Venerdi ad Aversa e a Bologna, si terranno altre due iniziative della campagna “Mediterraneo mare di guerra” che la Rete dei Comunisti sta promuovendo in questi mesi nel tentativo di rimettere al centro dell’agenda politica le conseguenze del nesso tra crisi e guerra, in particolare nell’area mediterranea-mediorientale. La campagna ha inteso e intende coinvolgere altre realtà politiche o personalità che in questi anni – e soprattutto in questi mesi – non hanno esitato a schierarsi contro l’escalation della guerra umanitaria con cui l’alleanza tra potenze della Nato e petromonarchie del Golfo, stanno cercando di ridisegnare la mappa del Medio Oriente e del Mediterraneo Sud. Interessi convergenti e prospettive divergenti convivono dentro questa alleanza tra le maggiori potenze imperialiste dell’occidente e le potenze che paiono governare l’islam politico. “Una sorta di compromesso storico” lo definì in modo lungimirante due anni un comunista libanese. E’ difficile non vedere il nesso tra l’invasione/disgregazione della Libia, l’escalation in Siria, la repressione saudita in Barhein e Yemen e i tentativi di normalizzazione delle rivolte arabe lì dove sono state più impetuose (Tunisia, Egitto). “Evolution but not revolution” aveva decretato il Dipartimento di Stato Usa come sbocco obbligato della Primavera Araba. Ma da queste responsabilità è impossibile tenere fuori l’imperialismo europeo, in particolare di Francia, Gran Bretagna e Italia, che hanno condiviso l’aggressione alla Libia ed oggi condividono lo stessa prospettiva per la Siria. I movimenti che si oppongono alla guerra in questi mesi hanno dovuto fare i conti con due difficoltà. La prima è stata la rimozione della questione guerra dall’agenda politica dei movimenti o, peggio ancora, una complice inerzia verso le aggressioni militari come quella in Libia e la subordinazione nella lettura della crisi e della guerra civile in Siria. Le iniziative che ci sono state, seppur minoritarie, hanno però ostacolato l’arruolamento attivo di alcuni settori pacifisti nella guerra umanitaria creando una polarizzazione che in qualche modo ha esercitato un punto di tenuta di fronte alla capitolazione politica, culturale e internazionalista. La seconda difficoltà è stata quella di una lettura superficiale del nesso tra la crisi che attanaglia le maggiori economie capitaliste del mondo (Stati Uniti ed Unione Europea) e il ricorso alla guerra come strumento naturale della concertazione/competizione tra le varie potenze e i loro interessi strategici. Concertazione quando si tratta di attaccare e disgregare gli stati deboli, competizione quando si tratta di capitalizzare a proprio favore i risultati delle aggressioni militari. L’alleanza – non certo inedita – tra potenze occidentali e potenze dell’Islam politico ha rimesso in discussione molti schemi, a conferma che il processo storico è in continua mutazione e che limitarsi a fotografare la realtà senza coglierne le tendenze è un errore che rischia di paralizzare l’analisi e l’azione politica.
La campagna “Mediterraneo mare di guerra” in qualche modo intende socializzare alla discussione (e ad una azione politica conseguente) l’elaborazione che la Rete dei Comunisti ha costruito in questi anni sul versante di una analisi aggiornata dell’imperialismo del XXI° Secolo e del suo agire concreto dentro le contraddizioni deflagranti e ormai evidenti del mondo in cui abbiamo vissuto fino ad oggi. L’Europa, nella sua dimensione di Unione Europea come polo imperialista, ha perso la sua innocenza e sta ben dentro una partita tragica che ha avuto come prime vittime i popoli del Maghreb e del Medio Oriente e adesso si sta scatenando sulle classi popolari dell’Europa mediterranea, quella che i grandi gruppi capitalisti definiscono non senza manifesto disprezzo i Piigs. La guerra dentro questo scenario ormai ci sta tutta sia come distruzione di capitali in eccesso, sia come guerra valutaria ed infine come guerra guerreggiata. C’è urgenza di discutere tutto questo.
* Rete dei Comunisti
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