Dovrebbe essere sufficiente ai sionisti, capaci di coprire tutte le sponde, quelle di destra, quelle di centro e quelle di sinistra, leggere quanto viene scritto sui giornali israeliani sulla minaccia, all’apparenza sempre più concreta, di un attacco all’Iran, per essere almeno più prudenti nelle manifestazioni di una islamofobia, sempre più allucinante, e nel loro cieco sostegno a un governo di criminali di guerra come quello israeliano.
Non ci interessa entrare qui nella discussione infinita sulla probabilità che un attacco israeliano si verifichi, domani, dopodomani, tra qualche mese, prima o dopo le elezioni americane. Rimane a nostro parere del tutto valido quanto scritto da Giorgio S. Frankel nel suo L’Iran e la bomba, DeriveApprodi 2010, sull’atomica più lenta della Storia, un sistema escogitato da Israele per mantenere alta la tensione, in Medio Oriente, dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
Ci interessa invece sottolineare l’assoluto silenzio che accompagna le dichiarazioni dei sostenitori della licenza israeliana e occidentale di aggredire e di uccidere.
Il silenzio dei difensori a oltranza dei cosiddetti valori occidentali (in che cosa consistano e dove siano conservati è sempre più misterioso) sostituiti dalle killing lists di Obama, dalle numerose Guantanamo e dall’elenco senza fine delle barbarie e dei crimini che vengono commessi in nome della democrazia.
Israele è uno stato coloniale di insediamento che ha come obiettivo di completare la pulizia etnica della Palestina iniziata nel 1947. A questo scopo è necessaria una guerra del terrore permanente. Nonostante l’immagine di modernità che tenta in ogni occasione di vendere, la guerra e il terrorismo sono la base della coesione della società israeliana. Le minacce di guerra hanno sempre avuto anche una funzione interna. Sono, in questo periodo, una risposta al malessere di una piccola borghesia impoverita che ha protestato nei mesi scorsi senza mettere in discussione il regime sionista, ma che è sensibile alle sirene del nazionalismo. Il messaggio è sempre lo stesso: Israele deve difendersi da minacce esistenziali e quindi si può permettere ogni crimine.
Gideon Levy ha paragonato recentemente, sul quotidiano israeliano Haaretz, lo Stato di Israele alla mafia, sottolineando però la sua incapacità di passare dalla fase iniziale di violenza brutale alla fase in cui entra in società indossando guanti bianchi.
Lo stesso sta accadendo in Siria.
Dovrebbe essere sufficiente agli esportatori di democrazia, di destra, di centro e di sinistra, leggere l’ultimo articolo di Bernard-Henri Lévy, apparso e subito scomparso dal Corriere della Sera del 16 agosto, La fine di Assad – Aleppo come Bengasi L’Occidente intervenga, per rendersi conto di quali siano i reali obiettivi del neocolonialismo occidentale in Medio Oriente, dopo le vicende degli ultimi anni e non solo.
In particolare dopo la liberazione della Libia.
“I dittatori non prendono vacanze!, esordisce il Lévy, per poi porsi ben 7 domande:
bisogna intervenire? Come intervenire? Che tipo di intervento? Chi per questo intervento? Quale ruolo ha la Francia in tale contesto? E, al di là della Francia, L’Europa? Quello dell’iniziatore, del facilitatore, dell’architetto? La voce della Francia è ascoltata. La Francia gode, nella regione del prestigio che la sua azione in Libia le ha dato (sic!). C’è il rischio di un incendio esteso alla zona circostante? E il dopo Assad?”(1). Questo il florilegio delle intenzioni bellicose del noto intellettuale francese, che, è bene ricordarlo, è aduso a sostenere che l’esercito israeliano non è solo il più morale del mondo, ma anche il più democratico.
Ma il discorso va oltre le vicende mediorientali. Chi ha bisogno di una guerra in queste circostanze storiche? Il finanz-capitalismo non riesce a uscire dalla spirale di distruzione delle risorse mondiali, è avvitato su sé stesso in un percorso suicida e omicida. Ha bisogno di una guerra per ristabilire un equilibrio a suo favore.
Dovere morale e politico di quanto rimane della coscienza democratica del paese è di denunciare, immediatamente, i pericoli imminenti e di mobilitarsi prima, e non dopo, che una nuova guerra di dimensioni imprevedibili renda la protesta un
inutile alibi.
Il coordinamento di ISM-Italia
19 agosto 2012
(1) www.lemonde.fr/idees/article/2012/08/14/des-avions-pour-alep_1745994_3232.html
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