In questi vertici molto ma molto “riservati”, si è visto chiaramente come le multinazionali si stiano inserendo sul destino di Roma e intendono mettere “a valore di mercato” l’habitat metropolitano per milioni di persone.
All’IBAC, voluto e organizzato dalla Giunta Alemanno, oltre a quelli che si svolgono a Londra e a Shanghai, partecipano le più importanti multinazionali europee, nordamericane e asiatiche, con oltre 50 tra presidenti, amministratori delegati e membri dei consigli di amministrazione per discutere, come loro dicono, “delle prospettive di investimento e sviluppo offerte dalla città di Roma”.
L’ufficio stampa nel Comune di Roma nel suo comunicato di presentazione del meeting di quest’anno, avvenuto il 23 marzo 2012, dice testualmente: “lo sviluppo deve essere sempre meno legato alle risorse pubbliche e sempre più proiettato verso gli investimenti privati. Questa inversione di tendenza rappresenta una grande opportunità per la crescita”.
Non avevamo certo dubbi su questo, e i segnali c’erano già tutti, ma incontri internazionali di questo tipo e dichiarazioni di questo tipo, rendono esattamente tangibile, concreto, ciò che in Italia e nella nostra città si intende per sviluppo: regalare Roma alle multinazionali, in questa nuova visione delle città globali come luogo privilegiato della mondializzazione del capitale, e come queste le usano per i loro profitti nel tentativo di uscire dalla loro crisi, nel mettere in moto nuovi profittevoli meccanismi di accumulazione.
Non a caso i temi in discussione per lanciare il cosiddetto Piano Strategico di Sviluppo sono stati i grandi progetti di infrastrutture come Waterfront di Ostia, la cosiddetta riqualificazione di Tor Bella Monaca, il Museo della Città di Roma, lo SDO di Pietralata, lo sviluppo di infrastrutture a sostegno dell’attività terziaria come il nuovo Centro Congressi dell’Eur, il nuovo Centro Carni, il nuovo Mercato dei fiori, il Secondo Polo Turistico, l’aeroporto Fiumicino 2. Ma anche quelli sotto la voce rassicurante dello sviluppo sostenibile con ad esempio la riconversione del parco auto del Comune con vetture cosiddette ecologiche. Inoltre investimenti legati alle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione. Progetti che prevedono l’impiego di quasi 8,5 miliardi di euro.
L’IBAC è dunque la cartina di tornasole di come in questi ultimi anni il quadro si stia modificando, non comprenderlo sarebbe un grave errore. Quel “piccolo mondo antico” che ha imperversato nella nostra città e nel nostro paese, sta via via scomparendo, e a questo si sta aggiungendo un nuovo modo di concepire il profitto nella città.
Il capitalismo che si è espresso nel nostro paese fino a pochissimo tempo fa, ha mostrato tutta la debolezza della borghesia nostrana ascrivibile a retaggi storici, a molteplici difficoltà strutturali, alla difficoltà di agire come capitale unitario nazionale, a quella di non essere in grado né di interpretare né di adeguarsi ai mutamenti in atto derivanti dall’avvento dell’euro, dal completamento del ciclo di ristrutturazione del vecchio assetto fordista della produzione, dall’emerge di nuovi competitori internazionali. Un capitalismo fatto da prenditori, come li abbiamo più volte definiti, invece che da imprenditori, con la complicità dello Stato. Negli ultimi mesi, con l’affermarsi del modello Marchionne, la fine del blocco berlusconiano e la nomina del cosiddetto “governo tecnico” di Monti, stiamo assistendo al tentativo di una inversione di tendenza. La grande borghesia italiana punta ad agganciarsi alla grande borghesia europea, cioè quella che si è venuta definendosi con la costituzione dell’Unione Europea e dell’Eurozona, quella che sta definendo le nuove gerarchie continentali, che sta puntando oltre all’unione monetaria anche a quella politica.
Un ragionamento del tutto simile è possibile applicarlo anche a ciò che è avvenuto, e a ciò che sta avvenendo, nell’area metropolitana di Roma.
A partire dal secondo dopoguerra il capitalismo ha agito attraverso un alleanza tra patrimonio fondiario, capitale finanziario e imprenditoria edile. In questo contesto abbiamo assistito al protagonismo delle varie Caltagirone SpA e tutte le aziende satellite, la Società Generale Immobiliare di proprietà del Vaticano, il Gruppo Lamaro della famiglia Toti, la Impreme SpA della famiglia Mezzaroma. Un capitalismo che ha portato la sua azione fino ai giorni nostri trovando in Roma un area privilegiata assecondata da un sistema politico clientelare che andava a rimorchio della speculazione, e in accordo con essa.
Mettere a valore la città è da sempre una delle peculiarità del capitalismo. I gruppi capitalistici hanno sempre ritenuto che nella metropoli si vengano a creare le condizioni migliori per la valorizzazione del proprio capitale. Ma nell’area metropolitana di Roma, tale processo sta subendo un mutamento e una accelerazione impressionante.
Ma in questa passaggio i protagonisti non sono più soltanto i “palazzinari” che comunque continuano ad aggredire la nostra città con forza, sono entrate in campo anche le grandi multinazionali. Rimanere ancorati ad una analisi che individua soltanto nei vecchi meccanismi dell’azione del capitale, significherebbe privarsi della capacità di individuare nella competizione globale tra e nelle “città globali”, anche in quella di Roma, il nuovo agire del capitalismo italiano e soprattutto internazionale, privandosi, di conseguenza, anche della possibilità di una azione politica che ne contrasti i meccanismi.
E’ per questo che come Rete dei Comunisti abbiamo voluto organizzare il Forum “LA METROPOLI COME MERCE Multinazionali e poteri forti all’assalto dell’area metropolitana di Roma” che si terrà a Roma il 16 giugno 2012 al Centro Congressi Cavour e dove metteremo in discussione alcuni quesiti.
Di fronte a questo è possibile porsi nell’ottica della governabilità, se pur in chiave progressista, di tali processi? Il tentativo di compatibilità, di coniugazione con gli interessi sociali, è realizzabile o è puramente illusorio? Come è possibile invece attivare processi di opposizione capaci di ridare protagonismo ai settori popolari e di classe? E come questi possono imporre nuovi modelli di sviluppo basati su investimenti a carattere sociale, di pubblica utilità e di pubblica proprietà, finanziati da un credito pubblico? Come è possibile attivare un processo di sedimentazione dell’opposizione sociale in una visione unificante delle lotte e del conflitto? Ne parleremo sabato 16 giugno.
* Rete dei Comunisti – Roma
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