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Università e conflitto di classe. Le connessioni possibili

Le mobilitazioni studentesche nelle ultime settimane si sono indubbiamente intensificate e radicalizzate. E’ finalmente emersa (o riemersa) la rabbia della nostra generazione, oramai condannata in maniera conclamata  a non avere prospettive future degne.
La crisi del capitalismo, prima latente per diversi decenni, poi esplosa nel 2007,  si acuisce sempre di più e non vi è alcuna via di uscita, se non la distruzione progressiva di forze produttive (fallimenti aziendali, dismissioni industriali, perdita di posti di lavoro, ecc), con il conseguente impoverimento di fasce sempre maggiori di popolazione.
In tal senso vanno le politiche di austerità che unitariamente (anche se con qualche piccolo distinguo)  i tre principali organismi finanziari sovranazionali imperialisti, ovvero l’Unione Europea, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, stanno imponendo oramai non più solo ai paesi del cosiddetto terzo mondo, ma anche a quelli a capitalismo maturo; come si sa, in Europa sono finiti “sulla graticola” in maniera particolare i cosiddetti PIIGS, fra cui l’Italia. Il tutto, naturalmente, non accenna nemmeno ad aprire nuove prospettive di sviluppo, ma serve solo a porre rimedio (senza possibilità di avere successo a breve-medio termine) alla crisi di valorizzazione dei grandi capitali europei e mondiali, che è accompagnata ad un intenso processo di centralizzazione e di inasprimento della competizione globale, sull’altare della quale vengono giustificate le oramai ventennali politiche di smantellamento del welfare e , in particolare,dell’Istruzione Pubblica; tali politiche, se in precedenza, quando la crisi era ancora latente, avanzavano in maniera relativamente lenta, ora, con l’esplosione di essa, stanno ricevendo un’accelerazione costituente, incarnata in Italia dal Governo Monti, diretta emanazione dei grandi monopoli finanziari.
Tornando all’ Istruzione Pubblica, essa, a seguito delle imponenti mobilitazioni che hanno avuto luogo negli anni ’60 e ’70, è giunta ad avere, nei decenni successivi, un carattere relativamente di massa; tuttavia, tale tendenza si è progressivamente invertita da circa 20 anni. Dall’inizio degli anni ’90, infatti, si è succeduta una serie di leggi, molte delle quali imposte dall’Unione Europea,  promulgate  da governi sia di centrodestra sia di centrosinistra sia dell’ultima fase del “pentapartito” , volte a definanziare l’Università Pubblica a beneficio di quella privata e ad introdurvi elementi di aziendalizzazione,  con lo scopo dichiarato di privilegiare la concorrenza fra Atenei, cui è stata concessa l’autonomia; gli effetti sortiti sono: una divisione di classe nella componente studentesca fra le varie Università, che si vanno dividendo fra istituti di serie B, utili ai padroni a scaricare i costi della formazione di base, e istituti riservati alle elite ricche e l’enorme aumento delle cricche baronali.
In sostanza, sta venendo meno ogni funzione sociale dell’Università e ogni suo carattere di massa; è la selezione di classe che la fa da padrone. In questo senso, i dati sulla diminuzione delle immatricolazioni parlano chiaro.
 Si aggiunga che, in parallelo alle tendenze descritte riguardo l’Università Pubblica, si sta verificando il processo di progressiva precarizzazione del mondo del lavoro (cui è stata piegata anche la didattica universitaria, con l’introduzione dei crediti e del il 3+2) e allora si capisce bene l’origine delle proteste studentesche che periodicamente esplodono dando vita a dimostrazioni di sacrosanta e degna rabbia.
Tuttavia il problema delle nostre mobilitazioni sta proprio qui: ci si ferma spesso alla rabbia e non vi è alcuna parola d’ordine o base programmatica minima per sensibilizzare masse crescenti di altri studenti e sedimentare il conflitto. Inoltre, vi è scarsa coscienza (al di là delle enunciazioni di principio) della necessità di saldare le lotte studentesche con quelle dei lavoratori.
