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Un governo di contafrottole

Che i governanti di tutto il mondo, nessuno escluso, amino “abbellire” i risultati della propria azione, è indubbio. Il problema è “quanto” quei risultati siano distanti dalla “narrazione”, e soprattutto quanto questa distanza può essere misurata dagli elettori.

In poche ore il governo Meloni ha preso due “musate” di rara chiarezza ed ha reagito nel suo stile standard: negare la realtà e darsi i pieni voti (è lo stile Trump, a livelli più stratosferici).

La prima figuraccia, diciamo così, è arrivata sul “caso Almasri”, il torturatore che nella Libia di Tripoli (il paese è diviso in due) gestisce il traffico dei migranti verso l’Italia sulle basi degli accordi firmati con i nostri governi (prima con Marco Minniti, ministro del Pd, poi con Matteo Salvini, ministro nel Conte I, confermati e sviluppati poi dai governi Draghi e Meloni), è stato arrestato su ordine della procura della capitale libica.

E’ universalmente noto che questo Almasri, ricercato per “crimini di guerra” con mandato di cattura dalla Corte Penale Internazionale (Cpi), era stato fermato in Italia il 19 gennaio di quest’anno. Invece di essere consegnato alla Corte de L’Aja – come da trattati internazionali firmati dal nostro Paese – era stato riportato a casa con tanto di aereo di Stato. Da uomo libero. Sorvoliamo sulle innumerevoli polemiche, le richieste della magistratura, ecc.

E’ evidente che la ragione addotta dal governo Meloni per giustificare il rilascio ossequioso di Almasri (liberarsi di un «soggetto pericoloso sul nostro territorio») non sta più in piedi… Quindi ha cambiato versione alla velocità della luce: “il governo era bene a conoscenza dell’esistenza di un mandato di cattura della Procura di Tripoli a carico di Almasri, già dal 20 gennaio 2025[il giorno prima del rimpatrio, ndr]).

Come dire che “sapevamo che prima o poi l’avrebbero arrestato laggiù”. Certo, per dieci mesi ha continuato a guadagnare sui migranti, torturando e uccidendo, ma che gliene frega al governo italiano che ce lo aveva in mano e avrebbe potuto consegnarlo alla Cpi?

Lasciamo agli specialisti l’aspetto legale (davvero la Corte Penale Internazionale può essere considerata “secondaria” rispetto alla procura di Tripoli?), resta il fatto che un criminale di guerra ricercato in tutto il mondo sia stato rimesso in libertà e in condizione di “continuare il lavoro”.

Nessuno, infatti, a gennaio 2025, poteva sapere che la situazione a Tripoli sarebbe cambiata, tanto meno come. Lì, per chi segue un po’ l’evoluzione “politica” locale, non c’è uno “Stato”, ma una serie di milizie che si combattono tra loro (obbiettivo: controllare i proventi del petrolio e del traffico di migranti).

A gennaio-febbraio Almasri era ancora il capo temuto di una di queste milizie. A maggio (quattro mesi dopo) viene sconfitto sul campo da quelle di Al Khali, e quindi passa da “boss” a paria. Altri quattro mesi e viene messo in una di quelle galere su cui prima “governava”.

Quindi: o nel governo Meloni siedono dei veggenti migliori del mago Otelma, oppure quella giustificazione (“lo sapevamo…”) è una pietosa menzogna.

Non è finita però qui.

Sapete anche che la “manovra” – ossia la legge di bilancio da approvare entro il 31 dicembre – è stata come sempre campo di battaglia tra interessi di partito, interessi di gruppi sociali “privilegiati” e vincoli imposti dai trattati europei. Il “miracolo” – espressione del ministro dell’economia, il leghista Giorgetti – sarebbe consistito nel trovare un equilibrio tra “tenuta dei conti” (per metter fine alla procedura di infrazione decisa dalla Commissione Europea), aumento delle spese militari (preteso da Trump) e un po’ di sconti fiscali “al ceto medio” (dice sempre Giorgetti).

Istat e Banca d’Italia, chiamati in audizione parlamentare, dati e calcoli alla mano (fatti da chi li sa fare, leggendo tra le righe di testi scritti per nascondere più che per chiarire), hanno stabilito l’esatto opposto.

Intanto l’impatto generale dei “benefici” non è superiore all’uno percento del reddito disponibile, ovvero molto al di sotto di quanto perso per l’aumento dei prezzi.

Ma soprattutto oltre l’85% delle risorse saranno destinate alle famiglie del 40% più ricco della popolazione. Di fatto: il 20% di famiglie più ricche riceverà 411 euro all’anno in più, appena 102 euro per il venti percento di famiglie più povere. Nulla agli “incapienti” (quelli che guadagnano così poco da non dover pagare le tasse).

Non è in effetti difficile da capire che se decidi sgravi fiscali in percentuale il risultato non può che essere questo: allargare la disuguaglianza tra chi ha di più e chi di meno. Non a caso, quasi 60 anni fa, i rinnovi contrattuali venivano fatti chiedendo aumenti uguali per tutti (in cifra assoluta, non in percentuale), in modo da ridurre quella forbice un po’ alla volta.

L’ostilità contro i poveri è confermata anche dalla prevista assenza di verifiche su eventuali aumenti contrattuali (si stanno rinnovando solo ora, fra l’altro, contratti che risultano già scaduti al momento della firma) cosicché, qualsiasi possa essere l’aumento concesso dalle imprese, lo sconto fiscale sarà a vantaggio di queste ultime più che dei lavoratori.

Ma è tutta la logica economica e politica della manovra che viene messa in discussione da un breve passaggio nell’intervento della Banca d’Italia (che non è certo famosa per “propensione al socialismo”…): “È improprio assegnare al bilancio pubblico il compito di recuperare il potere d’acquisto perduto dai lavoratori, soprattutto quando la redditività delle imprese può consentire che questo avvenga attraverso la contrattazione. In prospettiva, la crescita dei salari reali non può che essere sostenuta da un sistema di relazioni industriali ben funzionante e da un rilancio della produttività del lavoro (che si è ridotta di oltre un punto percentuale dalla fine del 2019)”.

La traduzione non ci sembra indispensabile, ma la facciamo lo stesso. I salari non sono sufficienti per sopravvivere dignitosamente, e gli aumenti ce li devono mettere le aziende, che hanno una redditività sufficiente per farlo; non è il governo che deve “grattare” un po’ di sconti fiscali per far entrare qualche spicciolo in più in busta paga. Mettendolo oltretutto a carico della contabilità generale dello Stato e quindi, in definitiva, sulle spalle di chi paga le tasse (notoriamente quasi soltanto i lavoratori dipendenti, che proprio non possono evaderle neanche volendo). Una partita di giro, insomma, e una presa in giro…

Difficile essere più bugiardi di un governo come questo. Foss’anche solo per questa ragione – ma ce ne sono decine di altre, ed anche più forti – ci vediamo i piazza per lo sciopero generale, il 28 novembre.

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