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La stoffa del PD, la pelle delle nuove generazioni

I risultati delle primarie del centro sinistra e il dibattito sul ballottaggio tra i due contendenti usciti dalle urne, stanno facendo calare il sipario sulla notizia della bandiera del PD incendiata di fronte al Comune di Pisa. Un evento, quello delle primarie, salutato come “trionfo della democrazia e della politica”, alla luce del quale l’episodio della bandiera bruciata si stempera, nella migliore delle ipotesi, come increscioso evento marginale, nella peggiore come vergognoso gesto antidemocratico e simil-sovversivo.

La domanda che ci poniamo e proponiamo è se quelle fiammelle appiccate a una bandiera non abbiano illuminato quel che da anni si tenta di nascondere con fuochi e fiamme ben più potenti, veri e propri fari che guidano, come nella novella del pifferaio magico, milioni di persone a scegliere oggi tra rottamatori o rottamandi.

Ci domandiamo se chi ha speso due euro per mettere la propria scheda nell’urna abbia letto i programmi di Bersani e Renzi, in concorrenza per dirigere un partito che si è fatto garante “senza se e senza ma” del governo Monti, ora in competizione su programmi ancor più liberisti e antipopolari rispetto alle manovre da macelleria sociale proposte dai “professori” e approvate con i voti del PD insieme a PdL, UDC, FLI eccetera.

La domanda è platealmente retorica e non intende offendere le intelligenze di chi ha deciso di cimentarsi in quello che riteniamo un surrogato di partecipazione democratica, non a caso di “importazione” statunitense.

La crisi sistemica del modello capitalistico è maturata in un contesto nazionale nel quale il ceto politico dominante è in fase di decomposizione/ricomposizione, determinando fenomeni inusuali ed apparentemente contraddittori, di polarizzazione intorno al “meno peggio” tra i vari personaggi politici, a nuove forme di populismo, oppure, nella migliore delle ipotesi, a una disaffezione di massa rispetto al rito elettorale, reso inutile dai diktat della Troika (BCE,FMI,CE) che impone premier e politiche a prescindere dai risultati delle urne, per cui in Italia a Monti deve succedere Monti e/o le sue politiche economiche.

Le fiamme alla bandiera hanno simbolicamente illuminato, agli occhi dei più accorti, questa realtà inoppugnabile, chiarendo attraverso un gesto forte di quale stoffa sia fatta la politica del Partito Democratico, a livello nazionale e locale.

Che il gesto sia stato fatto da giovani, sulla pelle dei quali si stanno costruendo politiche di precarietà permanente, di lacrime e sangue, ci pare naturale, fisiologico.

Un gesto di visibilità e di democrazia diretta, in un paese nel quale per far emergere il proprio dramma sociale si è costretti a bruciarsi vivi di fronte al Parlamento o a minacciare di staccare la spina di respiratori salvavita, come nel caso dei malati di SLA.

Meglio che ad ardere siano le bandiere dei partiti responsabili di queste politiche, le leggi Monti/Fornero e i patti di un’Unione Europea antipopolare e neo imperialista, piuttosto che i corpi di lavoratori, di giovani o di malati terminali ai quali si toglie ogni speranza.

Se s’intendono salvare le bandiere basta cambiare totalmente le politiche, ottenendo risultati ben più significativi rispetto alla salvaguardia di pezzi di stoffa. Purtroppo non ci pare questo l’orientamento del gruppo dirigente del PD, autocandidatosi a paladino delle politiche di Monti e del montismo prossimo venturo.

Le lotte di questi mesi, in Europa e in Italia, ridanno una prospettiva collettiva a milioni di soggetti, spesso soli di fronte alla ferocia delle politiche anticrisi.

Un movimento da sostenere e da difendere senza indugi, contro gli attacchi di chi mette all’indice gesti simbolici o espressioni di legittima rabbia, al fine di criminalizzare le lotte e nascondere le proprie, gravi responsabilità politiche nell’opera sistematica di distruzione di diritti, servizi, garanzie sociali, posti di lavoro.

La Rete dei Comunisti è al fianco di queste lotte e movimenti, senza se e senza ma.

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