A questo proposito, riteniamo che le strutture politiche che animano il movimento studentesco devano finalmente iniziare a dare contenuti politici concreti alla loro protesta, redigendo una serie di rivendicazioni, anche minime, riguardanti, ad esempio, il tema del Diritto allo Studio, che nelle condizioni attuali è ridotto ai minimi termini e tocca in maniera diretta le condizioni materiali di molti studenti.
Siamo consapevoli che del carattere assolutamente parziale e transitorio che  possono avere le rivendicazioni minime, stante l’attuale situazione di persistenza del capitalismo, seppure in piena fase putrescente e, soprattutto, senza possibilità di benché minima mediazione sociale. Tuttavia, come già rimarcato, siamo convinti che anche solamente pretendere il rispetto di diritti in parte garantiti in passato (e anche attualmente garantiti in altri paesi capitalistici in crisi) sia essenziale per dare finalmente un volto politico alle mobilitazioni e aprire la strada alla sedimentazione del conflitto e all’elevazione della coscienza media degli studenti appartenenti alle classi disagiate. Oltre a ciò, le istituzioni ed i rappresentanti politici della borghesia verrebbero messi inequivocabilmente di fronte alla loro responsabilità di non essere capaci di garantire diritti dovuti in un sistema liberal-democratico e strati maggiori di opinione pubblica inconsapevole o confusa potrebbero rendersene conto ed elevare anch’essi il loro livello di coscienza.
In concreto, i punti di rivendicazione più immediati che abbiamo individuato, senza pretendere ion alcun modo di essere esaurienti, sono i seguenti:
-gratuitità assoluta dell’istruzione universitaria, eccezion fatta per gli studenti dai redditi più alti e dai possedimenti più cospicui;
-abolizione delle barriere all’ingresso dell’Università (quiz di ammissione);
-servizio mensa gratuito garantito per tutta la “popolazione studentesca”;
-spazi-studio garantiti in numero congruo in rapporto con il numero di studenti di ciascuna sede universitaria;
-alloggio gratuito garantito a tutti i fuorisede, utilizzando anche le milioni di case sfitte o abbandonate che non vengono utilizzate;
-restituzione dell’Università agli studenti, con possibilità di tenerla aperta in fasce orarie più estese di quelle riguardanti la didattica e di utilizzarla, così, come luogo di discussione e aggregazione sociale;
-istituzione di assemblee studentesche autogestite con compiti di controllo diretto sull’operato di tutte le istituzioni universitarie o che hanno a che fare con l’Università; è necessario sostituire con un tale sistema le attuali rappresentanze studentesche vuote, inutili, se non dannose.
Come si vede, sono tutte rivendicazioni non massimaliste, ma riguardanti diritti interni  anche al quadro costituzionale dato nel nostro paese; essi, tuttavia, non sono rispettati quasi per nulla o sono rispettati con pesanti squilibri sul territorio nazionale, anche a causa del decentramento regionale del Diritto allo Studio.  
Sicuramente esse vanno affiancate ad altre rivendicazioni riguardanti  il welfare, il mondo del lavoro e l’economia. In tal senso, ribadiamo la nostra adesione alla piattaforma del comitato no-debito, che, pur essendo anch’essa parziale, transitoria e da approfondire e migliorare, con i suoi 5 punti (relativi, si ricorda al non pagamento del debito pubblico  e nazionalizzazione senza indennizzo delle banche, alla cessazione delle missioni di guerra e taglio delle spese militari, all’abolizione delle forme di contratto precario, blocco dei licenziamenti e maggiore uguaglianza retributiva, all’instaurazione di un nuovo modello di sviluppo basato sul welfare universale, sulla compatibilità ambientale e sulla proprietà pubblica delle principali infrastrutture, all’allargamento delle forme di partecipazione democratica diretta) disegna un quadro entro il quale anche la nostra piattaforma va a collocarsi in maniera non velleitaria o isolata e può dar luogo alla più vasta unità dei settori sociali proletari o in fase di proletarizzazione maggiormente colpiti dalla crisi.

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