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Qualcosa sta cambiando

Vanno sicuramente raccolte le sollecitazioni avanzate da Dante Barontini nell’articolo, dei giorni scorsi, quando dice Occhio alla scopa che pulisce l’immondizia.
L’editorialista di Contropiano prova ad indicare le sostanziali novità, di ordine teorico e concreto, che si possono estrapolare dalle attuali dinamiche che il processo di costruzione/sedimentazione della borghesia multinazionale europea sta squadernando ad ampio raggio con le relative conseguenze avvertibili, seppure in maniera differenziata, nei vari quadranti nazionali.
Finalmente abbiamo letto una interpretazione di alcuni fenomeni (le variegate forme di grassazione, corruzione e di affarismo) le quali vengono collocate – sia per quanto attiene la genesi ma, soprattutto, per la loro evoluzione strutturale e financo giudiziaria – dentro un contesto che registra la palese accelerazione dei processi di concentrazione del capitale che stanno avvenendo a scala continentale.
Una possente dinamica di concentrazione che coniugandosi con l’altra speculare ed importante funzione – quella che afferisce alla centralizzazione di capitali – segna marcatamente l’attuale stadio del capitalismo europeo, nell’ambito della competizione globale internazionale, dentro un corso della crisi generale che non ammette titubanze e diluizioni nelle strategie di governance.
Infatti, e non è ridondante ricordarlo specie nei confronti di una sinistra sempre più subalterna e priva di autonomia, questo sommovimento continentale conferma tutte le caratteristiche della forma imperialistica, aggiornata, però, alla maturità del capitale del ventunesimo secolo, con cui si è costruita l’Unione Europea e le sue articolate istituzioni.
A questo punto è utile riandare con la memoria a quel 1992 italiano (Mani Pulite – Tangentopoli) dove l’intera operazione di smantellamento del vecchio ceto politico e di alcuni partiti storici non fu, esclusivamente, il risultato di un vecchio equilibrio che saltava (la fine della guerra fredda e della contrapposizione Est/Ovest) ma fu – sostanzialmente – il tentativo di settori importanti del capitalismo tricolore di superare alcuni lacci e lacciuoli derivanti dal vecchio compromesso politico e da una architrave societaria non più confacente all’incipiente globalizzazione di capitali e dei mercati che avanzava potentemente.
Oggi – anno 2012 – cinque anni dopo lo scoppio della cosiddetta bolla speculativa proveniente dagli States, assistiamo ad una rinnovata accelerazione, di parte capitalistica, di alcuni processi mai sopiti che, da Bruxelles e da Francoforte, riverberano, con effetti rovinosi, in tutto il continente.

Una fondamentale questione di metodo e di sostanza politica.
In tale contesto, confermato dalle cronache di queste ultime settimane, ci sembrano fuori tempo massimo tutte le interpretazioni che non riescono a fare i conti con queste sostanziali novità le quali – e lo diciamo con grande senso di responsabilità – presentano caratteristiche inedite rispetto alla passata storia del capitalismo ma anche nei confronti delle esperienze consumate dalle vicende del movimento operaio a scala globale.
Attardarsi, dunque, come spesso ci capita di assistere, in atteggiamenti che immaginano – in Italia come altrove – mitiche e lineari contrapposizioni di classe, pensare ad una purezza dei soggetti sociali e ad una loro immediata tracciabilità sociale e ritenere che basti un semplice appello alla lotta per riaccendere un conflitto che, da troppo tempo, langue ci sembra un inutile e rituale esercizio di retorica che non ci aiuta nella funzione che aspiriamo a svolgere da militanti politici.
Sempre più intravediamo che il compito che quel segmento politico – quella sorta di linea di condotta anonima ed impersonale – definita borghesia multinazionale europea si appresta a completare un obiettivo proibitivo ma vitale per essa stessa: omogeneizzare a tutti i costi un ‘Europa che è strutturalmente molto eterogenea (Mittel-Europa da un lato, Europa mediterranea dal l’altro).
Un continente che, mentre continua ad essere una giungla di nazionalismi, va pullulando giorno dopo giorno di sub-nazionalismi, regionalismi, localismi, che rendono le forze centrifughe sia sul piano generale che all’interno dei singoli stati (si pensi al Belgio, alla Spagna ma anche alla nostrana Italietta al di là delle vicende della Lega Nord), non meno forti di quelle opposte. Una sfida i cui esiti definitivi sono lungi dal prospettarsi in maniera compiuta e definitiva.
Inoltre dietro la rigenerazione dell’Euro e dei suoi dispositivi ma, soprattutto, negli intenti programmatici della borghesia multinazionale europea c’è l’inasprimento mondiale della concorrenza e della centralizzazione dei capitali, c’è il riaccendersi della storica inimicizia tra Europa e Stati Uniti (il che significa, in prospettiva e non in tempi brevissimi, una nuova guerra inter-imperialistica) e c’è l’azione chiara e palese di conseguire una ulteriore svalorizzazione del lavoro e della democrazia.
Vanno quindi comprese – fuori ed oltre ogni imperante mistificazione – le bordate politiche e giudiziarie (alcune palesemente costruite in laboratorio…) contro lo statalismo, il burocratismo, e addirittura il “feudalesimo transnazionale”, in nome dell’affermazione del massimo di liberalismo, di flessibilità e di esautoramento di ciò che residua del vecchio welfare/state da imporre a partire dai paesi ritenuti “più deboli” dell’Euro zona.

