialista; la natura imperialista dell’aggressione alla Libia appare chiara ai pacifisti americani di Answer che si sono mobilitati il 19 marzo in diverse città  americane scendendo in piazza per manifestare contro tutte le guerre ONU/NATO e USA nel mondo. Sottolineo la prontezza e la lucidità dei governi di Cuba e Venezuela che da tempo  hanno lanciato un allarme sulla possibile escalation del conflitto e sul rafforzamento del sistema di dominio imperialista attraverso la macchina della guerra. Non a caso sia Chavez che Fidel Castro chiedevano l’apertura di un dialogo che rispettasse il diritto all’autodeterminazione e disinnescasse l’arma della guerra ONU/NATO. A Roma, Milano e Bologna si stanno susseguendo le dimostrazioni contro l’aggressione militare alla Libia da parte delle forze coerentemente antimperialiste.

Molti di noi sono cresciuti con  i racconti dei vecchi compagni  sui “partigiani della pace” vetero-comunisti che nel secondo dopo-guerra combattevano contro la corsa all’atomica promossa dal Patto Atlantico. Storie che stridono molto con le posizioni collaborazioniste della sinistra intellettualmente dotata e con la erre moscia o sputacchiata dei nostri giorni. Nel movimento dei partigiani della Pace c’erano uomini e donne come Frédéric Joliot-Curie (premio Nobel per la chimica), Picasso, Aragon, Farge, Amado, Matisse, Ehrenburg, Neruda, Einstein. Tra gli italiani  Nenni, Vittorini, Guttuso, Quasimodo, N. Ginzburg, G. Levi, G. Einaudi, intellettuali e politici che comprendevano bene la natura dello scontro, interpretavano correttamente la battaglia per la pace che amplificavano grazie al loro ruolo di dirigenti e intellettuali. Continuo comunque a sentirmi figlio e nipote di questi uomini e donne,  e nemico dell’attuale sinistra con l’elmetto, sì nemico perchè non mi so definire altrimenti di fronte a chi sostiene le guerre di conquista ed il colonialismo occidentale.

P.S.: Mark Twain lanciava una provocatoria proposta: “E per quanto concerne una bandiera per la Provincia delle Filippine, si può facilmente risolvere. Possiamo farne una apposita: i nostri Stati lo fanno. Prendiamo la nostra bandiera normale, dipingiamo di nero le strisce bianche e al posto delle stelle mettiamo un teschio e le ossa incrociate“.

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