Attestarci ad una nuova soglia analitica e ad una battaglia politica e culturale più avanzata.
La complicazione che la borghesia europea si trova davanti è che per attrezzarsi alle sfide della globalizzazione e tanto più a quelle di un nuovo scontro diretto con gli USA, saranno inevitabili un passaggio di nuovi sacrifici.
I vincoli sostanziali e formali posti dal corso oggettivo della crisi sono questi, non altro, e non si voglia dare ad intendere, come ancora si attardano, in maniera spudorata, alcuni sinistri o, anche, forze della destra razzista ed isolazionista, che sia possibile una Unione Europea permeabile da istanze progressiste e sociali.
Questa è una buffonata o, nel migliore dei casi, una illusione allo stato puro, perché nessuna Europa sociale pre1975 (se proprio vogliamo indicare una data simbolo nel processo di ingarbugliamento/inceppamento della crisi capitalistica) è rieditabile.

Nessun reale riformismo operaio o qualsivoglia opzione socialdemocratica avrà spazio nel nuovo contesto unitario che sta emergendo in questi ultimi mesi. Nessuna Europa Sociale conoscerà la concreta realtà dei fatti e delle cose!

Ci piaccia o meno ma nell’ orizzonte politico posto dinnanzi a noi saranno possibili solo nuovi arretramenti della condizione proletaria, l’ulteriore consunzione di un modello sociale tra i più avanzati del capitalismo ed una pericolosa tendenza all’inasprimento di tutti i fenomeni di contrapposizione e di competizione (al ribasso) tra i ceti popolari e subalterni investiti dalla crisi e dalle ricette partorite dagli strateghi dell’Unione Europea.

Del resto il grado di capitalizzazione delle imprese italiane, spagnole, greche, portoghesi è, in massima parte, al di sotto della media europea, l’inefficienza della burocrazia e l’onere del debito di questi paesi sono piombo nelle ali per le aspirazioni di una borghesia multinazionale europea che aspira ad un ruolo non più condizionabile dalle zavorre particolari.

Con questo dato immanente dobbiamo fare i conti predisponendoci ad una comprensione più approfondita delle novità in atto e ad una attitudine militante capace di orientarsi nelle innegabili difficoltà che tale situazione ci consegna.
Non abbiamo – al momento – bacchette magiche in grado di far lievitare, da subito, le necessarie controtendenze in grado di porre un deciso stop a questo tornado antisociale.
Non è questa la sede per una disanima particolareggiata dei limiti e delle responsabilità, storiche ed immediate, di una sinistra europea che non è stata capace di comprendere i mutamenti in corso ed elaborare quei correttivi politico/pratici che avrebbero permesso, quanto meno, di far pagare al capitale europeo costi politici e materiali alti.

Si pone, comunque, una esigenza di comune riflessione e di bilancio critico ed autocritico, non più scansabile, da parte di quanti non vogliono abdicare ad un ruolo positivo, espansivo e ricombinante dei processi di organizzazione autonoma ed indipendente del conflitto (vedi l’articolo https://www.contropiano.org/it/news-politica/item/11478-lassordante-silenzio-delle-piazze-in-italia )

Ci consola, però, il vento fresco che continua ad arrivare dalle piazze di alcune città europee in cui si mostra, con coraggio e determinazione, una variegata composizione di classe che reclama reddito, diritti e dignità anche attraverso un uso intelligente e creativo di una rabbia degna che è sinonimo di vita e non un astratto atto estetizzante.
Un anelito di lotta che ci conferma che il capitale resta – anche quando allude ad una possibile forma di stabilizzazione moderata – l’apprendista stregone che abbiamo avuto modo di scorgere in altri risvolti storici.

* Rete dei Comunisti

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